fotoelasticità Metodo per la determinazione sperimentale dello stato di tensione di un corpo sottoposto a carichi esterni, con procedimenti sfruttanti la birifrangenza meccanica su modelli. Essa costituisce, in vari casi, uno strumento di notevole importanza per i progettisti sia meccanici sia civili. I limiti del suo impiego risiedono principalmente nella effettiva possibilità di riprodurre fedelmente sul modello, oggetto dello studio, le condizioni reali operative agenti sull’elemento da progettare.
In un sistema piano lo stato di tensione è perfettamente determinato quando siano note, punto per punto, le direzioni principali di tensione e i valori delle tensioni a esse relative. In alcuni materiali, in conseguenza dell’applicazione di carichi esterni, insorge il fenomeno della birifrangenza artificiale meccanica; se essi cioè sono investiti da luce polarizzata, la dividono in due componenti parallele alle direzioni principali di tensione, le quali viaggiano con velocità diverse, il cui valore dipende dall’entità delle tensioni principali presenti nel materiale. Se quindi un fascio di luce, polarizzata mediante un opportuno filtro, attraversa un modello di materiale fotoelastico caricato da forze esterne, è possibile osservare, dietro un secondo filtro detto analizzatore e disposto con il piano di simmetria normale a quello del polarizzatore, frange di interferenza (fig. 1), distinte in due famiglie chiamate isocline e isocromatiche. Le prime sono il luogo dei punti in cui le direzioni principali di tensione, variabili da punto a punto, sono contenute nei piani di simmetria del polarizzatore e dell’analizzatore; le seconde, invece, sono il luogo dei punti in cui è costante la differenza delle tensioni principali.
Nella fig. 2 sono illustrate le frange fotoelastiche isocromatiche ottenute in un modello di un cuscinetto volvente, nel quale il carico si trasmette tra anelli e rullo nei punti di contatto. Con un numero sufficiente di rilievi è possibile tracciare l’andamento delle isostatiche (fig. 3). Il valore della differenza delle tensioni principali può essere determinato mediante le isocromatiche; infatti, dette σ1 e σ2 le tensioni principali, si ha σ1−σ2=nF/s, dove n è l’ordine dell’isocromatica considerata, F è la costante di frangia, dipendente principalmente dal materiale fotoelastico usato e, in piccola misura, dalla lunghezza d’onda della luce impiegata, e s è lo spessore del modello. La numerazione dell’ordine delle isocromatiche è di facile esecuzione osservando che, in luce monocromatica, essa segue l’ordine di apparizione delle frange all’aumentare del carico, mentre, in luce bianca, l’ordine zero è nero, mentre gli altri, colorati, sono numerati in base alla successione dei colori. Una volta nota la differenza delle tensioni principali basterà determinare la somma per poter calcolare, per addizione e sottrazione, separatamente ciascun valore di esse.
Per lo studio dei problemi tridimensionali mediante la f. si sfrutta la particolare proprietà di alcuni materiali fotoelastici, per es. l’araldite, i quali, deformati alla temperatura di ricottura, conservano congelata, una volta riportati a temperatura ambiente, la deformazione indotta. Con essa rimane congelato anche il mutamento delle proprietà fotoelastiche avvenuto sotto carico; è possibile allora tagliare il modello in sottili lamine che vengono poi studiate secondo le modalità della f. piana. È stato inoltre introdotto l’impiego della f. in luce dispersa per lo studio di problemi tridimensionali. Nel materiale birifrangente costituente il modello vengono diffuse delle particelle in grado di disperdere la luce che lo attraversa. Se si invia quindi un fascio di luce polarizzato e collimato, si può osservare nel piano ortogonale al piano di polarizzazione una serie di frange di interferenza dovute alla presenza del carico sul modello. Ruotando opportunamente il modello si possono indagare tutte le sezioni che vengono a disporsi normalmente al piano di polarizzazione.
L’uso della f. in luce dispersa è, rispetto al metodo del congelamento delle tensioni, di maggiore precisione ed essendo inoltre non distruttivo nei confronti del modello, consente una maggiore libertà di indagine. Si deve notare ancora che, essendo lo stato di sollecitazione di una struttura tridimensionale influenzato dal coefficiente di Poisson, per avere una intercambiabilità di risultati tra pezzo vero e modello, i valori di esso devono essere, per i due materiali, i più vicini possibile, il che è certamente più vero in una deformazione imposta a temperatura ambiente piuttosto che in una imposta a temperatura elevata.
I materiali che permettono l’uso della f. devono presentare il fenomeno della birifrangenza meccanica artificiale. Il primo materiale utilizzato per rilievi fotoelastici fu il vetro. Esso oggi ha una importanza solo storica in quanto sono comunemente in commercio materie plastiche la cui sensibilità è alcune decine di volte maggiore. Tale sensibilità è misurata dalla costante di frangia F che è inversamente proporzionale al numero di isocromatiche osservabili, a parità di carico e di spessore del modello. In generale, un buon materiale fotoelastico deve permettere di osservare un elevato numero di isocromatiche con un carico modesto, che non superi il limite di elasticità. Tra quelli più usati si ricorda il CR39, economico ma con la tendenza a deperire nel tempo, le gomme poliuretaniche, le resine epossidiche e, seppure con caratteristiche fotoelastiche minori, il plexiglas.