spazio, esplorazione dello
L’ultima frontiera della scoperta
Esplorare fisicamente lo spazio esterno al nostro pianeta comporta un insieme di attività tecnico-scientifiche, ma anche economiche. Resa possibile dalle ricerche effettuate prima e durante il secondo conflitto mondiale, la corsa allo spazio è iniziata nel 1957, anno in cui venne messo in orbita il primo satellite artificiale. I successivi trent’anni furono segnati dalla guerra fredda della competizione fra USA e URSS. La fine dell’Unione Sovietica ha segnato, anche in campo spaziale, una svolta. Si è passati dalla competizione alla cooperazione, e la diminuita importanza dell’uso dello spazio per fini militari ha aperto la strada alle applicazioni civili della ricerca: dai satelliti meteorologici a quelli per le telecomunicazioni
I primi tentativi di costruire un mezzo con propulsione a razzo capace di staccarsi dalla Terra risalgono agli anni Trenta del secolo scorso. Durante la Seconda guerra mondiale queste ricerche ricevono un grande impulso nella Germania nazista, che ne aveva intuito l’importanza nelle applicazioni belliche. Il gruppo di scienziati e tecnologi creato da Werner von Braun nella base militare tedesca di Peenemunde riesce a sviluppare le prime armi basate su razzi, le V-2, che furono utilizzate per bombardare Londra dal territorio tedesco nel 1944 (missili). Alla fine della guerra molti ricercatori di quel gruppo entrarono a far parte dei progetti spaziali degli usa e dell’urss, entrambi molto interessati alle applicazioni militari di quella tecnologia.
La vera e propria corsa allo spazio, in un mondo allora diviso in due zone contrapposte e ostili per la guerra fredda, iniziò il 4 ottobre 1957 col lancio, da parte dei Sovietici, del primo satellite artificiale della Terra: lo Sputnik 1, il cui nome significa letteralmente «compagno di viaggio». Costituito da una sfera di metallo di 50 cm di diametro e dotato di 4 antenne lineari di circa 3 m di lunghezza ciascuna, lo Sputnik era equipaggiato con due trasmittenti, grazie alle quali inviò, durante le tre settimane di durata della sua missione, un segnale radio rimasto storico. Con una massa di poco più di 83 kg, percorse per tre settimane un’orbita compresa fra i 215 e i 939 km di altezza dal suolo, con un periodo di 96,2 minuti. Lo Sputnik 1 ;ricadde sulla Terra nel gennaio 1958, disintegrandosi durante il rientro.
Il primo essere vivente a entrare in orbita attorno alla Terra è stata una cagnolina russa, chiamata Laika. Il suo nome significa letteralmente «quella che abbaia» ed è comune in quei paesi per indicare una razza simile agli husky. Il 3 novembre 1957 Laika fu portata in orbita a bordo di un satellite sovietico, lo Sputnik 2. La missione spaziale fu realizzata in modo molto affrettato, e quindi necessariamente approssimativo, per ordine del governo sovietico, il cui scopo era poter vantare un successo nella corsa spaziale per la data del 7 novembre 1957, quarantesimo anniversario della rivoluzione. La missione di Laika, che doveva durare diversi giorni, finì anzitempo e l’animale morì per vari malfunzionamenti nella capsula spaziale, principalmente per l’aumento della temperatura interna. La vicenda della cagnolina russa ebbe forti ripercussioni nel mondo, e molte associazioni per i diritti degli animali protestarono in modo energico. Il sacrificio di Laika, che commosse tutti i ragazzi e le ragazze di allora, servì comunque per aprire le porte dell’esplorazione dello spazio anche all’uomo.
Poco dopo si ebbe infatti il primo volo orbitale di un essere umano. Fu il sovietico Yuri A. Gagarin in assoluto il primo cosmonauta. Il 12 aprile 1961, a bordo del Vostok 1 raggiunse le condizioni di volo orbitale attorno alla Terra e rimase nello spazio, in quelle condizioni, per 1 ora e 48 minuti. Rispetto ai voli umani successivi, quello di Gagarin fu molto breve e pericoloso: addirittura si disse in seguito che parecchi specialisti, anche sovietici, erano convinti che il cosmonauta non sarebbe riuscito a ritornare sano e salvo sulla Terra. Invece andò tutto nel migliore dei modi, Gagarin atterrò perfettamente, e divenne così il primo eroe dello spazio. L’impressione fu fortissima in tutto il mondo e l’opinione pubblica mondiale percepì, forse anche in modo esagerato, che l’umanità era entrata in una nuova epoca: quella spaziale. Gagarin, dopo un periodo di grande notorietà, tornò a fare il collaudatore aeronautico. La sua vita finì tragicamente a soli 34 anni, in un incidente aereo, mentre pilotava un nuovo aeromobile militare, il Mig 15.
