pianeta
Per compagna ha una stella…
Fino alla fine del 20° secolo, pur conoscendo approfonditamente la storia dell’Universo, gli astronomi non erano riusciti a trovare prove inconfutabili dell’esistenza di altri pianeti oltre a quelli del nostro Sistema Solare. Oggi, grazie a tecnologie sempre più raffinate, sappiamo invece che nello spazio ne esistono molti altri (ne sono stati individuati con certezza più di cento). La presenza di altri pianeti, in alcuni casi addirittura in formazione, apre nuove prospettive sulla comprensione dell’origine dei sistemi planetari e sulla ricerca della vita extraterrestre
Poiché viviamo su un pianeta dovremmo avere ben chiaro di cosa si tratta. Prima di tutto la vita esiste sulla Terra, uno dei nove pianeti che orbitano attorno al Sole, per un’incredibile concomitanza di fatti, e soprattutto perché sulla Terra non fa troppo caldo. La vita è infatti incompatibile con temperature elevate che non consentono, per esempio, la presenza di acqua allo stato liquido. Secondo tutti gli astronomi, infatti, ammesso che la vita esista nello spazio, non può esistere certamente sulle stelle, ma piuttosto sui pianeti.
I pianeti sono corpi celesti che orbitano attorno a una stella e non hanno una massa sufficiente per innescare le reazioni nucleari che fanno splendere le stelle. Brillano dunque di luce riflessa e le temperature che si raggiungono su di essi variano enormemente. La temperatura dei pianeti del Sistema Solare varia dagli oltre 400 °C raggiunti da Venere fino a oltre 2200 °C di Urano, Nettuno e Plutone. Teoricamente i pianeti sono tanto più freddi quanto più sono lontani dal Sole. Tuttavia questo non è del tutto vero perché l’effetto serra dovuto all’atmosfera presente su alcuni pianeti mantiene la temperatura più alta. Così Venere con la sua densa atmosfera è il pianeta più caldo del Sistema Solare; Mercurio, infatti, pur essendo più vicino al Sole, ha un’atmosfera decisamente più rarefatta.
Proprio per questo motivo, per tanto tempo gli astronomi sono riusciti a osservare unicamente i pianeti del nostro Sistema Solare, che sono relativamente vicini alla Terra. Infatti i pianeti, corpi celesti relativamente freddi e poco luminosi, inviano meno onde elettromagnetiche nello spazio e i telescopi riescono a individuarli solo a fatica. I telescopi ottici, cioè quelli che captano la luce proveniente dagli oggetti del cielo, nel caso dei pianeti ricevono la luce che arriva sul pianeta dalle stelle vicine e non la luce del pianeta stesso, poiché solo le stelle brillano di luce propria. È un po’ quello che accade anche a noi: con i nostri occhi – il telescopio naturale del quale siamo dotati – riusciamo forse a scorgere un falò lontano, ma certamente non vediamo l’albero che il falò illumina.
Per molti anni gli astronomi hanno supposto, grazie a calcoli e osservazioni, l’esistenza di pianeti che orbitano attorno a stelle diverse dal Sole, ma soltanto nel 1995 hanno avuto conferma della loro ipotesi. Da allora si sono trovati più di cento pianeti extrasolari e si è cominciato a supporre che esista mediamente un pianeta per ogni stella dell’Universo.
Nello spazio esistono stelle senza pianeti e stelle con diversi pianeti – il Sole, per esempio, ne ha nove –, ma non è tutto: vi sono anche pianeti che hanno più stelle!
I sistemi planetari più simili al nostro sono quelli in cui i pianeti orbitano attorno a una sola stella. Un sistema planetario di questo tipo è mantenuto unito dalla forza di gravità (gravitazione) e, oltre alla stella centrale, possiede almeno due pianeti che percorrono orbite ben precise intorno a essa, senza cadervi sopra e senza allontanarsi dall’orbita.
Nei sistemi multipli, invece, i pianeti orbitano attorno a più di una stella. Nei sistemi binari le stelle sono due.
