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Umanesimo

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Umanesimo Periodo storico le cui origini sono rintracciate dopo la metà del 14° sec., e culminato nel 15°: tale periodo si caratterizza per un più ricco e più consapevole fiorire degli studi sulle lingue e letterature classiche, considerate come strumento di elevazione spirituale per l’uomo, e perciò chiamati, secondo un’espressione ciceroniana, studia humanitatis. Si parla di u. filologico per distinguere, nel 14° e 15° sec., l’attività degli umanisti intesa al recupero, allo studio, alla pubblicazione dei testi classici, dall’attività di quegli stessi umanisti intesa più generalmente alla creazione letteraria e filosofica, all’elaborazione di una nuova civiltà. Si parla poi di u. volgare in relazione allo sbocco storico dell’U., quando, nella seconda metà del 15° sec., gli ideali letterari di scrittura armoniosa e ornata sono trasferiti in Italia alle opere letterarie in volgare. Con riferimento, esplicito e implicito, all’U. quale periodo storico, il termine è usato infine per caratterizzare ogni orientamento che riprenda il senso e i valori affermatisi nella cultura umanistica: dall’amore per gli studi classici e per le humanae litterae alla concezione dell’uomo e della sua ‘dignità’ quale autore della propria storia, punto di riferimento costante e centrale della riflessione filosofica.

Per l’U. rinascimentale ➔ Rinascimento.

L’U. filologico

Intorno alla metà del 14° sec., e per impulso soprattutto di F. Petrarca, gli studi classici assunsero un carattere nuovo, il cui aspetto più appariscente fu la ricerca, nelle biblioteche chiesastiche e poi monastiche, dei codici antichi. Si manifestò, in pratica, l’esigenza di non contentarsi di quella parte della letteratura latina che era giunta sino allora per tradizione scolastica e culturale ininterrotta, ma di recuperare anche la parte di essa che era stata dimenticata. Si cercò, inoltre, di restituire le testimonianze della grecità che, salvo nell’Italia meridionale, erano state sino allora dovunque trascurate. Si accompagnò a questa ricerca lo sforzo di sostituire alla lingua latina, più o meno profondamente corrotta durante il Medioevo, la lingua dei classici, cioè di recuperare la latinità (in particolare quella virgiliana e ciceroniana) anche come strumento linguistico: il latino così diventò, proprio quando i vari volgari avevano prodotto capolavori, la lingua letteraria per eccellenza. Nel costituire la sua ricca biblioteca, soprattutto durante la permanenza ad Avignone, punto d’incontro di varie correnti culturali, Petrarca esercitò un’azione decisiva nella storia testuale dei classici, sia scoprendo nuovi testi, sia riunendo in un unico corpo i documenti della tradizione manoscritta (come, per es., per Livio). A Petrarca si deve la scoperta (1333) di due orazioni ciceroniane, nonché il recupero delle epistole Ad Atticum e di un testo mutilo delle Institutiones quintilianee; a Boccaccio le riconquiste, integrali o parziali, o la rivalorizzazione critica di testi di Varrone, Marziale, Apuleio, Seneca, Ovidio, e soprattutto di Tacito. Seguì nel 1392, per opera di C. Salutati, la riscoperta delle epistole ciceroniane Ad familiares. Estremamente fecondo fu il primo Quattrocento: il solo P. Bracciolini scoprì, tra le molte altre, opere come le Selve di Stazio, le Puniche di Silio Italico, il De rerum natura di Lucrezio, altre orazioni ciceroniane ecc. Si può dire che tutto o quasi il patrimonio attuale di autori latini è stato scoperto o rimesso in circolazione nel Quattrocento; dopo, solo sporadicamente sono stati recuperati nuovi testi, sino alla fase di scoperte umanistiche greche determinata dalla papirologia.

Anche l’U. greco, almeno come desiderio di avvicinarsi alla grecità, se non come effettivo possesso della lingua, comincia da Petrarca e da Boccaccio, il quale ultimo ospitò a Firenze (1360-62) il calabrese Leonzio Pilato e lo fece nominare lettore di greco allo Studio: da lui i due amici ebbero facilmente la traduzione latina dei poemi omerici, dalla quale gli studi greci in Occidente hanno il loro effettivo inizio. Poco dopo (1397) M. Crisolora cominciò a Firenze il suo insegnamento più tecnicamente umanistico, finché, come conseguenza anche dell’afflusso di eruditi greci (G.G. Pletone, il Bessarione) in occasione del Concilio di Ferrara-Firenze (1438-39) e per effetto della caduta di Costantinopoli in mano ai Turchi (1453: G. Argiropulo, D. Calcondila, C. Lascaris), l’U. greco raggiunse la sua piena fioritura.

Intanto, gli umanisti affinavano il loro latino, creando ex novo una grammatica e una stilistica della lingua (Elegantiae latinae linguae di L. Valla, 1444), e sviluppavano la grande filologia umanistica della quale era già stato iniziatore Petrarca. I testi da sempre conosciuti e quelli ora ritrovati erano corretti, interpretati, commentati dal punto di vista linguistico, storico, archeologico; s’instaurava così, al posto della semplice ricezione medievale, una lettura critica ad alto livello, nella quale consiste la più importante novità dell’Umanesimo.

