In biologia, c. batterica, metodo artificiale di coltivazione dei batteri in un mezzo che può essere liquido (brodo, latte, siero, sangue) o solido (gelatina, agar); il terreno nutritivo preparato sterilmente è allestito in un recipiente sterile (provetta, piastra) protetto da tappo di cotone o da coperchio di vetro e conservato in termostato. La c. può essere pura o isolante quando ottiene i batteri allo stato di assoluta purezza, aerobia o anaerobia a secondo della natura dei germi cui è destinata. Si hanno c. elettive per una determinata specie batterica e altre colture comuni invece a più specie. C. di tessuti e di cellule Metodo d’indagine biologica destinato ad allevare frammenti di tessuti o cellule in condizioni adatte alla loro sopravvivenza e all’accrescimento, che può anche essere illimitato. Il metodo più diffuso è quello della c. di cellule isolate che si realizza a partire da sospensioni di cellule dissociate dai tessuti mediante l’azione della tripsina; la sospensione cellulare così ottenuta viene centrifugata, risospesa in un mezzo nutritivo liquido, introdotta in una bottiglia di vetro o di plastica e incubata alla temperatura adatta. Le cellule sospese nel liquido sedimentano sul fondo della bottiglia e, aderendo alla superficie, si dividono ripetutamente formando uno strato unicellulare. I mezzi nutritivi più usati per questo tipo di c. consistono in soluzioni tamponate di amminoacidi, basi puriniche e pirimidiniche, vitamine, zuccheri e sali inorganici in varie concentrazioni, alle quali si aggiunge, di solito, una certa quantità di siero di sangue di vitello, di cavallo o di uomo o estratti di embrione di pollo. Tali c. permettono allo sperimentatore di purificare singoli tipi di cellule e di esaminarli isolatamente l’uno dall’altro, mentre in un tessuto è presente sempre una miscela di tipi cellulari diversi. Le c. preparate direttamente a partire da un tessuto si dicono c. primarie. Nella maggioranza dei casi si possono prelevare cellule dalle c. primarie per ricavarne c. secondarie e il processo può essere ripetuto più volte per settimane o mesi. Le cellule così coltivate possono avere le stesse proprietà del tessuto dal quale provengono: i fibroblasti continuano a secernere collagene, le cellule del muscolo scheletrico embrionale si fondono a formare fibre muscolari giganti capaci di contrarsi spontaneamente. Mentre per la maggior parte delle c. di routine si ricorre anche oggi ai terreni precedentemente descritti, essi tuttavia si sono dimostrati inadatti a determinare i requisiti specifici della crescita e della differenziazione di particolari tipi di cellule. È necessario in tal caso avere nel terreno sostanze a composizione chimica ben definita (fattori di crescita), generalmente di natura proteica, che alcune cellule esigono per poter sopravvivere (per es., fattore di crescita del nervo). Dopo un numero finito di divisioni in c. la maggioranza delle cellule muore (le cellule dell’epidermide umana si dividono dalle 50 alle 100 volte), ma talvolta si osservano cellule varianti immortali che possono propagarsi indefinitamente sotto forma di quella che comunemente viene chiamata linea cellulare. Anche le cellule tumorali crescono indefinitamente ma esse non hanno bisogno necessariamente di una superficie di supporto e proliferano raggiungendo densità molto più elevate rispetto alle cellule normali in quanto mancano di quella proprietà che si chiama comunemente inibizione da contatto. Proprietà analoghe a quelle delle cellule tumorali si possono indurre sperimentalmente nelle cellule normali per trasformazione mediante virus o sostanze chimiche capaci di indurre tumori; iniettate in animali, queste cellule, che hanno subito la trasformazione neoplastica, provocano insorgenza di tumori. Le linee cellulari sono preziose per la ricerca scientifica in quanto rappresentano fonti di un gran numero di cellule con caratteri uniformi e possono essere conservate, mediante congelamento a −70 °C, per periodi di tempo indefiniti. Per aumentare ulteriormente l’uniformità delle linee cellulari si possono ottenere cloni derivanti da una unica cellula progenitrice: essi consentono di isolare cellule mutanti portatrici di difetti in una sola proteina. Una ulteriore utilizzazione delle c. cellulari consiste nella fusione di due tipi differenti di cellule per ottenere un eterocarionte (cellula con due nuclei) e successivamente un ibrido cellulare (cellula con un solo nucleo derivato dalla fusione di due). Cellule siffatte servono per studiare l’interazione fra componenti di cellule differenti e offrono la possibilità di localizzare i geni su determinati cromosomi (➔ cromosoma).
La c. dei tessuti vegetali, ottenuta nel 1939 da R.J. Gautheret, si è diffusa enormemente in pochi anni, diversificandosi in misura tale che è ormai difficile abbracciare insieme tutte le acquisizioni che ne sono derivate. L’insuccesso che ebbero per oltre 20 anni i tentativi di coltivare in vitro tessuti vegetali dipendeva dal fatto che, per analogia con quanto era avvenuto per quelli animali, l’orientamento di base fu verso la citologia. I risultati positivi mancarono perché le colonie di cellule vegetali sono di solito compatte e pertanto mal si prestano all’osservazione citologica diretta, ma tale loro attitudine, rendendo possibile coltivare cospicui ammassi di cellule, capaci di svilupparsi su mezzi sintetici di composizione definita, aprì la via a ricerche quantitative del più alto interesse (analisi degli aspetti ormonali dell’accrescimento, richieste nutritive, processi morfo- e istogenetici, biologia dei tumori ecc.). Considerando retrospettivamente la storia del metodo delle c. in vitro si osserva che, mentre quelle di tessuti animali producevano proliferazioni indifferenziate, trasparenti, su strato sottile (e solo più tardi si riuscì a coltivare organi adulti), con i tessuti vegetali si ottennero prima c. organotipiche e solo in un secondo tempo (Torrey, 1957) si pervenne alla realizzazione di c. vere di cellule in grado di proliferare senza produrre organi definiti, o atti a permettere l’insorgere e il progredire di processi di morfogenesi (per es., formazione di abbozzi fiorali) partendo da espianti sottili (di tessuti ipodermici). Le c. hanno durata indefinita, tuttavia richiedono trapianti di un’aliquota delle cellule proliferanti o di frammenti dei tessuti accresciutisi in nuovo terreno.