La registrazione, per mezzo dell’elettrocardiografo, delle correnti d’azione del cuore. In condizioni patologiche l’e. può fornire precise indicazioni diagnostiche, soprattutto nei disturbi della conduzione intraventricolare (blocchi), nelle alterazioni connesse a eventi ischemici (ischemia e infarto) e nell’ipertrofia o sovraccarico ventricolare, anche quando i sintomi clinici sono assenti o atipici.
Registrazione continua e per tempi prolungati (24 ore e più) dell’elettrocardiogramma, successivamente analizzata mediante scansione ad alta velocità con apparecchi computerizzati. Introdotta nel 1961 da Normann J. Holter e perciò nota con il nome holter, mira a registrare in continuo l’attività elettrica del cuore e consente di mettere in evidenza la comparsa di fenomeni patologici quali aritmie ed episodi ischemici.
L’elettrocardiografo è costituito da una coppia di elettrodi impolarizzabili di piombo o di argento, fissati a due punti opportuni del corpo (derivazione), che fanno capo a un voltmetro registratore di grande sensibilità. Le derivazioni entrate nell’uso clinico sono di due tipi fondamentali: quelle periferiche e quelle precordiali. Le periferiche sono sei: tre di esse, quelle classiche di Einthoven (dette anche derivazioni standard o bipolari degli arti), distinte in I, II e III, si attuano collegando l’elettrocardiografo con due elettrodi applicati rispettivamente al braccio destro e al braccio sinistro, al braccio destro e alla gamba sinistra, al braccio sinistro e alla gamba sinistra; altre tre derivazioni periferiche unipolari degli arti sono ottenute collegando il polo negativo dell’apparecchio all’elettrodo centrale terminale e il polo positivo al braccio destro (VR), a quello sinistro (VL) e infine alla gamba sinistra (VF). Anche le derivazioni precordiali sono sei: si ottengono collegando il polo negativo dell’apparecchio all’elettrodo centrale terminale e quello positivo a un elettrodo applicato a opportuni punti sulla parete toracica. Gli elettrocardiografi totalmente analogici utilizzavano in genere oscillografi a scrittura diretta, su carta normale con stili a inchiostro oppure su carta cerata con stili a punta calda. Attualmente, gli elettrocardiografi, a parte alcune funzioni che rimangono necessariamente analogiche (per esempio la preamplificazione del segnale o la protezione da sovratensioni), sono digitali nel senso che una parte più o meno consistente delle elaborazioni del segnale di ingresso viene effettuata a seguito della conversione digitale del medesimo. In particolare, la presentazione dei tracciati può avvenire a mezzo di stampante termica interna all’elettrocardiografo, senza più la necessità di utilizzare oscillografi.
Nell’elettrocardiogramma, il diagramma ottenuto con un elettrocardiografo, qualsiasi siano le derivazioni con cui è ottenuto, si possono distinguere tre onde positive, chiamate P, R, T, e due onde negative, dette Q e S (v. fig.). L’onda P è riconducibile all’attività atriale, le onde Q, R, S, T costituiscono il complesso ventricolare.