Insieme dei provvedimenti rivolti a controllare, sostenere e riattivare funzioni organiche depresse o compromesse. Il termine può assumere significato sensibilmente diverso a seconda che si riferisca a quelle misure – consuete alla pratica anestesiologica – che costituiscono l’immediato trattamento post-operatorio, ovvero a provvedimenti di pronto soccorso, rivolti a rimuovere un imminente pericolo di vita o addirittura ad attuare una vera e propria reviviscenza (nei casi in cui la morte clinica sia sopravvenuta da pochi minuti, in modo improvviso o per cause apparentemente immotivate).
Le misure miranti a riattivare rapidamente funzioni organiche depresse dallo stress operatorio contemplano, tra l’altro, il controllo strumentale delle funzioni respiratoria e cardiocircolatoria e degli equilibri metabolici. A tale scopo l’operato, subito dopo l’intervento, viene trasportato e trattenuto per un tempo variabile in una sala adiacente a quella operatoria, attrezzata appositamente (camera di rianimazione), per affrontare anche situazioni d’emergenza e quindi per eseguire il massaggio cardiaco, la defibrillazione, la respirazione artificiale, la circolazione extracorporea, l’exsanguino-trasfusione ecc.
È l’insieme delle manovre che si eseguono per il trattamento dell’arresto cardiocircolatorio nonché di tutte le situazioni che, non trattate, ne causano rapidamente il verificarsi. Considerato che l’arresto cardiocircolatorio costituisce la cessazione dell’attività di pompa da parte del cuore (che, a sua volta, determina un’immediata assenza della perfusione ematica sistemica), ne consegue che esso è una condizione di morte clinica destinata, in assenza di trattamento rianimatorio immediato, a evolvere in morte biologica. Si possono distinguere due diverse tipologie di rianimazione cardiopolmonare: quella di base, che comprende il sostegno delle funzioni vitali (circolo e respiro) senza strumenti o con strumenti elementari, e quella avanzata, consistente nell’insieme delle manovre volte al ripristino del circolo spontaneo, che comprende la ventilazione e l’assistenza circolatoria con strumenti invasivi, la diagnosi del ritmo cardiaco e la terapia elettrica e farmacologica specifica. Indipendentemente dalla tipologia di rianimazione cardiopolmonare che il sanitario o il soccorritore si trova nella condizione di applicare, si può riassumere la successione degli interventi indicati per l’assistenza a un paziente in arresto cardiocircolatorio utilizzando la sequenza ABC, nel caso della riabilitazione cardiopolmonare di base, e ABCD, nel caso dell’avanzata. La prima sequenza prevede: apertura delle vie aeree (airways, A); ventilazione (breathing, B); massaggio cardiaco esterno (circulation, C); la seconda anche la defibrillazione elettrica (defibrillation, D).
In ambiente extraospedaliero, la manovra A consiste nel controllo della pervietà delle vie aeree e nella rimozione delle eventuali ostruzioni presenti. Se il respiro non riprende spontaneamente dopo l’apertura delle vie aeree, occorre iniziare una ventilazione artificiale (B). Nella pratica extraospedaliera spesso non si hanno a disposizione strumenti, per cui l’unica possibilità di garantire l’ossigenazione del paziente è la ventilazione diretta bocca a bocca. La diagnosi di arresto cardiaco si pone quando sono presenti incoscienza, apnea o respiro boccheggiante, assenza di polso alle grandi arterie. Il circolo artificiale (C) si ottiene mediante massaggio cardiaco esterno attuato attraverso la compressione ritmica del cuore tra lo sterno e la colonna vertebrale (la compressione va istituita al limite tra il terzo medio e il terzo inferiore dello sterno).
In ambiente ospedaliero l’intubazione endotracheale, che prevede il posizionamento di un tubo a livello delle vie aeree superiori del soggetto, fornisce al soccorritore un controllo assoluto delle vie aeree (A). Esistono poi due differenti modalità di ventilazione meccanica (B): la prima, nella quale il passaggio dalla fase espiratoria alla fase inspiratoria è predeterminato a seconda delle caratteristiche del ventilatore, senza che venga considerato lo sforzo operato dal paziente, è detta ventilazione controllata; l’altra, dove il richiamo inspiratorio del paziente innesca il passaggio spontaneo dall’espirazione all’inspirazione, a partire da una frequenza minima predeterminata, è detta ventilazione assistita. Alcune situazioni cliniche obbligano in pratica a utilizzare una ventilazione controllata (mancato adattamento alla ventilazione meccanica per agitazione, angoscia e tachipnea, eccessivo lavoro respiratorio da parte del paziente). La ventilazione meccanica assistita è la modalità di ventilazione di elezione per i pazienti in insufficienza respiratoria acuta, fatte salve le indicazioni sopra riportate. L’adrenalina rappresenta il farmaco di prima scelta in tutti i casi di arresto cardiocircolatorio, in quanto si è dimostrato il più efficace nel migliorare il flusso ematico cerebrale e miocardico generato dalle manovre di rianimazione e nel migliorare l’esito dei pazienti (C). Durante la rianimazione cardiopolmonare, sono normalmente utilizzati liquidi per mantenere pervie le vie di infusione e per espandere la massa circolante nei pazienti con perdite acute (emorragia severa, vomito abbondante, diarrea incoercibile). Nell’asistolia e nella dissociazione elettromeccanica bisogna continuare la somministrazione di adrenalina aggiungendo, se necessario, bicarbonato di sodio e calcio cloruro. Nella bradicardia da blocco atrioventricolare è utile la somministrazione di atropina e di isoproterenolo; se non si ha ripristino di un ritmo cardiaco fisiologico, l’unica possibilità terapeutica residua è il posizionamento di uno stimolatore cardiaco temporaneo (D). La defibrillazione elettrica è il trattamento di scelta per la fibrillazione ventricolare e per gli episodi di tachicardia ventricolare senza polso periferico. Lo shock determina infatti una depolarizzazione simultanea di tutte le fibre miocardiche in seguito alla quale il cuore riprende a contrarsi normalmente e in modo coordinato. L’efficacia della defibrillazione dipende dal tipo e dalla quantità di energia erogata, nonché dalla precocità con cui viene eseguita.
La decisione sull’opportunità o meno di iniziare le manovre di rianimazione in caso di arresto cardiocircolatorio e la determinazione della loro durata sono gli aspetti più difficili dell’intervento di rianimazione. In assenza di segni evidenti di morte certa (macchie ipostatiche e decomposizione tessutale) la rianimazione deve sempre essere iniziata e deve essere protratta, anche in caso di mancata risposta del sistema cardiovascolare, per non meno di 30 minuti. Un discorso a parte merita la decisione sull’opportunità di iniziare la rianimazione nei malati terminali: tale decisione spetta al medico, tenendo conto della volontà del paziente, se espressa, e varia nelle diverse realtà locali, in funzione dell’etica, della normativa e di variabili individuali.