Fisico e chimico tedesco (Briesen, od. Wa̧brzeźno, Toruń, 1864 - Bad Muskau, Alta Lusazia, 1941). Figlio di un giudice, studiò fisica in diverse università, e, nel 1887, si laureò con lode a Würzburg con F. Kohlrausch presentando la tesi "Sulle forze elettromotrici provocate da effetti magnetici in dischi metallici percorsi da flussi di calore". Nello stesso anno della laurea divenne assistente di W. Ostwald. Assistente di J. W. Brühl a Heidelberg, fu assistente e poi prof. (1894) a Gottinga nell'istituto di chimica fisica, realizzato specificamente per le sue ricerche, che in poco tempo diventò un centro di richiamo per la chimica fisica al pari di quello di Lipsia diretto da Ostwald. Dal 1905 al 1922 prof. di chimica fisica a Berlino. Per due anni presiedette il Physikalisch-Technische Reichsanstalt e dal 1924 al 1933 diresse l'istituto di fisica sperimentale dell'Università di Berlino. Fu tra i 93 firmatarî dell'Appello degli intellettuali al mondo civilizzato (1914) scritto per legittimare i temi di fondo del nazionalismo tedesco all'inizio del primo conflitto mondiale. Partecipò come volontario alla prima guerra mondiale dove prese parte alla batttaglia della Marna; fu poi consigliere tecnico presso l'Alto Comando insieme con altri scienziati. Con l'avvento del regime nazista, rifiutò ogni incarico pubblico. Ultimo esponente della scuola legata ai nomi di S. Arrhenius, J. H. van't Hoff e Ostwald, svolse fino al 1905 le sue ricerche nel campo della termodinamica e della teoria delle soluzioni (concetto di forza ionica, teoria delle forze elettromotrici in soluzioni a composizione variabile, teoria della diminuzione della solubilità per aggiunta di una sostanza solubile, ecc.); in questi campi, fondamentali furono i suoi contributi anche metodologici. È di questo periodo (1893) il trattato Theoretische Chemie vom Standpunkt der Avogadroschen Regel und der Thermodynamik. La termodinamica delle reazioni chimiche portò N. a nuovi concetti teorici da lui verificati con procedimenti sperimentali molto ingegnosi: un metodo per la determinazione delle costanti dielettriche dei liquidi per mezzo di un ponte di Wheatstone a corrente alternata, una microbilancia a torsione di elevata precisione e una termobilancia utilizzata per i primi studî termogravimetrici. Applicando la teoria della dissociazione elettrolitica di Arrhenius arrivò a formulare una teoria della diffusione ionica secondo la quale i metalli posti in contatto con una soluzione tendono a passare in questa come ioni positivi; ne consegue che l'elettrodo metallico che fornisce gli ioni alla soluzione tende a caricarsi negativamente sicché si viene a formare un doppio strato elettrico nell'interfaccia elettrodo-soluzione. All'inverso, gli ioni in soluzione tendono a depositarsi sull'elettrodo in misura tanto maggiore quanto più elevata è la concentrazione ionica. N. correlò questa tendenza con la pressione osmotica che la soluzione esercita nei confronti del metallo e stabilì che dall'equilibrio delle due opposte tendenze si determina un potenziale di elettrodo esprimibile in funzione della temperatura termodinamica e della pressione osmotica. Partendo da questa teoria N. giunse a stabilire nel 1889 una relazione tra il potenziale di elettrodo e la concentrazione dello ione metallico nelle pile galvaniche. Lavorando sulle reazioni d'equilibrio degli ossidi d'azoto, N. fu gradualmente portato a occuparsi del più generale problema della determinazione delle costanti d'equilibrio a partire dai dati termici. Questo approccio incontrava notevoli difficoltà perché la forma integrata della relazione tra lavoro massimo (dal quale, nelle trasformazioni reversibili a volume costante, è possibile determinare le costanti d'equilibrio) e calore ottenuto in una reazione a una data temperatura presentava una costante d'integrazione non determinabile. N. partì dalla constatazione che il principio del massimo lavoro di M. Berthelot (che correlava il lavoro massimo alla quantità di calore sviluppato) non aveva validità generale in quanto contrario ad alcune evidenze sperimentali. N. riconobbe che la soluzione del problema della costante d'integrazione stava nel trovare le condizioni sotto le quali il principio di Berthelot era soddisfatto e superò l'ostacolo stabilendo, per estrapolazione da dati sperimentali relativi ai calori specifici di sostanze a bassa temperatura, che tale principio era una legge più o meno approssimata alle temperature ordinarie ma rigorosamente vera in prossimità dello zero termodinamico, cioè che in tale condizione di temperatura la variazione d'entropia è nulla. Conosciuta così, in uno stato particolare, la relazione che lega il lavoro massimo al calore sviluppato, diventava possibile calcolare senza indeterminazione il lavoro disponibile nel sistema utilizzando solo dati termici e infine determinare le costanti d'equilibrio che corrispondono al caso particolare in cui il lavoro è nullo. Lo studio termodinamico dei processi chimici permetteva così di prevedere l'andamento delle reazioni chimiche. Il risultato ottenuto fu considerato da N. un principio generale, oggi noto come terzo principio della termodinamica, che rappresenta il suo più grande contributo alla scienza e che gli valse il premio Nobel per la chimica nel 1920. La verifica sperimentale del terzo principio spinse N. a migliorare la precisione delle misure nelle reazioni a basse temperature e nella realizzazione di sintesi a pressioni elevate e alta temperatura (come, per es., quella dell'ammoniaca che a quel tempo costituiva anche un notevole problema della chimica preparativa). A. Einstein e N. giunsero per strade diverse a prevedere l'annullamento dei calori specifici dei solidi all'approssimarsi della temperatura allo zero assoluto. Ottenuta una grande quantità di dati sperimentali, in accordo con l'andamento previsto da Einstein sulla base della quantizzazione dell'energia delle vibrazioni atomiche nei solidi, N. organizzò il convegno Solvay del 1911, di grande importanza nella storia della teoria quantistica. Due invenzioni di N. suscitarono interesse ma non furono sfruttate industrialmente. Una fu la lampada di N. (1897), un cilindretto costituito da un impasto di ossidi di zirconio (85%) e di terre rare, in genere ittrio, che emetteva luce a circa 2200 ºC; la lampada non richiedeva il vuoto, il suo rendimento era superiore alle lampade a filamento di carbone, ma necessitava di un dispositivo di preriscaldamento che ne rendeva difficile la costruzione. L'altra invenzione fu un piano elettrico in cui il suonatore regolava l'intensità dell'energia elettrica con cui faceva vibrare le corde.