Alcuni astronomi hanno scoperto pianeti che orbitano attorno a due stelle. Un tempo questo genere di situazioni faceva parte della fantascienza. Non a caso nel film Guerre stellari (1977) di George Lucas, il pianeta da cui proviene il protagonista è illuminato da due stelle (che, fra l’altro, hanno colore differente) e nel racconto Cade la notte, dello scrittore di fantascienza Isaac Asimov, esiste un pianeta illuminato da molte stelle.
Queste situazioni, in passato considerate stravaganti, oggi fanno parte della scienza, grazie alle recenti osservazioni degli astronomi. Uno dei pianeti più antichi scoperti fino a oggi orbita attorno a due stelle. Si tratta di un gigante gassoso vecchio di 13 miliardi di anni, che dista da noi 5.600 anni-luce (servono cioè 5.600 anni viaggiando alla velocità della luce per raggiungerlo) e si trova nella zona del cielo corrispondente alla costellazione dello Scorpione.
Il pianeta descrive un’orbita complicatissima e davvero tortuosa attorno a due stelle e ha una massa pari a due volte e mezzo quella di Giove. Gli astronomi della NASA l’hanno scoperto grazie al telescopio spaziale Hubble. Il pianeta, infatti, è troppo lontano per essere avvistato direttamente, ma la sua presenza è stata rilevata perché con la sua forza di attrazione gravitazionale deforma la traiettoria delle due stelle vicine. Le due stelle attorno alle quali orbita il pianeta gigantesco sono una nana bianca e una pulsar, che orbitano l’una attorno all’altra da molto tempo prima che il grande pianeta nascesse. Sono entrambe stelle spente: la nana bianca è una stella morente, costituita dal residuo di un’esplosione relativamente recente di una stella che aveva esaurito il proprio combustibile naturale, l’idrogeno. La pulsar è, invece, una stella di neutroni ormai morta: gira vorticosamente su sé stessa, ha una massa di materia superdensa, concentrata in uno spazio molto ristretto e risucchia costantemente materiale gassoso dalla stella nana sua compagna.
Con ogni probabilità i sistemi planetari si sono formati a partire da una nube di polvere e gas presente nell’Universo. Al centro di questa nube, dove la densità era maggiore, si è formata una protostella circondata ancora una volta da una densa nube di polvere e gas.
Il fenomeno è simile a ciò che accade quando si prepara un budino. Se non si mescola bene, a un certo punto, si forma un grumo che continua ad accrescersi sempre di più; per evitare che ciò accada, perciò, bisogna continuare a mescolare in modo che la densità sia ovunque omogenea. Una volta nata, la protostella – che poi darà vita alla stella vera e propria – accresce la sua massa e tende a contrarsi, cioè a schiacciarsi sotto il proprio peso, diminuendo le sue dimensioni. Nel frattempo, si assiste a un aumento della velocità di rotazione e a un conseguente appiattimento della sfera della protostella. La forma, quindi, diventa quella di un disco con un rigonfiamento centrale e così è finalmente nata una stella. Tutta la materia che forma il disco tende a distaccarsene successivamente, data la sempre più elevata velocità di rotazione. Proprio dai piccoli ‘grumi’ di materia che in seguito si aggregheranno nasceranno i singoli pianeti. In questo modo si pensa che si sia formato il Sistema Solare. Trovare altre stelle con sistemi planetari in formazione consente chiaramente di verificare questa teoria che per ora, pur avendo trovato diverse conferme per quanto riguarda il Sistema Solare, non è ancora stata dimostrata sufficientemente.
Fino ad alcuni anni fa si pensava che dovessero esserci altri pianeti oltre a quelli del Sistema Solare, ma non si avevano prove inconfutabili di questo fatto e ci si basava unicamente su calcoli probabilistici. Non ci sembrerebbe strano se fra le centinaia di miliardi di stelle della nostra Galassia e le altre stelle che appartengono agli altri 100 miliardi di galassie, esclusivamente attorno al Sole vi fossero pianeti?
Fra questa convinzione e alcuni calcoli e la dimostrazione che i pianeti extrasolari esistono davvero c’era la stessa distanza che c’è oggi fra dire che probabilmente esiste vita nello spazio ed esserne certi.
