fantascienza
Le fantasticherie sulla scienza
Il termine fantascienza, coniato nella prima metà del Novecento, è usato per definire opere di vario genere (racconti e romanzi, film, fumetti) fondate sull'anticipazione fantastica degli sviluppi della scienza. Secondo Ray Bradbury, uno dei principali rappresentanti della letteratura fantascientifica, la "fantascienza è la narrazione di vicende immaginarie che lo scrittore, portando all'estremo le sue considerazioni sulla realtà, pensa che potrebbero accadere". Non si occupa quindi soltanto di tecnologie avveniristiche ma di tanti altri argomenti, tutti caratterizzati dalla seguente ipotesi di partenza: immaginiamoci cosa succederebbe se...
L'espressione science fiction (in italiano "fantascienza") evoca narrazioni popolate da astronavi, viaggi nello spazio, alieni e mondi futuribili, ed è relativamente recente: fu utilizzata per la prima volta nel 1929 nella rivista americana Science wonder stories e diventò di uso comune immediatamente dopo, con la nascita del mensile Astounding science fiction (1930). Eppure la fantascienza, anche se ancora non si chiamava così, è nata nel lontanissimo passato.
Probabilmente il suo filone più antico è quello chiamato oggi fantascienza sociologica, che risponde al quesito "cosa succederebbe se" una civiltà si evolvesse in una direzione diversa dal consueto. Nel 4° secolo a.C. il filosofo Platone cercò di immaginare come avrebbe potuto essere un mondo politicamente perfetto e descrisse la vita nell'immaginario continente di Atlantide in una narrazione di cui tutti ricordiamo solo le poche righe finali: il dio Poseidone fa inabissare l'isola dopo che i suoi abitanti si erano corrotti. Quella di Platone è un'opera filosofica, però possiede una caratteristica tipica dei racconti di science fiction moderni: si svolge in un luogo geograficamente e temporalmente remoto (nel caso di Atlantide, si svolge nel passato, l'attuale fantascienza privilegia il futuro). Una scelta necessaria: se si svolgesse al presente, in un posto noto, striderebbe con quanto conosciamo del nostro mondo.
Il genere inventato da Platone venne praticato da molti altri filosofi, che, a loro volta, inventarono altre città ideali. La più famosa è Utopia, immaginata da Tommaso Moro nel 1516; il suo nome è divenuto il sinonimo di società perfetta; in contrapposizione, il termine distopia indica una società che peggiore non potrebbe essere.
Oltre a essere materia di trattati filosofici, le utopie. ma soprattutto le distopie, hanno fornito lo spunto a molti romanzi fantastici. L'esempio di distopia più famoso è la società descritta nel romanzo 1984, pubblicato nel 1949 dallo scrittore inglese George Orwell; vi si immagina un mondo totalmente controllato da un feroce e invisibile Grande Fratello, il quale condiziona l'umanità gestendo a proprio piacimento i mezzi d'informazione. A cinquant'anni dall'uscita di 1984 possiamo renderci conto che le predizioni di Orwell non erano poi così campate in aria, e che l'informazione può essere manipolata e proporre un'interpretazione distorta di ciò che sta succedendo. Quello di 1984 non è un caso unico: tra le tante funzioni della fantascienza c'è infatti anche quella di campanello d'allarme: "Attenzione", sembrano dirci molti autori. "Ti stiamo raccontando una vicenda di fantasia ma, se non teniamo gli occhi ben aperti, è possibile che accada qualcosa di molto simile nella realtà".
Utopie e distopie si modificano parallelamente al modificarsi della società e della tecnologia.
Oggi, per esempio, viviamo nella civiltà dominata dalle immagini: già nel 1953, nel suo romanzo Fahrenheit 451 (451 gradi Fahrenheit, ossia 233 gradi centigradi, la temperatura a cui la carta prende fuoco), Ray Bradbury aveva immaginato un mondo dominato dalle immagini in cui leggere è vietato e i libri vengono bruciati. Lo statunitense Philip K. Dick si è occupato in molte opere del complicato rapporto tra quella che a noi sembra la realtà, e ciò che la realtà è veramente, un tema divenuto di attualità dopo l'avvento delle tecniche di realtà virtuale. È la cosiddetta fantascienza cyberpunk, sorta parallelamente alla diffusione dell'informatica, che si occupa d'intelligenza artificiale in tutte la sue accezioni.
