Elemento chimico di numero atomico 9, peso atomico 19,00 (se ne conosce un solo isotopo stabile, 199F). A temperatura ambiente si presenta come un gas di colore giallo pallido, capace di liquefare solo a bassissima temperatura (−188 °C a pressione normale). Fa parte del gruppo degli alogeni, di cui costituisce il primo membro; è il più elettronegativo degli elementi, mostra una notevole reattività chimica e infatti si combina, direttamente o indirettamente, con tutti gli elementi (tranne che con elio, neo e argo) formando composti, alcuni dei quali sono a loro volta dotati di facile reagibilità, mentre altri sono eccezionalmente inerti e stabili. Numerosi metalli sono attaccati dal f., mentre alcuni altri formano strati superficiali protettivi che impediscono il progredire dell’attacco agli strati sottostanti; così, mentre il piombo reagisce energicamente a freddo, l’alluminio, il ferro, il cromo, il nichel si passivano per formazione di veli protettivi stabili a freddo; il rame e l’oro non sono quasi affatto attaccati.
Il f., i cui sali erano già noti a K.W. Scheele verso il 1770, fu isolato nel 1886 da H.-F. Moissan, ma solo in tempi successivi ha assunto grande interesse per l’importanza di molti suoi derivati, sia inorganici sia organici. Per la sua reattività il f. non si trova libero in natura; il suo composto naturale più importante è la fluorite (fluoruro di calcio, CaF2); vengono poi la criolite (fluoruro di sodio e di alluminio, Na3AlF6), l’ apatite, la fluellite ecc. La preparazione del f. è basata sull’elettrolisi dell’acido fluoridrico liquido, anidro, reso elettricamente conduttore dalla presenza di fluoruro potassico. Le celle nelle quali si opera, per lo più a temperature tra 100 e 120 °C, sono d’acciaio al carbonio; gli elettrodi, di ferro (catodo) e di carbonio (anodo). Il f. che si ottiene è sempre un po’ impuro (per acido fluoridrico, anidride carbonica, ossigeno, azoto ecc.); si conserva in cilindri d’acciaio e di solito si consuma nei luoghi stessi di produzione.
La fluorosi è un’intossicazione da f., oppure il semplice deposito di f. in alcuni organi (denti, ossa). Può avere varia origine, quella professionale è la più frequente (negli operai delle industrie dell’alluminio, del vetro, della ceramica ecc.). La fluorosi acuta si manifesta come una gastroenterite acuta emorragica, con convulsioni e, talora, collasso e morte. La fluorosi cronica si manifesta, in genere, dopo due o tre anni d’intossicazione, con caratteristiche alterazioni dentarie (decalcificazione della dentina e dello smalto), bronchiti e gastroenteriti croniche, degenerazione del fegato e del rene e alterazioni scheletriche (osteosclerosi, calcificazione di legamenti articolari ecc.). La cura delle forme acute è sintomatica; in quelle croniche si effettua con somministrazione di calcio e vitamina D.
La fluorurazione è l’operazione con la quale s’introducono uno o più atomi di f. in un composto organico. Diversi sono i metodi: quello più usato consiste nel sostituire gli atomi di f. ad atomi di altri alogeni già presenti nella molecola, e come agenti per quest’operazione si usano il tri- e il pentafluoruro d’antimonio, l’acido fluoridrico, il fluoruro di mercurio o di potassio. Altri metodi, di applicazione più limitata, sono quelli di elettrolisi di una soluzione di acido fluoridrico del composto organico da fluorurare e quello di diazotazione di un’ammina seguita da decomposizione del sale di diazonio per formare il fluoruro (metodo che però naturalmente vale solo per composti aromatici). Oggi la fluorurazione è largamente usata nell’industria chimica, perché i composti che si ottengono hanno in genere eccezionali proprietà di stabilità chimica e termica.
Il termine fluorurazione viene anche utilizzato per indicare la ricopertura delle superfici esterne delle lenti degli strumenti ottici con uno strato estremamente sottile di fluoruro di magnesio o di criolite, che permette di ridurre all’1-3% le riflessioni passive, le quali ammontano a circa il 4-7% della luce trasmessa.