Il problema è stato risolto nel 1995, quando gli astronomi Michel Mayor e Didier Queloz dell’Osservatorio di Ginevra annunciarono la scoperta di un pianeta di grande massa attorno alla stella, di tipo solare, 51 Pegasi, che si trova a circa 45 anni luce dalla Terra. Poco dopo anche Geoffrey Marcy della University of California (Berkeley) e R. Paul Butler della San Francisco State University riferirono e confermarono quanto scoperto dai colleghi di Ginevra e dissero di avere individuato altri due pianeti attorno a stelle dello stesso tipo.
Partì una vera e propria caccia ai pianeti extrasolari. La grande risoluzione del telescopio spaziale Hubble ha consentito passi da gigante ai cacciatori di pianeti extrasolari. La maggior parte dei pianeti extrasolari finora osservati è molto diversa dalla Terra. Si tratta in genere di pianeti enormi simili a Giove, il gigante del nostro Sistema Solare. Ciò non significa che non esistono pianeti simili alla Terra, ma che le tecniche attuali vedono con più facilità pianeti di grandi dimensioni e vicini alla stella centrale.
Solitamente si scoprono, infatti, grazie alla loro influenza gravitazionale sulla stella intorno alla quale orbitano e, visto che questa influenza aumenta all’aumentare della massa del pianeta, gli astronomi riescono a scoprire con più facilità pianeti di questo genere. Ciò rende interessanti le loro scoperte, ma poco utili a coloro che cercano di scoprire se nello spazio esistono forme di vita intelligenti come la nostra, probabilmente presenti con più facilità su pianeti simili alla Terra.
Il primo pianeta a essere scoperto, 51 Pegasi b, ha una massa circa la metà di quella di Giove e un’orbita quasi otto volte più piccola di quella di Mercurio, per completare la quale impiega circa 4 giorni terrestri. Insomma, su quel pianeta un anno dura come da noi quattro giorni e un bambino terrestre di un anno, se fosse nato lassù, avrebbe quasi 91 anni, perché nel tempo in cui trascorrono 365 giorni quel pianeta lontano orbita più di 91 volte attorno alla sua stella. Ma il bambino lassù non potrebbe andare. Su questo pianeta la temperatura è di 900 °C, certamente troppo elevata per un essere umano e probabilmente per qualunque forma di vita. Insomma, non si tratta di un pianeta molto ospitale per un essere vivente!
Esiste anche un pianeta intorno a una stella molto simile al nostro Sole. Si trova nella zona dell’Orsa maggiore, che si può facilmente riconoscere nel cielo notturno. Il pianeta e la stella intorno alla quale orbita non sono visibili a occhio nudo, ma guardando in quella zona di cielo possiamo sempre pensare che stiamo guardando nella direzione di un pianeta extrasolare. In realtà oggi si ritiene che esistano molti più pianeti in rapporto alle stelle visibili a occhio nudo in una bella notte limpida, in assenza di inquinamento luminoso. Il pianeta che orbita attorno alla 47 Ursae Majoris è più grande di Giove e gassoso, quindi anch’esso del tutto inospitale per la vita.
Quasi tutti i pianeti extrasolari sono stati individuati grazie alle oscillazioni che provocano nell’orbita della stella a cui sono legati. Queste perturbazioni, prodotte dall’attrazione gravitazionale che interessa il pianeta e la stella, sono poco visibili ma oggi esistono sofisticatissimi strumenti che permettono agli scienziati di osservare fenomeni un tempo impensabili.
Come abbiamo detto, le notevoli differenze che esistono tra questi pianeti e la Terra sono legate proprio al metodo che si utilizza per individuarli. Se andiamo a pesca con una rete con le maglie larghe non prendiamo i pesci piccoli. Così le tecniche più usate vedono, come approfondiremo anche in seguito, meglio i pianeti grandi e vicini alle stelle di quelli più piccoli e più distanti, come la nostra Terra.