Parenti alla lontana dei romanzi utopici e distopici sono quelli ambientati in civiltà diverse, completamente scollegate da quelle che noi conosciamo. Alcune si possono trovare sul nostro mondo, in luoghi difficili da raggiungere, a volte nascoste nelle viscere della Terra, a volte arrampicate su vette inaccessibili; in tal caso sono spesso lo sfondo di racconti avventurosi con forti componenti romantiche (quasi sempre c'è un gagliardo esploratore che s'innamora della bella regina del posto). Altre ancora sorgono su remoti pianeti di altrettanto remote galassie: il genere spaziale è infatti uno dei più frequentati dalla science fiction, e ha origini particolarmente nobili.
Luciano di Samosata, scrittore greco del 2° secolo d. C., era infatti rimasto colpito dalle narrazioni di viaggi, spesso completamente inventati, che circolavano ai suoi tempi, e si era divertito a esagerarle all'inverosimile. Nel racconto intitolato ironicamente Una storia vera, Luciano narra di come la sua nave, presa da un fortissima tempesta, si fosse sollevata e avesse raggiunto una fantastica isola nel cielo. Qui lui e i suoi uomini avevano dovuto vedersela con un'infinità di esseri stranissimi provenienti dal Sole, da Sirio e da altri astri, come i Cavalcaformiche, gli Erbalati, i Nubicentauri, i Canipinchi e gli Aerotafani, gli antenati delle molte razze aliene che popolano romanzi e film fantascientifici del giorno d'oggi.
Le prime riviste di fantascienza del secolo scorso privilegiavano le cosiddette space operas, racconti avventurosi con la struttura molto simile a quella dei film western, dove, invece della Colt '45, si usavano avveniristiche armi a raggi e, al posto dei Pellirosse, i nemici dei buoni erano perfide razze extraterrestri (Buck Rogers). In seguito la fantascienza spaziale si è evoluta, privilegiando ora un elemento, ora un altro (i conflitti galattici, la conquista di nuovi mondi, l'incontro con civiltà aliene) e con approcci altrettanto variati, da quello pseudoscientifico, a quello epico, a quello ironico.
Oggi il luogo più adatto da cui partire in lunghi viaggi per altri mondi sono probabilmente le sale cinematografiche. Pionieri del cinema come Georges Méliès avevano già cercato di mostrarci viaggi nello spazio utilizzando trucchi ingenui ma efficaci; più avanti i trucchi si sono affinati, fino a divenire estremamente realistici, come quelli di 2001 Odissea nello spazio, film di Stanley Kubrick ispirato a un racconto di Arthur Charles Clarke, che descrive un lungo viaggio fino al cielo di Giove alla ricerca di un misterioso oggetto che sta all'origine della nascita della nostra civiltà. Grazie agli effetti speciali elettronici oggi è possibile rappresentare in modo verosimile i più impensabili scenari e i più incredibili esseri animati, come nei telefilm e nei film della serie Star trek (nata sugli schermi televisivi nel 1966), o nella saga spaziale in sei capitoli Guerre stellari, iniziata nel 1977 da George Lucas, in cui compaiono creature ancor più bizzarre di quelle descritte da Una storia vera.
