Disciplina che studia gli animali e le piante vissuti sulla Terra in epoche trascorse, rivelati attraverso i loro resti fossili.
Il nome di p. per la scienza dei fossili fu proposto da H.-M. de Blainville al principio del 19° secolo. Accenni ai fossili si trovano fin da epoche remote e molti autori di epoca classica li interpretarono esattamente. Aristotele e, in seguito, molti studiosi medievali e del Rinascimento, li considerarono invece dovuti a forze plastiche della natura operanti nella terra, o aborti in cui la natura non era riuscita a infondere la vita, o prodotti degli astri ecc. A queste concezioni si opposero, in tempi diversi, G. Boccaccio, Leonardo, B. Palissy, A. Cesalpino, F. Colonna, G. Fracastoro e N. Stenone, il quale avversò anche la teoria, in auge fino al 18° sec., che i fossili fossero i resti di animali dispersi dal diluvio universale. A.L. Moro, A. Volta, I.B. Beccari ripresero l’esatta concezione di Stenone.
La p. descrittiva ricevette poi grande impulso da G. Cuvier, che ne stabilì i principi fondamentali pur sostenendo la fissità delle specie, per la quale gli organismi viventi sarebbero stati distrutti periodicamente da grandi cataclismi prodottisi nel corso della storia della Terra, e dopo ognuno di questi sarebbero migrate dalle regioni vicine specie diverse dalle precedenti. Tale teoria fu sostituita da quella dell’attualismo di C. Lyell: come i fenomeni geologici si sono svolti in modo continuo e lento per cause che non differiscono sostanzialmente da quelle che agiscono oggi, così anche il cambiamento delle faune e delle flore è un fenomeno lento e graduale. J.-B. de Lamarck, É. Geoffroy-Saint-Hilaire, A.R. Wallace fecero assurgere la p. al rango di vera scienza.
La teoria dell’evoluzione fornì la chiave per l’interpretazione della p.: i fossili furono interpretati come i progenitori delle forme oggi viventi. Dalla seconda metà del 19° sec. la p. ha progredito con estrema rapidità; il numero delle specie descritte è in continua crescita.
La p. si divide in paleozoologia e paleobotanica. Essa ha accresciuto molto il materiale della zoologia e della botanica, estendendo le conoscenze sulla molteplicità delle condizioni d’organizzazione degli animali e delle piante. Per quanto i resti fossili, per lo più incompleti e alterati, ci diano un’idea piuttosto inadeguata degli organismi ai quali sono appartenuti, tuttavia possono quasi tutti essere inquadrati nei grandi gruppi della zoologia e della botanica, e si rivelano sostanzialmente costituiti come gli organismi attuali. Fondamentale è stato l’apporto della p. nel campo delle teorie dell’evoluzione, che da essa traggono argomenti assai convincenti. Di riflesso molti quesiti dell’anatomia comparata e dell’embriologia sono spiegati dalle conoscenze paleontologiche.
La p. ha stretti rapporti anche con la geologia. La geologia storica si basa essenzialmente sullo studio dei fossili per fare distinzioni cronologiche. Le più antiche rocce che si conoscono sono generalmente metamorfosate; difficilmente esse presentano tracce di vita. Alcune rocce antiche, meno alterate, hanno dato solo tracce sparse di organismi come impronte di alghe marine, di vermi e di altre forme primitive di problematica determinazione. Al contrario, le formazioni più recenti contengono fossili sempre più abbondanti e di specie sempre più numerose, che mostrano sia un evolversi della vita da tipi più primitivi a tipi più evoluti sia una graduale conquista di tutti gli ambienti esistenti sulla Terra. Sul concetto fondamentale di evoluzione del mondo organico la p. basa il significato cronologico dei fossili. Inoltre, talune specie di organismi hanno una breve distribuzione verticale, cioè sono vissuti per un ristretto periodo di tempo, e un’ampia distribuzione areale. Essi sono chiamati fossili guida e hanno la massima importanza per le correlazioni di serie diverse. Vi sono poi organismi tipici di un determinato ambiente, chiamati fossili di facies, che vengono utilizzati come indicatori di facies. I vari organismi non si comportano allo stesso modo per quanto riguarda la loro distribuzione attraverso i periodi geologici. Alcuni generi (per es., Globigerina, Crania, Nautilus) restano quasi invariati attraverso molti periodi e si presentano come tipi preesistenti, in opposizione ai tipi variabili, che, dopo la loro comparsa, si modificano e si sviluppano con grande ricchezza di forme, per poi estinguersi dopo un periodo relativamente breve (per es., Fusulinidi, Mosasauri), o in parte perdurano con minore importanza fino a oggi, come molti Molluschi d’acqua dolce, Brachiuri, Sauri, Serpenti ecc. Di certo, vi furono periodi in cui il processo di trasformazione e di crisi biologica avveniva in modo rapido ed energico, alternati a lunghe pause in cui le specie restavano quasi invariate.
