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neuroimaging

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In medicina, metodica estremamente dettagliata per la rappresentazione del sistema nervoso, e in particolare del cervello, ottenuta con tecniche di risonanza magnetica funzionale.

Approfondimento di Adina L. Roskies (Enciclopedia della Scienza e della Tecnica)

I contributi alla psicologia cognitiva

Nella psicologia cognitiva si verificano spesso situazioni in cui due o più teorie contrastanti spiegano ugualmente bene un fenomeno. In alcuni casi, gli esperimenti di neuroimaging possono essere usati per fornire prove che aiutino a scegliere una teoria piuttosto che un’altra. Per esempio, essi hanno fornito importanti evidenze che permettono di scegliere tra due modelli psicologici, prima indifferenziabili, riguardanti i ruoli che svolge l’attenzione spaziale nei compiti di ricerca visiva. Gli studi psicologici concernenti i paradigmi della ricerca visiva riportano curve con un aumento del tempo medio di scoperta dell’obiettivo in presenza di un aumento di fattori distraenti in concomitanza con i compiti di ricerca visiva. È stato ipotizzato che questi dati risultino dal decrescere dell’efficienza della ricerca parallela con più fattori distraenti, oppure dal tempo aggiuntivo richiesto per realizzare cambi seriali di attenzione rispetto agli oggetti a disposizione. I soli studi comportamentali non erano in grado di distinguere tra i due modelli. Con una serie di esperimenti PET, Maurizio Corbetta e i suoi collaboratori hanno individuato le aree della corteccia parietale superiore che sono coinvolte nei cambiamenti di attenzione spaziale. In uno studio successivo, tali autori hanno scoperto che queste stesse regioni corticali erano fortemente attivate nel corso di un compito di ricerca sulla congiunzione, e ciò ha fornito una prova evidente che per questi compiti di congiunzione il cervello impiega una strategia di ricerca seriale e non una ricerca parallela. L’imaging ha fornito un valido aiuto anche ai seguenti problemi: se l’attenzione sia basata sull’oggetto o sulla caratteristica; se i giudizi riguardanti il contesto in cui qualcosa è appreso (memoria della fonte), piuttosto che i giudizi di familiarità (memoria degli oggetti), coinvolgano differenti operazioni di recupero; se l’immagine mentale implichi o meno la riattivazione di aree corticali primitive.

I miglioramenti nella precisione e nella velocità con cui si svolge un compito dopo un certo periodo di pratica sono stati attribuiti al perfezionamento, con la pratica stessa, dell’efficienza operativa del sistema neuronale, oppure a un cambiamento nei circuiti neuronali che svolgono compiti ben noti o praticati. È probabile che un’analisi attenta della letteratura sulle lesioni avrebbe potuto consentire agli scienziati di discriminare tra queste due possibilità, tuttavia il tipo di cambiamento sotteso agli effetti della pratica è divenuto chiaro soltanto quando tali effetti sono stati esaminati con l’uso di metodi di neuroimaging. Numerosi studi sull’apprendimento cognitivo e su quello motorio hanno permesso di rilevare che differenti circuiti cerebrali si attivano in relazione all’automaticità di un compito e che questi percorsi neuronali possono cambiare nel giro di pochi minuti. Marcus E. Raichle e i suoi collaboratori hanno dimostrato che un compito di risposta verbale non sperimentato attiva sicuramente le regioni del cingolo anteriore prefrontale sinistro e delle cortecce temporali posteriori sinistre. Dopo un certo allenamento, la situazione risulta modificata: le regioni menzionate sopra diminuiscono la loro attivazione e la corteccia silviana insulare mostra un’attivazione più alta; lo schema dell’attività non è distinguibile da quello osservato in un semplice compito di ripetizione di parole. Di fronte a un nuovo stimolo, gli schemi di attivazione si riconvertono in quelli tipici di un compito non sperimentato.

Di recente sono stati prodotti risultati simili, che mostrano un cambiamento nell’architettura neuronale sottesa allo svolgimento di compiti semplici e sperimentati, a proposito dell’apprendimento motorio e visuomotorio. L’ulteriore esplorazione dei tempi di cambiamento degli schemi e delle correlazioni con le variabili comportamentali getteranno nuova luce sulla plasticità neuronale e sulla variabilità dei percorsi di elaborazione che accompagnano le operazioni cognitive più complesse. L’imaging ha inoltre permesso di compiere grandi progressi nella comprensione della memoria umana. Uno dei risultati più recenti e più sorprendenti ottenuti usando gli schemi connessi a eventi è l’aver scoperto che l’attivazione di diverse regioni della corteccia prefrontale e paraippocampale è correlata con la qualità del ricordo verbale e visivo: il tracciato dell’attività neuronale durante la codifica può predire se in seguito uno stimolo sarà ricordato oppure dimenticato.

La fMRI può anche essere usata per indagare i correlati neuronali della percezione conscia. I compiti di antagonismo binoculare presentano a ciascun occhio immagini tra loro incompatibili: sebbene la stimolazione retinica rimanga costante, i soggetti percepiscono alternativamente soltanto un’immagine per volta. Frank Tong e i suoi collaboratori hanno evidenziato che le risposte di ciascuna delle due aree visive dimostratesi in precedenza selettive nei confronti dei volti e delle case variavano periodicamente in opposizione, a seconda che il soggetto riferisse di vedere lo stimolo del volto o della casa, dimostrando così che un’aumentata attività neuronale in queste regioni selettive nei confronti dello stimolo era correlata con la percezione conscia. Infine, oltre a contribuire a chiarire problemi che la psicologia e gli studi sulle lesioni non erano stati in grado di risolvere, il neuroimaging ha fornito risultati del tutto imprevisti, ma sicuramente attendibili, le cui implicazioni per la teoria psicologica e neuronale restano oscure. Per esempio, in contrasto con le aspettative della letteratura neuropsicologica, gli studi di imaging hanno mostrato in modo coerente che le regioni della corteccia prefrontale sono importanti nel recupero della memoria episodica. Essi hanno suggerito che il coinvolgimento della corteccia prefrontale dorsolaterale nel recupero dell’informazione durante compiti di memoria episodica era lateralizzato, anche se studi più recenti indicano che la lateralizzazione della funzione durante il recupero è influenzata da numerosi fattori, tra i quali la natura dell’informazione che deve essere recuperata e il suo livello di dettaglio. Una così chiara dissociazione del recupero della memoria episodica da altri tipi di recupero della memoria non era stata mai anticipata prima degli studi di neuroimaging e, sebbene le implicazioni funzionali e cognitive di questa scoperta debbano essere ancora determinate, senza dubbio esse influenzeranno in modo significativo le conoscenze sull’organizzazione funzionale dei processi mnemonici.

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