Il racconto di Luciano di Samosata non ha alcuna base scientifica, e non pretende di spiegare come un'imbarcazione potesse muoversi nello spazio. Hector-Savinien Cyrano de Bergerac ‒ scrittore francese del 17° secolo passato alla storia per il suo enorme naso e la sua infelice vita sentimentale ‒ descrisse invece un viaggio sulla Luna compiuto a bordo di una sorta di astronave alimentata a rugiada. Perché rugiada? Perché di mattina questo liquido evapora e vola via; di conseguenza un grosso carico di rugiada, alzandosi dal suolo, può sollevare un veicolo spaziale. Quella compiuta da Cyrano (in termini dichiaratamente scherzosi) è una tipica operazione della science fiction: un fenomeno scientifico reale (nel nostro caso, il fatto che la rugiada evapori) viene portato con l'immaginazione fino alle estreme conseguenze (può sollevare un veicolo).
Senza arrivare alle esagerazioni di Cyrano e basandosi sulle conoscenze scientifiche del suo tempo, Jules Verne, considerato il padre della moderna fantascienza, immaginò un volo sulla Luna compiuto a bordo di un proiettile cavo lanciato da Tampa in Florida, proprio il luogo ove ora sorge Cape Canaveral (in Dalla Terra alla Luna, 1865), e un sottomarino alimentato da un'energia sconosciuta analoga a quella atomica, il Nautilus (in Ventimila leghe sotto i mari, 1870). Le invenzioni fantastiche di Verne hanno precorso scoperte che sono realmente avvenute; quelle del suo quasi contemporaneo inglese Herbert George Wells (1866-1946), invece, non sono mai state attuate, ma gli hanno fornito lo spunto per un gran numero di racconti: una macchina per viaggiare nel tempo (La macchina del tempo, 1895), un composto chimico che rende invisibili (L'uomo invisibile, 1897), un preparato ‒ la cavorite ‒ che annulla la gravità (I primi uomini sulla Luna, 1900).
Verne considerava la scienza in termini assolutamente positivi: grazie a essa, il mondo sarebbe divenuto migliore. Wells era un po' più critico, e si poneva qualche dubbio; altri scrittori preferirono sottolineare i rischi della scienza, sostenendo che se non era tenuta sotto controllo poteva generare mostri.
Il romanzo Frankenstein, o il Prometeo moderno di Mary Shelley (1818) è la prima opera letteraria che mette in guardia sui rischi di quella che oggi chiamiamo biogenetica, e il suo protagonista, la sinistra creatura creata dal dottor Frankenstein, è il primo esempio di androide, ossia di uomo artificiale, antenato di quelli, più moderni, a cui viene data la caccia in Blade Runner, il bel film di Ridley Scott tratto da un romanzo del 1982 di Philip K. Dick.
Tra gli ideali parenti della creatura del dottor Frankenstein si annoverano i molti robot della fantascienza. Il termine robot deriva dalla lingua cecoslovacca e significa "servo"; fu adottato dopo l'uscita del romanzo RUR - Rossum's universal robots, di Karel Capek, (1921) per designare quelli che fino ad allora venivano chiamati automi.
Nel 1940 lo scrittore Asimov formulò le tre leggi della robotica: "1. Un robot non può recare danno a un essere umano, né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, un essere umano riceva danno. 2. Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non contravvengano alla Prima legge. 3. Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché questa autodifesa non contrasti con la Prima e la Seconda legge". A esse si attennero quasi tutti gli autori di storie robotiche successivi … ma non tutti: per esempio al malvagio robot Terminator delle leggi della robotica non potrebbe importare di meno.
A parte i mostri veri e propri, il cattivo uso della scienza può generare mostri in senso lato, come l'inquinamento, la corsa agli armamenti, la guerra atomica, tanto più temibili in quanto, come purtroppo constatiamo ogni giorno, possono mettere a repentaglio l'esistenza stessa del nostro pianeta. Il quale pianeta, nella fantascienza detta catastrofica (quella, per intenderci, di film come The day after tomorrow / L'alba del giorno dopo, di Roland Emmerich), è stato distrutto molte volte, sia per cause naturali, sia per disastri scatenati dall'uomo, sia per l'intervento di invasori venuti dallo spazio.