La p. generale presenta una ricca articolazione in discipline, ognuna in stretta relazione con scienze limitrofe, fra cui la paleoecologia; la paleoicnologia; la paleobiogeografia, scienza interdisciplinare in quanto lo studio delle cause della distribuzione dei taxa implica l’analisi della loro storia evolutiva e delle loro relazioni con l’ambiente; la p. stratigrafica, che studia la successione cronologica dei fossili. In particolare, quest’ultima disciplina prende in considerazione il contenuto fossilifero delle rocce che, a causa dell’evoluzione biologica, cambia nel tempo in modo irreversibile. Ciò permette di ordinare nel tempo e nello spazio gli strati in base alle successioni di fossili in essi contenuti. In prospettiva il tempo geologico, strutturato in base a criteri di datazione relativa, tenderà ad avere calibrature sempre più precise dei limiti cronologici delle unità. La geocronologia si identificherà quindi con una geocronometria fondata sulla possibilità di misurare il tempo in modo assoluto (metodi radiometrici, tracce di fissione, risonanza paramagnetica, racemizzazione degli amminoacidi). Ciò non farà diminuire l’importanza delle correlazioni tra i diversi complessi rocciosi, e tra i metodi utilizzabili per effettuare tali correlazioni quelli biostratigrafici conserveranno ancora un ruolo fondamentale.
Per la p. umana ➔ paleoantropologia.
La p. evolutiva è lo studio delle teorie che cercano di spiegare il processo evolutivo. Secondo la teoria evolutiva degli ‘equilibri intermittenti’, proposta da N. Eldredge e S.J. Gould coerentemente con i progressi della genetica (➔ equilibrio), la principale forza selettiva che ha influito nel corso dell’evoluzione degli esseri viventi è stata quella agente a livello di specie. L’evoluzione biologica sarebbe quasi esclusivamente macroevolutiva: la microevoluzione avrebbe prodotto differenze tra popolazioni della stessa specie, ma non sarebbe stata generalmente in grado di saltare la barriera specifica. Per confermare o eventualmente smentire tale teoria, le ricerche sono volte ad affinare i rapporti sistematici dei taxa (utilizzando quando possibile anche informazioni ottenute con analisi di biologia molecolare, per es., con il calcolo di distanze genetiche), ad approfondire le analisi morfofunzionali degli apparati scheletrici, a definire le correlazioni tra le strutture morfologiche e i vincoli imposti ai loro cambiamenti e, infine, a cercare modelli matematici (lineari o non lineari e stocastici) idonei a descrivere i fenomeni di cambiamento strutturale dei biosistemi.
Per quanto riguarda gli studi sull’origine della vita, negli studi più recenti si sono evidenziate le proprietà autocatalitiche dei composti organici e la loro capacità di autorganizzarsi in sistemi ordinati più complessi. L’evoluzione è vista come un processo al limite fra l’ordine e il disordine: i sistemi viventi, spinti verso uno stato caotico, avrebbero la possibilità di riorganizzare le proprie strutture biologiche in modo da raggiungere una nuova condizione ordinata, e quindi sopravvivere. Questo modello potrebbe avere implicazioni di notevole portata nelle interpretazioni della storia della vita, spiegando meglio del darwinismo il fatto che i piani strutturali fondamentali degli organismi, che sono andati complicandosi nel tempo, si siano in pratica tutti conservati, modulandosi in vario modo nelle diverse fasi della storia geologica.
Il problema fondamentale, ancora irrisolto, è se l’evoluzione biologica sia determinata più dal caso o dalla necessità. È certo comunque che le proprietà autocatalitiche e autorganizzative dei composti organici hanno importanti conseguenze sulle ipotesi relative all’origine della vita, conferendo un carattere di necessità al passaggio dall’evoluzione chimica a quella biologica. L’idea dell’origine accidentale della vita, cioè di una combinazione fortuita di composti organici, era entrata in crisi con le scoperte di microrganismi fossili attribuibili al gruppo dei Cianobatteri in rocce con un’età di circa 3,5-3,8 miliardi di anni. Poiché le condizioni della Terra, originatasi 4,6 miliardi di anni fa, non consentivano, fino a circa 4-3,8 milioni di anni fa, il mantenimento di composti organici complessi, il tempo disponibile per dare origine casualmente alla vita non poteva più essere ritenuto sufficiente. Questa difficoltà non si pone per le ipotesi di un’origine extraterrestre della vita o per quelle che prevedano condizioni che hanno favorito e accelerato il processo biochimico: a sostegno delle prime interviene la provata presenza nello spazio interstellare di molecole organiche e di microscopici oggetti dotati di struttura complessa a base di composti del carbonio, che potrebbero rappresentare microrganismi; a sostegno delle seconde si invoca l’azione catalizzatrice dei minerali argillosi e le condizioni favorevoli alle sintesi organiche presenti nelle sorgenti idrotermali, specie in quelle sottomarine (vents).