telescopio
Lo strumento dell’astronomo
Le nostre conoscenze sull’Universo, presente e passato, derivano in larga parte dall’esame della radiazione elettromagnetica che raggiunge la Terra provenendo dai recessi delle galassie. A questo scopo gli scienziati si servono del telescopio, lo strumento fondamentale dell’astronomia. Oltre ai telescopi ottici – i primi a essere stati utilizzati – oggi esistono anche radiotelescopi, telescopi per infrarossi e ultravioletti, per raggi X e gamma. Per osservare meglio l’Universo, l’uomo è arrivato anche a installare un telescopio in orbita attorno alla Terra
Miliardi e miliardi di anni fa l’Universo era molto diverso da come lo vediamo oggi.
Eppure possiamo descrivere il passato dell’Universo e scrutare curiosi il suo presente grazie alla radiazione elettromagnetica, innanzitutto quella visibile ma anche quella infrarossa, ultravioletta, a raggi X e gamma. La radiazione irradiata in epoche remote – e che attualmente raggiunge la Terra dopo aver viaggiato nell’Universo alla velocità costante di circa 300.000 km/s – offre agli astronomi, che la catturano con i telescopi, l’immagine del cosmo così com’era quando è stata emessa. Si tratta di un Universo lontano, nel tempo e nello spazio.
Oltre al telescopio ottico – che ha per antenati il cannocchiale di Galilei (telescopi rifrattori) e il riflettore di Newton (telescopi a riflessione) – esistono strumenti in grado di captare ogni frequenza dello spettro elettromagnetico. Ci sono, per esempio, radiotelescopi – vere e proprie antenne che in genere lavorano a gruppi e non isolate –, telescopi per infrarossi e ultravioletti, telescopi per raggi X e gamma, costruiti con particolari accortezze, dal momento che queste radiazioni possono attraversare vetro e metallo, i materiali caratteristici di un telescopio ottico.
Questi strumenti sono in genere installati in luoghi piuttosto isolati – come l’arido deserto cileno, le Isole Hawaii, il Monte Palomar negli Stati Uniti – per ridurre al minimo le interferenze dovute all’inquinamento luminoso dei grandi agglomerati urbani o i disturbi prodotti dalle gocce d’umidità sospese nell’aria. Dal 1990 inoltre è in funzione Hubble, un telescopio spaziale che si trova a 600 km di altezza dal suolo e quindi non risente delle distorsioni provocate dall’atmosfera.
Comunemente il telescopio richiama alla mente, innanzitutto, gli strumenti ideati e realizzati per catturare la luce visibile. Questi strumenti permettono di studiare oggetti molto grandi e lontani, come le stelle, perché aumentano l’angolo visuale sotto cui li osserviamo consentendoci di scorgerne i particolari. Come detto in precedenza, esistono sia telescopi rifrattori, che per focalizzare la luce si servono di lenti, sia telescopi riflettori, che invece ricorrono a specchi per ottenere questo risultato.
I telescopi a rifrazione sono formati da un lungo tubo provvisto alle sue estremità di lenti o gruppi di lenti: quella iniziale, chiamata obiettivo, raccoglie la luce e la fa convergere sulla lente che si trova all’altro capo del tubo, l’oculare, con cui poi si osservano i dettagli dell’immagine. I telescopi a riflessione, invece, raccolgono la luce per mezzo di uno specchio parabolico (primario od obiettivo) e la concentrano nel fuoco della parabola dove è raccolta da un secondo specchio (secondario) che la indirizza verso l’occhio dell’osservatore oppure su una pellicola fotografica oppure ancora, sempre più spesso, verso i CCD (Charge-coupled device «Dispositivo ad accoppiamento di carica»), dispositivi a stato solido che trasformano la luce in arrivo in carica elettrica rilevabile da un computer.
Per studiare oggetti poco luminosi come galassie e nebulose servono strumenti di diametro notevole, in grado di raccogliere molta luce: la grandezza delle lenti o degli specchi che catturano la radiazione è determinante per la qualità delle osservazioni che si possono effettuare grazie ai telescopi ottici.
Per questo i telescopi più diffusi oggi sono a riflessione: hanno meno limiti tecnici dei rifrattori – per quanto riguarda le dimensioni che possono raggiungere –, sono più semplici da realizzare e meno costosi.
Il più grande telescopio rifrattore orientabile in attività è quello dell’Osservatorio Yerkes di Williams Bay, negli Stati Uniti, con un’apertura di 101 cm. Sempre alla classe dei rifrattori appartengono i coronografi, gli strumenti appositamente costruiti per osservare l’atmosfera solare, detta appunto corona.