In qualche modo l'astronomo italiano Giovanni Virginio Schiaparelli (1835-1910) è responsabile della prima invasione spaziale. Prima che lo scienziato iniziasse a studiare sistematicamente Marte, gli unici alieni letterari erano i Seleniti (fantastici abitanti della Luna), solitamente protagonisti di brevi storie comiche come Pulcinella sulla Luna (1863). Nel 1877 Schiaparelli scoprì i famosi canali di Marte, e alcuni sostennero che non si trattava di formazioni naturali ma di costruzioni che dimostravano la presenza di vita intelligente sul pianeta rosso. Scoppiò così una vera moda dei marziani; nel romanzo La guerra dei mondi (1898) Wells immaginò che questi attaccassero la Terra, con conseguenze catastrofiche.
Alieni cattivi. L'invasione aliena è uno dei temi classici della fantascienza, e tende a ricorrere in particolari momenti storici, cioè quelli in cui esiste il timore di un'invasione reale. Nel 1938 l'attore e regista Orson Welles mise in scena una versione radiofonica de La guerra dei mondi. Il radiodramma era trasmesso nell'ambito di una popolare trasmissione (il Mercury theatre) che mandava regolarmente in onda sceneggiati radiofonici; era realizzato con i mezzi non molto sofisticati di allora (il suono di una cannonata veniva simulato per esempio con un colpo di tamburo); in più, durante la narrazione, la voce di uno speaker sottolineava gli stacchi di tempo e di luogo con frasi del tipo "Una settimana dopo, a New York". Era dunque chiaro che si trattava di un racconto di fantasia, eppure moltissimi radioscoltatori credettero che si trattasse di un servizio in diretta su una vera invasione marziana, e scoppiò il panico. In realtà la Seconda guerra mondiale era prossima a scoppiare, e gli Americani temevano un possibile attacco da parte dei Tedeschi; gli ascoltatori erano dunque psicologicamente preparati a essere invasi, e questo atteggiamento mentale li aveva resi facili preda di un attacco di paura collettiva.
Dopo la vittoria e la fine della guerra, negli Stati Uniti si diffuse il timore di un altro tipo di invasione, quella dell'ideologia comunista proveniente dall'Unione Sovietica. Puntualmente la fantascienza propose nuove invasioni, soprattutto di carattere cinematografico: orde di extraterrestri cattivissimi raggiunsero il nostro pianeta a bordo di astronavi di un nuovo tipo, i dischi volanti. Il primo di questi misteriosi oggetti, che ora chiamiamo UFO (Unidentified flying object "oggetto volante non identificato"), era stato infatti avvistato nel cielo americano nel 1947.
Alieni saggi. Per fortuna non tutti gli abitanti degli altri mondi vogliono il nostro male: il film Ultimatum alla Terra (1951) propose per la prima volta la figura di un alieno saggio, preoccupato per il futuro del nostro mondo pericolosamente propenso alla guerra; gli extraterrestri filiformi e quasi evanescenti di Incontri ravvicinati del terzo tipo (1977) e il tenero E. T. (1982) di Steven Spielberg sono i suoi ideali discendenti. Ma non sentiamoci troppo al sicuro: in giro ci sono ancora alieni pericolosi, come Alien e Terminator, e film recenti come Independence day (1996) o la nuova versione de La guerra dei mondi (2005) fanno sospettare che i marziani stiano preparandosi per l'attacco decisivo, e trascorrano il loro tempo osservando ogni nostro movimento.
Gli autori sono troppi per poterli elencare, quindi nominiamo soltanto quelli universalmente considerati i tre grandi in assoluto: Isaac Asimov (1920-92), creatore di una lunga saga intitolata Fondazione; Arthur Charles Clarke (n. 1917), con il cui nome è stato addirittura battezzato un asteroide, il 4923 Clarke; Robert Heinlein (1907-88), autore di Starship troopers (Fanteria dello spazio), romanzo che ha ispirato l'omonimo film e la serie di disegni animati giapponesi Gundam. Ai tre grandi si possono aggiungere Robert Sheckley e Frederic Brown, che hanno colorito le loro storie spaziali con una buona dose di ironia.