La rivincita degli USA. Il sorpasso americano arrivò nell’anno 1969, quando gli Stati Uniti riuscirono a far scendere sul suolo della Luna i primi uomini con la famosa missione Apollo 11.
La navicella, che faceva parte del programma Apollo che portò più volte astronauti statunitensi sul suolo lunare, partì il 16 luglio 1969 da Cape Kennedy (l’attuale Cape Canaveral), in Florida, e fu portata in orbita da un potente razzo, Saturno V. Nonostante durante la discesa verso il suolo lunare i computer di bordo della capsula di allunaggio Eagle segnalassero diversi allarmi, al centro di controllo di Houston si decise di proseguire. E infatti l’allunaggio, nella regione del Mare della Tranquillità, si concluse nel migliore dei modi. Il 21 luglio 1969 Neil Armstrong, il comandante della missione, ed Edwin Aldrin, il pilota, uscirono dalla Eagle e misero piede per la prima volta nella storia dell’umanità sul suolo lunare. Il terzo uomo dell’equipaggio, Michael Collins, resterà a bordo del modulo di comando Columbia, da cui la capsula di allunaggio si era staccata. Alle 2,56, ora di Greenwich, Armstrong posò il piede sulla Luna, pronunciando una frase che sarebbe rimasta famosa: «Un piccolo passo per un uomo, un grande passo per l’umanità». Gli astronauti piantarono sulla Luna la bandiera degli Stati Uniti, effettuarono una ‘passeggiata’ di due ore e mezzo e il 24 luglio ritornarono, da eroi, sulla Terra.
Gli usa si presero anche una rivincita simbolica, in un campo che nel frattempo dominavano sempre più, inaugurando, nel ventesimo anniversario del primo volo di Gagarin, il 12 aprile 1981, quello che doveva essere il progetto rivoluzionario dell’esplorazione spaziale, il programma di navette spaziali riutilizzabili Shuttle. In realtà lo Shuttle non mantenne del tutto le promesse principali di riusabilità ed economicità, e creò notevoli problemi all’Agenzia spaziale statunitense, la nasa, che aveva costruito l’intero suo programma fino al 2010 proprio attorno allo Shuttle.
Dalla competizione alla cooperazione. Verso la fine degli anni Ottanta, mentre la guerra fredda allentava la sua morsa e l’Unione Sovietica iniziava a sgretolarsi come confederazione di Stati comunisti, si fece strada l’idea di collaborare invece che competere. Nacquero così le prime imprese congiunte russo-americane, soprattutto nella costruzione e nell’utilizzo delle stazioni spaziali, costruite pezzo dopo pezzo in orbita. Anche l’Europa si unì a questo progetto che portò, verso la fine del secolo scorso, alla creazione della iss, la Stazione spaziale internazionale, nella quale astronauti di varie nazionalità vivono per periodi più o meno lunghi, da pochi giorni a mesi, per portare a termine varie ricerche ed esperimenti, dall’astronomia alla biologia alla chimica. Nei primi anni di questo secolo l’esplorazione spaziale, che fino a quel momento è stata un’impresa sostenuta direttamente e solo dagli Stati per gli enormi investimenti di mezzi e uomini richiesti, ha dato inizio a due fenomeni completamente nuovi: il turismo spaziale e lo sviluppo e la messa in orbita dei primi vettori da parte di privati.
In molti, soprattutto all’inizio della corsa allo spazio, si sono interrogati sulla necessità di questo tipo di missioni, considerati i tanti problemi da risolvere qui sulla Terra. Queste discussioni partivano dalla constatazione del fatto che l’esplorazione spaziale richiede molto denaro, lo sforzo di migliaia di scienziati e il dispiegamento di grandi mezzi. Oggi queste discussioni sembrano superate anche perché, a differenza di allora, l’aspetto militare connesso alle esplorazioni – con lo scontro fra le due superpotenze, usa e urss, sempre sullo sfondo – è, almeno in parte, venuto meno. Inoltre, i benefici che derivano dall’utilizzo dei risultati delle attività spaziali in campo civile sono oramai sotto gli occhi di tutti. Infinite sono le applicazioni nella nostra vita quotidiana: abbiamo ogni giorno previsioni del tempo sempre più precise grazie ai satelliti meteorologici; quelli per telecomunicazioni ci permettono di telefonare, inviare trasmissioni video e audio in tutte le parti del mondo; le nostre automobili possono essere dotate di un sistema di navigazione che si basa sui sistemi di satelliti per il rilevamento della posizione, come il gps (Global positioning system «sistema di posizionamento globale»). Tutte queste applicazioni sono state sviluppate a partire dalle tecnologie messe a punto per le imprese spaziali vere e proprie.
Non dimentichiamo poi che il desiderio di conoscere ed esplorare è probabilmente una delle pulsioni più positive, e insopprimibili, dell’umanità.
