Le tre guerre combattute fra Roma e Cartagine, che segnarono l’egemonia di Roma nel Mediterraneo (v. fig.).
Roma e Cartagine ebbero inizialmente rapporti amichevoli: il primo trattato risalirebbe al 509 a.C. secondo Polibio, al 348, più probabilmente, secondo Diodoro; l’intesa sorse in funzione anti-etrusca e poi anti-greca in occasione della guerra di Pirro. Dopo la vittoria su Pirro, Roma venne a trovarsi quasi a contatto con il territorio cartaginese in Sicilia e i due imperialismi vennero a interferire: la spinta romana verso il sud non poteva arrestarsi allo Stretto di Messina.
La prima guerra punica ebbe inizio nel 264 a.C. quando i Mamertini, i mercenari campani che dal 289 tenevano Messina, chiesero l’appoggio di Roma per liberarsi del presidio cartaginese (al quale si erano precedentemente assoggettati per difendersi da Gerone di Siracusa) e i Romani intervennero inviando aiuti. Dopo parziali successi (presa di Agrigento, nel 262), i Romani, consapevoli che Cartagine doveva esser vinta sul mare (i Cartaginesi padroni del mare potevano continuamente inviare rinforzi di mercenari dell’Africa, che le loro grandi disponibilità economiche permettevano di raccogliere), seppero trasformarsi rapidamente in potenza navale. All’inizio del conflitto Roma non aveva esperienza di guerra navale, non una marina né una tecnologia paragonabili a quelle di Cartagine. Per compensare la mancanza di esperienza, equipaggiò le sue navi con uno speciale congegno d’abbordaggio, il corvo, che agganciava la nave nemica e permetteva alla fanteria, trasportata, di combattere secondo le tecniche sperimentate negli scontri a terra. La vittoria conseguita da Gaio Duilio a Mile (Milazzo) nel 260 dimostrò l’efficienza della nuova flotta.
Il programma di portare la guerra in Africa, per colpire direttamente Cartagine, fallì: Attilio Regolo dopo la battaglia di Ecnomo (256) riuscì a sbarcare in Africa e sollevare le popolazioni indigene, a costringere Cartagine a chieder pace, ma poi il suo esercito fu distrutto ed egli stesso fatto prigioniero. Il centro della guerra fu allora riportato in Sicilia. Nel 241 la vittoria navale di Lutazio Catulo alle Egadi ristabiliva definitivamente la supremazia di Roma e chiudeva la prima guerra. Cartagine perse così la Sicilia, e 3 anni dopo, sotto una nuova minaccia delle armi, anche Corsica e Sardegna.
Cartagine cercò di compensare queste perdite con una sistematica penetrazione in Spagna diretta da Amilcare Barca e poi dal genero Asdrubale. Roma, minacciata dai Galli nell’Italia settentrionale, si accordò con Cartagine nel 226 (trattato dell’Ebro) riconoscendole il diritto di espandersi a sud dell’Ebro. Roma tuttavia conservò anche dopo il trattato l’alleanza con Sagunto, valendosi di un suo diritto formale, ma ledendo la promessa di non contendere a Cartagine il territorio a sud del fiume; d’altra parte Annibale assalì Sagunto (219) agendo nell’ambito del trattato, ma provocando Roma in difesa della sua alleata. Sagunto non fu che un’occasione per l’urto tra le due potenze: soprattutto Cartagine cercava la rivincita. Annibale concepì il piano dell’invasione dell’Italia mirando alla dissoluzione dello Stato romano. L’originalità tattica e il fascino che esercitava sui soldati gli assicurarono clamorose vittorie, ma fu errata la sua valutazione sulla coesione della federazione italica. La rapida marcia di Annibale attraverso i Pirenei, la Gallia, le Alpi, disorientò i Romani; Publio Cornelio Scipione fu battuto al Ticino e quindi, insieme con Tiberio Sempronio, alla Trebbia (218). L’anno seguente Annibale, penetrato nell’Italia centrale, distrusse l’esercito di Gaio Flaminio in un’imboscata presso il lago Trasimeno. Mentre egli scendeva