Parkinson, mòrbo di Affezione cronica del sistema nervoso centrale, dell'età matura o avanzata, caratterizzata da tremore, rigidità muscolare e rallentamento dei movimenti (bradicinesia), con tipiche alterazioni della mimica e del linguaggio. È considerata una malattia degenerativa di alcuni centri del sistema nervoso extrapiramidale: le lesioni più cospicue si trovano nel nucleo della substantia nigra, che presenta diminuzione delle cellule pigmentate, note di atrofia e inclusioni citoplasmatiche nelle cellule superstiti.
Abstract di approfondimento da Parkinson, malattia di di Paolo Calabresi, Laura Pierguidi, Aroldo Rossi (Enciclopedia della Scienza e della Tecnica)
Diagnosi
Nell’accezione comune la diagnosi della malattia di Parkinson (MP) è considerata semplice. In realtà, fino a un decennio fa solo il 75% delle diagnosi cliniche trovava una conferma autoptica. La difficoltà nasce dal fatto che la MP può essere confusa con altre sindromi parkinsoniane secondarie e atipiche. Oggi, grazie all’introduzione di criteri diagnostici più accurati e delle moderne tecniche di neuroimaging, la conferma autoptica ha raggiunto delle percentuali superiori. I criteri diagnostici proposti dalla United Kingdom Parkinson’s Disease Society Brain Bank, successivamente revisionati da Douglas J. Gelb e dai suoi collaboratori, distinguono la malattia in probabile, possibile e certa sulla base del riscontro dei suoi segni tipici e dell’esclusione dei segni atipici che orientano verso diagnosi alternative (tab. 5). Vengono presi in considerazione segni motori cardinali quali il tremore a riposo, la rigidità, la bradicinesia e l’esordio asimmetrico. Di importanza non trascurabile sono inoltre la vistosa risposta alla levodopa e la presenza di discinesie da essa indotte nelle fasi avanzate di malattia.
I segni atipici che orientano verso una diagnosi alternativa sono la precoce instabilità posturale, il freezing precoce, la scarsa risposta alla levodopa, le allucinazioni non legate all’assunzione della terapia e la paralisi verticale dello sguardo. È fondamentale una attenta raccolta anamnestica circa l’eventuale assunzione di farmaci o sostanze tossiche in grado di determinare un parkinsonismo secondario, la modalità di esordio e di evoluzione dei sintomi, e l’eventuale familiarità per tremore o patologie dell’andatura. Grande importanza riveste, inoltre, un accurato esame obiettivo neurologico volto alla ricerca dei segni tipici e atipici. Recentemente alcuni autori hanno focalizzato l’attenzione su alcuni quadri clinici che possono venire confusi con la MP in fase precoce per il riscontro di tremore, rigidità, acinesia o disturbi dell’andatura. Importante è anche l’esclusione, tramite indagini ematobiochimiche e genetiche, di altre patologie, come il morbo di Wilson, la sindrome di Fahr secondaria a ipoparatiroidismo, la neuroacantocitosi, la malattia di Huntington o la distonia dopasensibile. Un utile ausilio per la diagnosi sono le tecniche di neuroimaging (tomografia computerizzata e risonanza magnetica), non tanto per il riscontro dei segni caratteristici della MP quanto per la possibilità di individuare eventuali lesioni secondarie di natura vascolare, neoplastica o infiammatoria, oppure anomalie tipiche di parkinsonismi su base degenerativa.
Recentemente sono state introdotte metodiche di neuroimaging funzionale (come la PET, Positron emission tomography, e la SPECT, Single photon emission computerized tomography) che sono in grado di riconoscere la perdita neuronale dopamminergica del sistema nigrostriatale, discriminando così la MP dalle patologie in cui questa non si verifica, quali il tremore essenziale, i parkinsonismi vascolari e quelli iatrogeni (per lo più da farmaci). Più complessa è la discriminazione dai parkinsonismi atipici (atrofia multisistemica, paralisi sopranucleare progressiva, degenerazione corticobasale, demenza a corpi di Lewy) che sono anch’essi caratterizzati da alterazioni nigrostriatali. La PET è considerata la metodica ottimale, per via dell’alta risoluzione delle sue immagini tridimensionali, tuttavia essa non è attualmente di uso comune a causa dei costi elevati. Grazie alla PET è possibile valutare lo stato del tessuto sottostante. In particolare, nei pazienti affetti da MP si osserva una ridotta captazione della levodopa marcata con 18F a livello del putamen, espressione di una perdita di terminali nervosi dopamminergici. La metodica funzionale più comunemente utilizzata, per via dei costi inferiori rispetto alla precedente, è la SPECT. In questo caso il ligando radiomarcato (il più utilizzato è il 123b-CIT) si lega in maniera selettiva al trasportatore dopamminergico (DAT) che è localizzato a livello presinaptico delle terminazioni nervose nigrostriatali. Anche in questo caso, nella MP si osserva una ridotta captazione particolarmente in riferimento al putamen. L’associazione di traccianti in grado di legarsi selettivamente al recettore striatale D2 (123I-iodobenzamide) può essere utile per la discriminazione della MP dai parkinsonismi atipici in cui si osserva anche una degenerazione dei terminali postsinaptici.
