Il complesso delle facoltà umane che più specificamente si riferiscono al pensiero, e in particolare quelle intellettive, percettive, mnemoniche, intuitive e volitive.
Lo studio scientifico dei meccanismi biologici che, in tutte le specie animali e nell’uomo, producono e regolano le funzioni della m. è compito delle neuroscienze. Mediante concetti fondamentali della biologia molecolare e dell’immunologia, è stato studiato il funzionamento del cervello a diversi livelli: genetico e bio-evolutivo, neurofisiologico, psicobiologico e neurocomportamentale. Nuove tecniche riduzionistiche hanno accertato che i neuroni sono microunità di elaborazione; negli aggregati neuronali, i singoli elementi sono collegati tra loro come popolazioni cellulari organizzate in colonne, la cui struttura è stata studiata da V.B. Mountcastle e altri su tutta la corteccia, sensoriale, motoria e associativa; i sistemi d’integrazione corticale e sottocorticale svolgono sia funzioni altamente localizzate, sia funzioni che richiedono l’attività simultanea di numerose aree corticali separate tra loro. Esperimenti di commissurotomia (split-brain) condotti da R.W. Sperry, M. Gazzaniga e altri hanno dimostrato che i due emisferi possono funzionare indipendentemente. Coscienza, autocoscienza e processi mentali di ordine superiore sembrerebbero dunque nient’affatto unitari e indivisibili. Lo sviluppo delle neuroscienze ha inoltre modificato i modelli generali della m.: dall’analogia con il calcolatore digitale si è passati a quella con i sistemi selettivi di vario tipo. Nella prima, la m. veniva intesa come il software di un calcolatore biologico, il cui hardware dipenderebbe a sua volta da un altro programma, quello genetico. Essa non ha trovato riscontri biologici, mentre vanno acquistando crescente importanza i modelli selettivi, come il ‘connessionismo’ (D.E. Rumelhardt e J.L. MacLelland) e il ‘darwinismo neuronale’ (G.M. Edelman). Nelle macchine connessionistiche l’intelligenza del sistema risiede nello schema di interconnessione tra i nodi, capace di modificarsi spontaneamente con l’esperienza. I modelli connessionistici non riescono tuttavia a cogliere i meccanismi della plasticità sinaptica e neuronale. Per il darwinismo neuronale il cervello è un calcolatore biologico il cui straordinario sviluppo filogenetico è dovuto al grande valore selettivo della sua capacità di automodificarsi. Per spiegare ciò, Edelman ha proposto la ‘teoria della selezione di gruppi di neuroni’, che ha poi esemplificato negli automi della serie Darwin. In questi automi, l’organizzazione del sistema è limitata all’origine da regole innate generali (o valori) introdotte dal progettista in veste di fattori ereditari di tipo filogenetico, ma la configurazione finale scaturirà al termine di un processo individuale d’interazione effettiva con l’ambiente (equivalente alla maturazione del sistema nervoso).
In epoca moderna la m., intesa come attività intellettiva, coscienza e volontà, comincia a differenziarsi dall’anima e a rappresentare un problema per la riflessione filosofica, che prende a occuparsi soprattutto della natura del suo rapporto con il corpo.
Se la soluzione dualistica tra sostanza materiale e sostanza pensante di R. Descartes apparve subito controversa per le difficoltà dell’interazione tra le due sostanze eterogenee, B. Spinoza proponeva già una soluzione monistica, considerando il dualismo m.-corpo null’altro che una distinzione tra due attributi della medesima sostanza, ‘Dio’ o ‘natura’. Monistica, ma in senso materialistico, era stata anche la soluzione di T. Hobbes, ma si dovrà attendere il Settecento per la teorizzazione della determinazione degli stati psichici da parte di quelli fisici (J.-O. de La Mettrie, P.-H.-I. d’Holbach, D. Diderot), fino alla psicologia fisiologica di P.-J.-G. Cabanis. Il parallelismo psicofisico e l’epifenomenismo sono i due estremi (l’uno vicino al dualismo, l’altro al materialismo) tra cui si colloca l’indagine psicologica e filosofica nell’Ottocento, che vede anche la nascita dei primi studi sul cervello.
