Tessuto di t. Tessuto conduttore costituito da tracheidi frammiste a cellule parenchimatiche vive. Il complesso accompagna il tessuto vascolare delle foglie di molte Gimnosperme; si ritiene che esso rappresenti un’estensione del sistema vascolare, sostituendo così i nervi laterali che mancano in tali foglie.
Provvedimento terapeutico consistente nell’introdurre nel sistema circolatorio di un individuo (ricevitore o accettore) una certa quantità di sangue intero o di plasma prelevata da un altro individuo (donatore o datore). La somministrazione della massa sanguigna trasfusa viene effettuata mediante infusione in vena (solo in alcuni casi per via endoarteriosa oppure nel midollo osseo).
In base a quanto si ricava da sporadici accenni riscontrati in papiri egizi, scritti ebraici e romani, i primi tentativi di t. di sangue risalirebbero a epoche remote. Documenti storici validi datano dal 17° sec. il suo utilizzo come pratica specialistica (cerusia infusoria, enematica nova, chirurgia clysmatica). La mancata conoscenza dell’incompatibilità di gruppo sanguigno e delle altre reazioni da t. ne impedirono il diffondersi. Solo con l’acquisizione delle basi scientifiche della t., con gli studi sull’azione stabilizzatrice anticoagulante del citrato di sodio, con la scoperta delle isoagglutinine e con la classificazione dei gruppi sanguigni, la pratica trasfusionale ha potuto compiere sostanziali progressi dal principio del 20° secolo.
Da allora si è assistito al continuo miglioramento delle modalità della raccolta (con l’organizzazione di centri trasfusionali e la selezione dei donatori) e di conservazione, accompagnato dall’avanzamento delle ricerche sull’individuazione dei metodi idonei a evitare la trasmissione di malattie infettive. I progressi verificatisi nel campo dell’immunologia hanno peraltro dimostrato che il problema della compatibilità tra sangue del donatore e sangue del paziente è più complesso di quanto si riteneva in passato e non può più essere limitato alla ricerca dell’appartenenza a uno dei gruppi eritrocitari AB0 e alla dimostrazione della presenza o meno del fattore Rh.
Le indicazioni della t. di sangue intero sono numerose: anemie acute, anemie croniche in fase avanzata, leucocitopenie e trombocitopenie di grave entità ecc. In casi particolari, in cui occorra sostituire la grande maggioranza del sangue circolante (eritroblastosi fetale, metaemoglobinemia per avvelenamento da ossido di carbonio ecc.) si ricorre alla exsanguino-trasfusione (➔).
Le reazioni e le complicazioni della t. sono molteplici e possono essere legate a una troppo rapida infusione del sangue o all’eccessiva quantità della massa sanguigna trasfusa, alla possibilità di trasmissione di malattie infettive, alla formazione di embolie, a reazioni infiammatorie della vena utilizzata, alla contaminazione batterica del sangue trasfuso o alla presenza in esso di altre sostanze pirogene, a isoimmunizzazione e a particolari forme di epatopatia che possono insorgere dopo ripetute trasfusioni.
I progressi tecnologici hanno messo a disposizione apparecchiature che consentono il prelievo selettivo (aferesi) dei componenti corpuscolati del sangue e del plasma, per la rimozione di sostanze responsabili di un determinato quadro morboso (plasmaferesi terapeutica) o per l’ulteriore preparazione di sue frazioni (albumina, immunoglobuline, fattori della coagulazione: plasmaferesi preparatoria). Tutto questo ha portato alla distinzione dei componenti del sangue dagli emoderivati e a un aggiornamento delle tecniche terapeutiche. I componenti del sangue sono rappresentati dalle frazioni della porzione corpuscolare (eritrociti, leucociti, piastrine) e possono essere separati dal sangue intero con semplici mezzi fisici (centrifugazione differenziale, emoaferesi), sfruttando le loro differenze di morfologia e di peso molecolare. Gli emoderivati sono rappresentati dalle frazioni plasmatiche (albumina, fibrinogeno, fattore VIII antiemofilico, altri fattori della coagulazione, immunoglobuline) allestite con complesse metodiche fisico-chimiche.
Le pratiche terapeutiche consentono d’intervenire con infusioni di concentrati corpuscolari (granulociti, piastrine) e con somministrazioni di emoderivati. Si tratta di una vera e propria terapia mirata che fa giungere al paziente unicamente la frazione di cellule o di plasma di cui scarseggia e soddisfa allo stesso tempo un’esigenza di economia, perché permette di utilizzare per più casi l’unità di sangue (400-500 ml) ricavata da un solo donatore. Complessivamente i vantaggi rappresentati dal ricorso ai concentrati cellulari sono molteplici: indiscutibile efficacia terapeutica controllata; minore volume trasfuso; minore quantità di anticoagulante; minore esposizione a proteine (elementi che possono creare nel ricevente un’indesiderabile risposta immunitaria) e, infine, minore possibilità di trasmissione di malattie.
Il problema della conservazione è stato affrontato dapprima diluendo il sangue intero con una soluzione di acido citrico (citrato di sodio) e destrosio, che lo mantiene vitale alla temperatura di +4 °C per 21 giorni; una soluzione proposta successivamente è composta di citrato, fosforo, destrosio e adenina (acronimo CPDA) e permette di conservare il sangue intero per 28 giorni. Un’altra forma di conservazione delle emazie separate dalle altre cellule è il loro congelamento. Per la conservazione delle piastrine è risultato che se ne può garantire la funzionalità, sia pure per un breve periodo (5 giorni), mantenendole in ambiente ricco di ossigeno. I leucociti sono più difficili da separare dagli altri elementi cellulari e da conservare.
I progressi nella preparazione del sangue e nella sua conservazione hanno aperto la strada all’impiego sempre più diffuso della pratica dell’autotrasfusione (o trasfusione autologa) nelle sue differenti varianti, e in certo qual modo alla tecnica della cosiddetta emodiluizione isovolemica. Le autotrasfusioni comprendono: a) autotrasfusione differita, ossia t. di sangue autologo, dopo prelievo singolo o plurimo di unità di sangue effettuato nei giorni precedenti un intervento (predeposito); b) autotrasfusione intraoperatoria per il recupero del sangue perso dal paziente; c) t. di emazie autologhe congelate, che possono essere conservate per 5 anni: tale tecnica permette all’individuo sano di prepararsi una riserva di sangue che potrà utilizzare per sé quando necessario oppure rinnovare periodicamente. L’emodiluizione isovolemica consiste nel prelievo di sangue immediatamente prima dell’intervento, mantenendo la volemia con la somministrazione di appropriate soluzioni e con la reinfusione del sangue durante o dopo l’atto chirurgico.