in Puglia, prevalse a Roma una tattica di temporeggiamento con la dittatura di Fabio Massimo detto appunto cunctator «temporeggiatore»; nel 216, sotto il consolato di Emilio Paolo e Terenzio Varrone, riprese vigore il programma offensivo che portò all’ultimo e maggior disastro, la battaglia di Canne, capolavoro strategico di Annibale. Gravi conseguenze di questa sconfitta furono per i Romani le ribellioni dei Galli della valle padana, le defezioni dei Sanniti, dei Bruzi, dei Lucani, di Capua ecc., e l’alleanza di Annibale con Filippo V di Macedonia. Tuttavia la maggioranza dei confederati (tutta l’Italia centrale e vari centri di quella meridionale) rimasero fedeli a Roma, permettendole di resistere e di riprendere la strategia del logoramento sostenuta da Fabio Massimo. Lentamente Roma migliorava la situazione mentre Annibale passava alla difensiva: Siracusa fu presa dai Romani nel 212, Capua nel 211; senza conseguenze fu la sortita di Annibale alle porte di Roma. In Spagna, dove le truppe romane erano rimaste a ostacolare i rinforzi cartaginesi, Publio Cornelio Scipione prese nel 209 Cartagena, il principale arsenale nemico, e proseguì nell’occupazione della Spagna, portando a Roma un essenziale contributo economico. Dalla Spagna il fratello di Annibale, Asdrubale, riuscì a penetrare in Italia ma, prima di congiungersi con il fratello, fu sconfitto e ucciso al Metauro da Claudio Nerone e Livio Salinatore. Nel 205 un altro fratello di Annibale, Magone, trasportò dalla Spagna un esercito nell’Italia settentrionale per rianimare la rivolta dei Galli. I Romani, ormai nelle condizioni di rovesciare la situazione e di portare la guerra in Africa, affidarono l’impresa a Scipione, che aveva perfezionato una tattica di accerchiamento superiore a quella di Annibale. Sbarcato nel 204 e alleatosi con Massinissa re dei Numidi, Scipione riportò un’importante vittoria ai Campi Magni, che ebbe per conseguenza l’occupazione del regno di Siface da parte di Massinissa e la pace alle condizioni del ritiro di Annibale e di Magone dall’Italia e della rinunzia alla Spagna. Al ritorno di Annibale i Cartaginesi riaprirono le ostilità ma furono definitivamente battuti da Scipione a Naraggara (202). Le condizioni di pace imposero a Cartagine la rinuncia alla Spagna, ai territori non punici d’Africa (a favore di Massinissa) e a tutta la flotta, gravose indennità, il divieto di fare guerre, anche in Africa, senza il consenso romano.
Con la vittoria Roma acquistava l’incontrastato dominio sul Mediterraneo occidentale e veniva a sostituire Cartagine anche come Stato commerciale. Tollerò tuttavia la sua ripresa dal punto di vista commerciale. Quando però Roma consolidò l’egemonia sul Mediterraneo con le vittorie in Oriente, risultò inevitabile l’eliminazione di ogni pericolo che in Africa poteva ancora costituire Cartagine, tanto più che l’espansione dell’area economica induceva a eliminare la concorrenza commerciale cartaginese, e il formarsi del latifondismo in Italia richiedeva uno sbocco alla piccola proprietà con l’acquisto di nuovi fertili territori. Occasione della guerra fu Massinissa, che con le sue provocazioni costrinse Cartagine a dichiarargli guerra (151 a.C.), violando così il trattato con Roma. I Cartaginesi, pur di evitare la guerra con Roma, avrebbero ceduto a tutte le richieste romane, ma non poterono accettare l’intimazione di abbandonare la loro città per fondarne una nuova a 10 miglia dal mare. Dopo una resistenza di tre anni (149-146) Scipione Emiliano espugnò Cartagine nel 146. La città fu distrutta, i cittadini uccisi o resi schiavi; quasi tutto il territorio fu trasformato nella provincia romana di Africa governata da un pretore con sede a Utica.