Fra i telescopi riflettori, invece, merita il primato l’osservatorio Keck, che si trova alle Hawaii e dispone di due telescopi gemelli ognuno del diametro di 10 m. Gli specchi del Keck non sono realizzati in un unico blocco, ma risultano formati da 36 tasselli esagonali che vengono allineati grazie a un sistema di controllo elettronico e così realizzano uno specchio virtuale di dimensioni molto maggiori.
Una strategia simile è anche alla base della realizzazione degli interferometri ottici, dispositivi in grado di utilizzare congiuntamente le immagini raccolte da più telescopi. In questo modo si realizza un dispositivo virtuale di dimensioni complessive molto maggiori rispetto a quelle di ogni componente. L’esempio oggi più significativo è il Very large telescope (VLT «Telescopio molto grande») realizzato dall’Agenzia spaziale europea nel deserto del Cile. Il dispositivo è formato da quattro telescopi, ciascuno con un diametro di 8,2 m, collegati fra loro in modo da offrire prestazioni analoghe a quelle di uno specchio di 16 m di diametro.
Un caso a sé è invece rappresentato dal telescopio Hubble, un progetto congiunto delle Agenzie spaziali statunitense (NASA, National aeronautics and space administration) ed europea (ESA, European space agency) messo in orbita negli strati esterni dell’atmosfera terrestre nel 1990. Hubble è un telescopio riflettore formato da due specchi – quello primario ha un diametro di 2,4 m, quello secondario di 0,3 m – e a bordo dispone di alcuni spettrometri (spettrometria) e di dispositivi per acquisire immagini. Alimentato con pannelli solari e stabilizzato grazie a giroscopi, Hubble non risente delle turbolenze atmosferiche e riesce a esaminare anche la radiazione infrarossa, in genere assorbita dall’atmosfera. Grazie alle sue osservazioni, in questi anni l’astronomia ha fatto notevoli progressi e sono emersi particolari prima non rilevabili con i telescopi terrestri.
Nato per essere uno strumento rivoluzionario, il telescopio spaziale Hubble è stato, però, ai suoi esordi, una vera delusione per gli astronomi. Le prime immagini inviate dal telescopio sulla Terra presentavano notevoli distorsioni perché il suo specchio primario era stato progettato per funzionare nell’atmosfera e non nel vuoto.
Per correggere l’errore, fu organizzata una spedizione che nel dicembre 1993 montò un sistema correttivo formato da cinque specchi. Da allora Hubble ha regalato emozionanti immagini del cielo: ha ripreso l’impatto della cometa Schoemaker–Levy contro il pianeta Giove, nel 1994; ha scoperto la presenza di pianeti esterni al Sistema Solare; è stato un utile strumento per verificare ipotesi formulate dagli astrofisici, come la presenza di buchi neri nelle galassie.
I protagonisti della radioastronomia, che si interessa alle emissioni di onde radio presenti nell’Universo, sono i radiotelescopi. Con questi strumenti si studiano pulsar e quasar, oggetti celesti poco luminosi ma molto attivi nella banda delle radioemissioni, e si mantengono i contatti con le sonde che attualmente sono in viaggio nell’Universo per studiarli.
I radiotelescopi sono grandi antenne paraboliche, isolate oppure – più spesso – collegate tra loro; il diametro medio si aggira tra i 25 e i 30 m, una misura ottimale per raccogliere le radioemissioni, che hanno una lunghezza d’onda molto maggiore di quella della luce visibile. Naturalmente, anche in questo caso, si distinguono veri e propri ‘giganti’, come il radiotelescopio di Arecibo, nei pressi di Puerto Rico, del diametro di 305 m, realizzato in un cratere meteorico.
I telescopi per i raggi infrarossi e quelli per gli ultravioletti hanno una struttura simile a quella dei telescopi ottici e servono per scandagliare – i primi – le regioni oscure della nostra galassia e dello spazio intergalattico e – i secondi – i gas interstellari, le stelle giovani e le aree gassose delle galassie.
Per studiare i raggi X e gamma provenienti dall’Universo servono strumenti con schermature di piombo per impedire che le radiazioni altamente ionizzanti si disperdano. Per evitare che l’atmosfera assorba queste radiazioni, i telescopi vengono messi in orbita attorno alla Terra, come nel caso dell’osservatorio a raggi Chandra, lanciato nel 1999 per studiare le caratteristiche delle stelle esplose – novae e supernovae – e delle pulsar.