In Italia, la ricerca erudita sull’antichità continuò nel primo Cinquecento, ma con minore libertà e inventività critica, mentre si sviluppavano le raccolte archeologico-antiquarie; la grande filologia riprese nel secondo Cinquecento (P. Vettori, P. Manuzio, F. Orsini, O. Panvinio, C. Sigonio). Alla fine del secolo, il primato filologico passò a Francesi, Olandesi (Giusto Lipsio), Tedeschi, Inglesi; ma ormai si trattava di attività filologica nel senso moderno, che escludeva cioè quei fini di costruzione integrale dell’uomo, che furono propri dell’Umanesimo.

Nel campo del diritto, l’intensificazione degli studi filologici contribuì a una completa riscoperta delle fonti di diritto romano, che portò in primis alla messa in discussione del Digesto risultante dalla Vulgata. I maggiori esponenti di questa corrente furono il francese G. Budé, il tedesco A. Zasius e l’italiano A. Alciato. Soprattutto la scuola francese è permeata dall’U., con lo sviluppo della scuola culta e l’affermarsi del mos gallicus iura docendi (➔ culti, scuola dei).

L’U. volgare

Essendo l’educazione dell’uomo la meta finale dell’U., era naturale che presto o tardi, svanita l’antistorica speranza di una resurrezione pura e semplice della lingua latina, ci si accorgesse che essa non poteva essere raggiunta se non attraverso l’adozione della lingua da tutti parlata; era naturale dunque che l’U. latino volgesse verso l’U. volgare. Ciò avvenne in Italia nella seconda metà del Quattrocento. Ma occorreva che l’uso del volgare fosse sottratto all’arbitrio di ogni scrivente e sottoposto a regole fisse. Questa gara, a cui già Dante accenna ma non senza contraddizioni, diventa aperta e consapevole in Petrarca e in Boccaccio, i quali intesero realizzare in volgare opere in tutto degne dell’antico; giunse poi a piena maturazione nel secondo Quattrocento, accompagnando o causando il risorgere della poesia (A. Poliziano, M.M. Boiardo, I. Sannazzaro); ricevette infine nel primo Cinquecento da P. Bembo la sua sistemazione nella teoria e nel concreto campo grammaticale e stilistico.

Scrittura umanistica

Scrittura usata nei manoscritti del 15° sec., dopo la riforma scrittoria promossa dagli umanisti italiani. L’ammirazione per la scrittura chiara e sobria degli antichi manoscritti (per lo più dei sec. 9°-12°, in minuscola carolina) indusse a riportare in uso la littera antiqua, ritenuta la scrittura antica dei Romani, a riprodurre cioè l’alfabeto rotondo e aggraziato della carolina. Già con Petrarca ebbe inizio il movimento di reazione contro la scrittura gotica dominante; con Boccaccio la riforma si affermò più chiaramente e con N. Niccoli e P. Bracciolini la scrittura umanistica raggiunse il suo pieno sviluppo. Essa sorse a Firenze, diffondendosi poi negli altri centri di cultura italiani. Di solito i manoscritti umanistici si riconoscono per l’uso frequente della s di tipo maiuscolo, la g sempre chiusa, la t con l’asta oltrepassante la sbarra, la i con il puntino e altri caratteri, oltre che per la fattura accurata del codice, la bianchezza della pergamena e le miniature. Accanto all’umanistica libraria o rotonda si ebbe una forma corsiva (usata prevalentemente nei documenti) che rappresenta la trasformazione della gotica corsiva sotto l’influenza della rotonda.

Vedi anche
Francesco Petrarca Petrarca (lat. Petrarca), Francesco. - Poeta e umanista (Arezzo 20 luglio 1304 - Arquà, od. Arquà Petrarca, Francesco, tra il 18 e il 19 luglio 1374). Nato ad Arezzo da Eletta Canigiani e da ser Pietro di ser Parenzo dell'Incisa in Valdarno, che era stato bandito da Firenze nel 1302 per dissidî personali ... Giovanni Boccàccio Boccàccio, Giovanni. - Scrittore (Certaldo o Firenze 1313 - Certaldo 21 sett. 1375). Tuttora sostenuta da alcuni la nascita a Parigi, da un'ignota francese, certo è comunque che il Boccaccio, Giovanni nacque da un amore illegittimo d'un mercante certaldese stabilitosi a Firenze, Boccaccio di Chelino, ... filologia In ogni ricerca, l’interpretazione di fatti (o di personaggi ecc.) basata sull’esame di testi, documenti o su notizie storiche. 1. Definizioni Il termine filologia, inteso nel mondo greco e latino come amore della dottrina, con particolare riguardo all’erudizione storica, si andò affermando in Europa ... retorica L’arte del parlare e dello scrivere in modo ornato ed efficace. 1. Le origini e l’età antica 1.1 La Grecia. L’arte retorica (➔ oratoria) nasce in Sicilia, a Siracusa, con Corace e l’allievo Tisia (5° sec. a.C.), sotto lo stimolo della necessità oratoria, incrementata dalla lotta politica e dalle controversie ...
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Vocabolario
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preumanistico preumanìstico agg. [comp. di pre- e umanistico] (pl. m. -ci). – Che precorre l’umanesimo, che è proprio del preumanesimo e dei preumanisti.
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