Con il Novecento, soprattutto in area anglosassone, la ricerca filosofica sulla m. raggiunge i risultati più significativi.
Neopositivismo e filosofia analitica. - La fase fisicalistica del neopositivismo, soprattutto per opera di R. Carnap, tenta di portare a compimento, anche per i termini mentalistici e le asserzioni su eventi mentali, il programma di riduzione empirica caratteristico della sua epistemologia. Relativamente a tali asserzioni, si trattava di offrirne ‘traduzioni’ che non facessero riferimento a presunti stati mentali, ma solo al comportamento osservabile. Un comportamentismo in chiave linguistica ha caratterizzato anche il lavoro di G. Ryle, incline a considerare un’indebita ipostasi del linguaggio comune la nozione di una sostanza mentale. Sul piano dell’analisi linguistica, ha esercitato grande influenza l’impostazione di L.J. Wittgenstein, che riconduce il ‘significato’ dei termini mentalistici all’addestramento linguistico e ai criteri pubblici che ne governano l’applicazione in relazione al comportamento, piuttosto che a una classe di eventi mentali privati conoscibili per introspezione.
Teoria dell’identità. - Un’impostazione completamente diversa è invece alla base di quello che è stato forse il tentativo più ambizioso di operare una radicale riduzione dei fenomeni mentali a quelli fisici, noto come ‘teoria dell’identità’, che si fa generalmente risalire al filosofo neopositivista H. Feigl e che sostiene una completa identità della m. e delle sue funzioni con il cervello e l’attività neurocerebrale. Questa dottrina ha incontrato sostenitori ma anche varie obiezioni, la più interessante delle quali riguarda la possibilità di conseguire leggi scientifiche di correlazione tra eventi mentali ed eventi neurocerebrali. D. Davidson, per es., ha avanzato dubbi in proposito, per via delle innumerevoli e variabili connessioni tra eventi mentali ed eventi neurocerebrali che le attribuzioni di stati mentali rendono legittimo ipotizzare; di qui l’ipotesi che ogni occorrenza mentale potrebbe essere realizzata in una molteplicità di stati neurofisiologici, rendendo così problematica l’individuazione di leggi psicofisiche.
Funzionalismo e interazionismo. - Per i sostenitori del cosiddetto ‘funzionalismo’ (H. Putnam, J. Fodor, D. Dennett) non soltanto uno stesso stato mentale potrebbe realizzarsi in stati neurocerebrali diversi, ma addirittura in stati di composizione completamente diversa da quelli neurofisiologici. L’analogia preferita dai funzionalisti è quella tra la m. e il programma di un elaboratore digitale: gli stati mentali sarebbero come un software che può essere realizzato in hardware differenti. Di qui la caratterizzazione degli stati mentali in termini di funzioni e di operazioni e l’implausibilità di ogni tentativo di riduzione della m. alla neurofisiologia. Da considerazioni di questo tipo hanno preso avvio innumerevoli ipotesi sulle analogie e l’identità tra funzioni mentali e computer, spesso confinanti e intrecciantisi con le ricerche di intelligenza artificiale (e rientranti in quella vasta area che si suole denominare ‘scienza cognitiva’), anche se non mancano autorevoli obiezioni all’identificazione tra m. e computer (J. Searle).
In alternativa alle precedenti concezioni è la teoria della m. di K.R. Popper e J.C. Eccles, i quali propongono una forma di dualismo, chiamato ‘interazionismo’, secondo cui agli stati mentali andrebbe riconosciuta un’esistenza autonoma. La coscienza, l’autocoscienza e i fenomeni ‘inten;zionali’ sarebbero, per i due autori, proprie;tà emergenti dalla continua interazione tra linguaggio, cervello e cultura.