Beta Pictoris è una giovane stella simile al Sole, che dista 50 anni luce da noi. È circondata da un disco che brilla grazie alla luce della stella riflessa e che è stato osservato sia con i telescopi terrestri sia con quello spaziale. La stella è stata osservata proprio nel momento della nascita dei pianeti, fenomeno che purtroppo richiede qualche milione di anni! Gli astronomi hanno rilevato che le parti centrali del disco sono leggermente deformate e si pensa che il fenomeno sia dovuto all’effetto gravitazionale di un grande pianeta in orbita attorno alla stella, ma che non si può vedere perché viene offuscato dalla luminosità circostante. Non resta agli astronomi che osservare altre stelle con pianeti in formazione, ma in fase più avanzata, per seguire tutti i passi della evoluzione planetaria.
Il telescopio spaziale Hubble ha anche ripreso in dettaglio la fascia di asteroidi e di pianetini che circondano la vicina stella Fomalhaut. Questa regione appare estremamente confinata, segno questo della probabile presenza di due o più pianeti, all’interno e all’esterno della fascia, che limitano, per mezzo della loro attrazione gravitazionale, il disperdersi nello spazio delle particelle e dei corpi minori; è un po’ come avviene per gli anelli di Saturno e per la fascia di asteroidi tra Marte e Giove.
Per cercare i pianeti extrasolari esistono sia metodi indiretti sia metodi diretti. Chi usa il metodo diretto cerca di vedere effettivamente il pianeta. Si tratta in questo caso di tentativi condotti al limite delle possibilità sperimentali per separare la debole luce del pianeta da quella abbagliante della stella. Anche con telescopi in grado di vedere sempre più lontano e con risoluzioni sempre più alte, il metodo diretto continuerà ad avere notevoli limiti nell’individuazione dei pianeti extrasolari. Quando utilizzano un metodo indiretto, gli astronomi non fanno altro che seguire il moto della stella e osservare se ci sono anomalie. Se le anomalie ci sono, controllano se la presenza di un pianeta potrebbe in qualche modo giustificarle. Tutte le stelle, infatti, si muovono, sottoposte alle forze gravitazionali di altre stelle o, semplicemente, perché orbitano attorno al centro della galassia. Il moto delle stelle è solitamente abbastanza regolare, rettilineo e si svolge a una velocità più o meno costante. Così gli astronomi scelgono una stella che non sia troppo lontana, per la quale cioè sia possibile fare accurate misure di posizione (metodo dell’astrometria), e la seguono nel suo moto. Se tale moto presenta irregolarità, sospettano che la stella abbia un sistema planetario.
Un altro metodo indiretto, ancora più usato di quello di prima, consiste invece nel misurare la velocità di spostamento della stella. Generalmente gli astronomi cercano di misurare la componente della velocità nella direzione Terra-stella, cioè la velocità radiale della stella. Se la velocità non è uniforme, suppongono l’esistenza di un pianeta che, orbitando attorno alla stella, la faccia deviare, ora da una parte e ora dall’altra, a causa dell’attrazione gravitazionale.
Il telescopio spaziale Hubble ha permesso di fotografare all’interno della nebulosa di Orione (visibile a occhio nudo o con un semplice binocolo, proprio sotto la cintura del valoroso gigante del cielo) alcune stelle in formazione, circondate da un disco protoplanetario. È stata un’importante conferma della teoria sulla formazione del Sistema Solare e dei sistemi planetari in generale. Pur non potendo distinguere i pianeti, Hubble ha fornito alcune nitide immagini di regioni nelle qualii pianeti potrebbero essere in fase di formazione. È come se osservassimo il nostro Sistema Solare di 4,5 miliardi di anni fa, quando il disco di gas e polveri che avvolgeva il giovane Sole si stava condensando e si producevano i primi abbozzi dei pianeti.I dischi circumstellari non sono facili da osservare, nemmeno in regioni di formazione stellare vicine alla Terra. La luce della stella centrale tende infatti a offuscare la debole luminosità riflessa dal disco. Insomma lo studio dei pianeti è pieno di difficoltà e per questo motivo ci sono voluti tanti anni e tecnologie sempre più complesse per riuscire a osservare qualcosa di interessante.