La Luna è stato il primo obiettivo dell’esplorazione spaziale. Posta a poco più di 300.000 km da noi è stato naturale considerarla la prima meta. In seguito sono giunti mezzi anche sul suolo di Venere e Marte. Mercurio è stato raggiunto da un unico mezzo spaziale, il Mariner 10 della nasa nel 1974-75, ed è l’obiettivo di una delle missioni europee più interessanti del prossimo futuro, che porta il nome di Giuseppe ‘Bepi’ Colombo, un grande ingegnere aerospaziale italiano, morto nel 1984, che lavorò a lungo per la NASA. Giove e Saturno sono stati raggiunti dalle sonde Pioneer già negli anni Ottanta, ma sono oggetto di missioni ripetute. La sonda Cassini-Huygens è giunta su Saturno nel 2004 e nel 2005 si è avuto il primo atterraggio, del modulo Huygens, sul primo satellite naturale diverso dalla Luna, Titano, il più grande dei mondi che orbitano attorno al pianeta degli anelli. Altre missioni spaziali sono arrivate vicino a comete, riportandone a terra campioni di materiale della coda, e sul suolo di un asteroide, Eros. Nel prossimo decennio si prevede, fra l’altro, l’arrivo di una missione europea, Rosetta, su una cometa per analizzarne il suolo, e di una statunitense su Plutone, l’unico dei pianeti del Sistema Solare finora mai raggiunto. Quest’ultima sonda, con i suoi strumenti, potrà studiare anche Urano e Nettuno, di cui abbiamo finora solo i dati ottenuti negli anni Ottanta dalle sonde Pioneer mentre passavano vicino a questi pianeti nella loro corsa verso i limiti del Sistema Solare.
Uno dei più importanti, problemi del volo spaziale è rappresentato dalla necessità di staccarsi dalla Terra, ossia vincere l’attrazione gravitazionale, applicando al mezzo spaziale una forza contraria e maggiore. Per ‘scappare’ dall’attrazione gravitazionale terrestre occorre raggiungere almeno la velocità di 11,18 km/s, un valore chiamato appunto velocità di fuga. Ovvio quindi che il peso, a terra, del veicolo da portare in orbita sia un aspetto importantissimo nella fase di lancio: più grande è il veicolo, più elevata deve essere la spinta per raggiungere la velocità di fuga, e quindi più potenti devono essere i razzi vettori. Purtroppo, più questi ultimi sono potenti e più pesano al lancio per via della quantità di carburante che devono trasportare. Fortunatamente, però, mano a mano che ci si allontana dalla Terra la sua attrazione, che dipende fortemente dalla distanza, diminuisce rapidamente: è necessaria quindi una forte spinta all’inizio del volo, per staccare il mezzo dal suolo e raggiungere la velocità di fuga, ma in seguito, la spinta necessaria per continuare il volo diventa minore perché il veicolo pesa sempre meno, dato che la gravità si riduce. Per questo i satelliti artificiali, e in genere tutti i mezzi spaziali, hanno piccolissimi motori, capaci di spinte molto modeste, ma sono portati in orbita da potenti razzi vettori, capaci di spinte molto forti, che vengono utilizzati solo per pochi minuti dall’istante zero del lancio.
Unione Sovietica e Stati Uniti sono stati i primi due paesi a lanciare con successo un satellite nello spazio, l’Italia è stata il terzo. Nel 1964 dalla base italiana San Marco, in Kenya, partiva, su un razzo vettore statunitense, il primo satellite italiano, il San Marco-1. Forse oggi questo ottimo risultato ottenuto dal nostro paese è poco noto, ma vale la pena di ricordare che, grazie all’illuminata ed energica opera di Luigi Broglio, il padre delle attività spaziali italiane, dai primi anni Sessanta del secolo scorso al 1988, data dell’ultimo lancio, la base spaziale italiana in Kenya ha giocato un ruolo importante a livello internazionale con 23 lanci complessivi, tutti andati a buon fine, di cui 6 di satelliti della serie San Marco. Il Centro spaziale italiano è situato nei pressi di Malindi, sull’Oceano Indiano; realizzato dall’Università di Roma ‘La Sapienza’ e gestito fin dagli anni Sessanta mediante il Centro ricerche progetto San Marco, è composto da una piattaforma marina per il lancio e una terrestre con il centro di ricezione dati. Ancora oggi la base italiana di Malindi, intitolata proprio a Luigi Broglio e gestita ora dall’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), è fra le meglio attrezzate al mondo e ha una notevole importanza per la sua posizione, geografica e strategica, per garantire un semplice ed efficace controllo di volo dei satelliti artificiali. Proprio come stazione di rilevamento e controllo viene utilizzata anche nell’ambito di varie collaborazioni internazionali, per esempio con gli Stati Uniti e la Cina.