Terapia
Per il trattamento della malattia di Parkinson sono disponibili diverse possibilità terapeutiche. Il farmaco considerato più efficace è la levodopa, precursore della dopammina. La sua efficacia è stata dimostrata per la prima volta nel 1961. Pochi anni dopo essa è stata associata a inibitori delle decarbossilasi periferiche (benserazide e carbidopa), enzimi in grado di ridurre il suo metabolismo periferico, aumentandone, di conseguenza, la disponibilità a livello encefalico, e riducendo gli effetti collaterali a livello periferico. Ciò ha permesso che la levodopa venisse impiegata su larga scala a dosaggi notevolmente inferiori rispetto a quelli precedentemente utilizzati. Tale farmaco determina un miglioramento della sintomatologia con particolare riguardo alla rigidità e all’acinesia. Sebbene efficace contro i disturbi motori, il suo utilizzo nelle prime fasi della malattia è stato messo in discussione in quanto associato alla comparsa più precoce di complicanze quali fluttuazioni motorie e discinesie.
I possibili effetti collaterali della levodopa comprendono disturbi di natura psichiatrica come le psicosi, disturbi gastrointestinali quali nausea e vomito, l’ipotensione ortostatica e, raramente, il glaucoma ad angolo chiuso. Un’alternativa terapeutica nelle prime fasi della malattia è offerta dai dopammino-agonisti, che sono in grado di interagire con i recettori dopamminergici a livello striatale. Sebbene di minor efficacia rispetto alla levodopa, essi sembrerebbero determinare minori complicanze motorie a lungo termine. Altri farmaci utilizzati, anche se con minore frequenza per la possibile presenza di effetti collaterali severi, sono gli anticolinergici (indicati in particolare per alleviare la componente tremorigena), gli inibitori delle MAO-B (monoamminossidasi di tipo B) e l’amantadina. Con il progredire della malattia il trattamento diventa sempre più complesso per via delle complicanze indotte dall’uso prolungato di levodopa.
Le strategie terapeutiche utilizzate per ridurre le fluttuazioni motorie sono numerose, ma ancora non completamente soddisfacenti. Come primo passo è utile ottimizzare l’assorbimento e il trasporto di levodopa mediante l’introduzione di una dieta povera di proteine (per ridurre la competizione a livello gastrico). Una seconda possibilità è quella di stabilizzare i livelli plasmatici di levodopa frazionando le dosi giornaliere o introducendo gli inibitori delle COMT (Catecol-o-metiltransferasi). Può essere anche utile l’associazione con dopammino-agonisti e, al fine di aumentare la concentrazione della dopammina a livello striatale, possono essere aggiunti alla terapia gli inibitori delle MAO. Studi recenti hanno confermato l’efficacia dell’infusione continua di apomorfina per ridurre le fluttuazioni motorie, e della sua infusione intermittente per il trattamento dei blocchi motori.
Anche per il trattamento delle discinesie sono disponibili diverse strategie terapeutiche finalizzate a ottimizzare la risposta. L’obiettivo è quello di mantenere costanti nel tempo i livelli plasmatici di levodopa e di ridurne l’assunzione giornaliera. I tentativi consistono in frazionamenti delle dosi giornaliere di levodopa o in una sua riduzione e associazione con dopammino-agonisti e inibitori delle COMT. Utile, soprattutto per il trattamento delle discinesie di picco, è l’introduzione dell’amantadina. In caso di fallimento della terapia convenzionale, possono essere anche prese in considerazione tecniche di chirurgia stereotassica che sono in grado di intervenire sulla modulazione del circuito dei nuclei della base. In particolare, la stimolazione cerebrale profonda (DBS, Deep brain stimulation) utilizza una stimolazione elettrica cronica ad alta frequenza che inibisce l’attività elettrica del nucleo subtalamico. Tale metodica è efficace sulle complicanze motorie da uso cronico di levodopa, quali le fluttuazioni motorie e le discinesie, ma non sulle complicanze psichiatriche. Sono ancora in corso di studio tecniche di trapianto allogenico di cellule mesencefaliche fetali e approcci di terapia genica.