Teoria linguistica che concepisce la grammatica (grammatica generativa) come un insieme finito di regole in grado di generare tutte le infinite frasi di una lingua che abbiano carattere di grammaticalità.
La grammatica generativa è nata negli USA verso la fine degli anni 1950 per opera di A.N. Chomsky, segnando l’inizio di un sostanziale rinnovamento degli studi linguistici. Il punto di partenza delle tesi chomskiane è la critica al distribuzionalismo, la cui impostazione metodologica tipicamente descrittiva e classificatoria non permette di spiegare importanti fatti linguistici, quali l’ambiguità e l’omonimia di costruzione. Inoltre il distribuzionalismo perde di vista una delle caratteristiche essenziali del linguaggio, e cioè la creatività, intesa come la capacità del parlante di produrre e capire un numero potenzialmente infinito di frasi che non ha mai pronunciato o sentito prima e che addirittura possono non essere mai state formulate in precedenza da alcuno. A un approccio di tipo induttivo e tassonomico Chomsky contrappone un approccio di tipo deduttivo in cui si parte da ipotesi teoriche e le si verifica con i dati, con un ribaltamento di impostazione che non può non incidere sui dati stessi. La capacità di produrre e capire un numero indefinito di frasi nuove fa parte del sapere linguistico dei parlanti, definito da Chomsky con il termine competence (competenza), che egli affianca antiteticamente a performance (esecuzione), con cui designa l’uso effettivo della lingua in situazioni concrete. Riprendendo gli assunti razionalistici della filosofia sei-settecentesca egli sostiene che la mente dell’uomo possiede una conoscenza innata dei principi universali (universali linguistici) che determinano la struttura del linguaggio. La sua teoria è mentalistica perché cerca di scoprire la realtà mentale sottostante ai comportamenti linguistici effettivi e, in questa prospettiva, la grammatica si configura come un modello della competenza del parlante.
Per Chomsky esistono due tipi di creatività: il primo dipende dalla competenza e consiste nel produrre frasi nuove per mezzo di regole («creatività governata da regole»); il secondo dipende dall’esecuzione e consiste nelle molteplici deviazioni individuali dalla norma grammaticale, le quali accumulandosi finiscono col modificare il sistema delle regole («creatività che cambia le regole»).
È detta a struttura sintagmatica una grammatica che voglia rendere conto dell’aspetto creativo del linguaggio: essa deve essere in grado di generare – cioè enumerare esplicitamente – tutte le possibili frasi di una lingua, assegnando a ciascuna una descrizione strutturale che mostri gli elementi di cui si compone la frase e le loro relazioni e, nel contempo, permetta di distinguere le frasi grammaticali da quelle non grammaticali. Una grammatica di questo tipo è costituita da un insieme di simboli messi in rapporto tra loro da un numero finito di regole. Ogni regola è della forma X→Y, che va interpretata ‘si riscriva X come Y’; i simboli più comuni sono: F=frase, SN=sintagma nominale, SV=sintagma verbale, Art=articolo, N=nome, V=verbo. Come esempio di grammatica a struttura sintagmatica si consideri: F→SN+SV; SN→Art+N; SV→V+SN; Art→il; N→ragazzo, latte; V→beve. Applicando tali regole di riscrittura, chiamate regole sintagmatiche, si ottiene la frase il ragazzo beve il latte, la cui struttura può essere rappresentata con esattezza mediante un diagramma ad albero (o indicatore sintagmatico):
L’istituzione di un livello sintagmatico consente di risolvere casi di ambiguità strutturale; infatti, due enunciati possono avere la stessa struttura lineare, ma differire rispetto alla struttura sintagmatica e questa differenza si riflette profondamente sul piano semantico. Per es., la frase una vecchia porta la sbarra è interpretabile in due modi (un’anziana signora porta la sbarra o una porta vecchia sbarra qualcosa), a ciascuno dei quali corrisponde un determinato indicatore sintagmatico:
La grammatica a struttura sintagmatica è capace di generare ogni specie di frase, ma non di fornire una spiegazione delle relazioni che intercorrono tra i diversi tipi di enunciati. Per ovviare a questo limite, Chomsky propone in Syntactic structures (1957) una nuova versione di grammatica generativa, formata da regole sintagmatiche e da regole trasformazionali. Le regole sintagmatiche generano le frasi semplici, dichiarative, affermative e attive, come Carlo legge il giornale; esse costituiscono il nucleo della lingua e sono perciò denominate frasi nucleari. Le regole trasformazionali permettono di derivare da una frase nucleare tutte le altre frasi che sono a essa sintatticamente imparentate: Carlo non legge il giornale, il giornale è letto da Carlo ecc. Solo ricostruendo la storia trasformazionale di una frase è possibile spiegare fenomeni linguistici che la grammatica a struttura sintagmatica non riusciva a trattare adeguatamente.
Nel 1965, in Aspects of the theory of syntax, Chomsky presenta un modello più completo e sistematico di grammatica generativo-trasformazionale, noto come teoria standard. In questa fase acquista grande rilievo la distinzione fra struttura profonda e struttura superficiale: la struttura profonda è l’organizzazione sintattica astratta che sta alla base di ogni enunciato e ne determina il contenuto semantico; la struttura superficiale è l’organizzazione sintattica di un enunciato così quale appare. La superficie è spesso ambigua e ingannevole, come dimostra per es. l’espressione l’amore dei genitori, che può voler dire sia i genitori amano (i figli) sia (i figli) amano i genitori; c’è poi il caso contrario rappresentato da frasi che, nonostante la diversità superficiale, sono interpretabili allo stesso modo in quanto hanno un’identica struttura profonda; per es., la madre sente che il bambino piange e la madre sente il bambino piangere risalgono entrambe a la madre sente qualcosa + il bambino piange. Ne consegue che, mentre la struttura superficiale è in stretto rapporto con la rappresentazione fonetica della frase, la struttura profonda è responsabile dell’interpretazione semantica; il passaggio da una struttura all’altra avviene mediante le regole di trasformazione.
Nasce così l’immagine di una grammatica articolata in 3 parti: un componente sintattico, un componente semantico e un componente fonologico. Il componente sintattico, che è quello più importante e anche l’unico a essere creativo, consta di un sottocomponente di base che genera le strutture profonde e di un sottocomponente trasformazionale che le converte in strutture superficiali; le trasformazioni non possono recare alcuna modificazione al significato. Gli altri due componenti, quello semantico e quello fonologico, hanno una funzione meramente interpretativa: il primo attribuisce un’interpretazione semantica alle strutture profonde; il secondo assegna una rappresentazione fonetica alle strutture superficiali.
Vari linguisti hanno criticato la nozione di struttura profonda sintattica proponendo di sostituirla con quella di struttura profonda semantica. Nel controbattere tali obiezioni, Chomsky ha rivisto in parte il proprio modello di grammatica, giungendo alla formulazione di una teoria standard estesa, in cui restano fermi alcuni assunti fondamentali quali la generatività del componente sintattico e l’interpretatività di quello semantico, ma si instaura un rapporto più complesso tra i due componenti. In particolare, l’informazione necessaria per l’interpretazione semantica di una frase non è più fornita solamente dalla struttura profonda, bensì anche da quella superficiale; di conseguenza risulta cambiato il ruolo delle regole trasformazionali, che ora possono operare modificazioni di significato.