materia, struttura della
Atomi e molecole visti da vicino
I cambiamenti di stato dell’acqua, il sorprendente numero di molecole d’aria contenute in un palloncino di gomma, le caratteristiche e il comportamento di solidi, liquidi e gas e ancora le proprietà dei semiconduttori, le sconcertanti caratteristiche dei superconduttori: questi sono solo alcuni degli argomenti di cui si occupano gli scienziati della materia.
Nell’affascinante viaggio dentro la struttura della materia gli scienziati si servono di strumenti sofisticati per riuscire a capire meglio il mondo che ci circonda e per realizzare applicazioni utili nella vita quotidiana: dal laser al televisore,
al telefono cellulare
La materia, cioè tutto quanto vediamo intorno a noi, è fatta di atomi, spesso associati fra loro a formare molecole. La fisica della materia studia il modo in cui gli atomi sono disposti all’interno dei corpi e come si muovono. Per capire quali sono le dimensioni in gioco, partiamo da una delle cose più piccole che possiamo vedere a occhio nudo: un capello, che è spesso soltanto un decimo di millimetro. Con un potente microscopio arriviamo a distinguere sul capello cellule grandi pochi micron (un milionesimo di metro). Ora, in un micron possono ancora trovare posto ben diecimila atomi messi in fila: la loro dimensione media, infatti, è un decimo di nanometro (il nanometro, simbolo nm, è un miliardesimo di metro). Per indagare la struttura della materia quindi non basta un microscopio ottico, ma sono necessari mezzi diversi e più potenti.
Tra questi vi sono i sensibilissimi microscopi a effetto tunnel, inventati negli anni Ottanta del Novecento. Grazie a un’impalpabile punta che esplora la superficie di un metallo, misurano le debolissime correnti elettriche associate agli atomi della superficie e da queste ricostruiscono la loro immagine. Con la variante del microscopio a forza atomica si può ottenere l’immagine degli atomi anche se la superficie è isolante e quindi non è attraversata da correnti.
Se invece si vuol sapere come gli atomi sono disposti all’interno del campione, oppure come si muovono, bisogna utilizzare uno dei vari tipi di spettrometri (spettroscopia) che sono stati inventati nel corso degli ultimi due secoli. Questi strumenti servono a registrare il modo in cui cambiano le proprietà della luce, dei raggi X o delle particelle veloci come gli elettroni o i neutroni, quando attraversano la materia. Dai cambiamenti che hanno subìto queste velocissime ‘sonde’ si può risalire, tramite elaborazioni al computer, al modo in cui il campione è ‘fatto dentro’.
Per investigare la struttura della materia i fisici, i chimici e i biologi utilizzano sempre più spesso come sonda la luce di sincrotrone. Si tratta di un’intensissima radiazione bianca che viene prodotta dagli elettroni quando viaggiano su orbite circolari a velocità prossime a quella della luce. I sincrotroni, oggi chiamati più propriamente anelli di accumulazione, sono grandi macchine che tutti i paesi industrializzati hanno costruito proprio per ottenere questa preziosa luce: l’anello italiano più moderno si chiama Elettra ed è stato realizzato vicino a Trieste.
Lo studio della struttura della materia non è motivato unicamente dalla curiosità scientifica. Esso ha dato origine a una grande quantità di invenzioni che hanno cambiato la nostra vita quotidiana: dalla radio a transistor al personal computer, dal laser tascabile agli schermi ultrapiatti dei televisori (v. televisione), dal telefono cellulare ai rivoluzionari treni a levitazione magnetica che possono viaggiare fino a 500 km/h.
Sulla base dell’esperienza quotidiana, già molto tempo fa, l’uomo imparò a classificare tutti i corpi in tre categorie, o stati della materia: i solidi come la spada che impugnava, i liquidi come l’acqua che beveva e i gas come l’aria che respirava. Sapeva anche che questi stati potevano trasformarsi l’uno nell’altro: per esempio vedeva l’acqua diventare ghiaccio d’inverno e, oltre tremila anni fa, sapeva già far fondere il ferro in un crogiolo.
Ma come sono ‘fatte dentro’ sostanze così diverse fra loro? I primi studi scientifici sulla natura della materia risalgono alle misure condotte sui gas da Evangelista Torricelli – un allievo di Galileo Galilei – e dal francese Blaise Pascal suo contemporaneo. Questi studiosi scoprirono che ogni gas esercita in tutte le direzioni la stessa pressione: trovarono che la pressione dell’aria al livello del mare è così forte da equilibrare la forza esercitata da una colonna di mercurio alta 76 cm o quella di una colonna d’acqua alta circa 10 m. Inoltre si scoprì che quando un gas contenuto in un dato volume si riscalda la sua pressione aumenta.
Tuttavia, per capire l’origine microscopica della pressione ci vollero altri due secoli.
A cavallo tra il Settecento e l’Ottocento, la chimica scoprì che tutte le reazioni in cui le sostanze si trasformano l’una nell’altra sono regolate da numeri interi: per esempio per formare l’acqua ci vogliono una parte di ossigeno e due parti di idrogeno; per formare il metano che bruciamo in cucina ci vogliono una parte di carbonio e quattro parti di idrogeno e così via. Se ne dedusse che le sostanze semplici (gli elementi, come l’ossigeno, l’idrogeno o il carbonio) devono essere costituite di piccole particelle, gli atomi, che attaccandosi fra loro con forze allora sconosciute formano le particelle-base di tutte le sostanze più complesse: le molecole. Oggi sappiamo che queste forze tra gli atomi sono di natura elettromagnetica.
Gli studi proseguirono e nel 19° secolo Ludwig Boltzmann dimostrò con semplici calcoli matematici che la pressione dei gas è dovuta ai continui urti delle molecole che li formano con i recipienti che li contengono. Le molecole hanno una massa piccolissima ma sono velocissime e il loro numero è straordinariamente grande. Per esempio, le molecole di ossigeno dell’aria viaggiano a centinaia di chilometri al secondo, sbattono contro tutto quello che trovano e in un pallone da calcio ce ne sono 100.000 miliardi di miliardi! La pressione quindi non è altro che la forza media esercitata su una superficie di area unitaria da tutti questi urti e si spiega anche perché questa grandezza cresce con la temperatura: riscaldando il gas, le molecole acquistano maggiore energia per urtare gli altri corpi.
Per riempire una bombola da cucina o da campeggio si usa gas liquefatto: la sua composizione chimica certo non cambia, quindi anche nel liquido ritroveremo le stesse molecole. Sono anch’esse animate da un moto incessante, come allo stato gassoso? La risposta fu trovata per caso dal botanico scozzese Robert Brown, mentre osservava al microscopio delle leggerissime particelle di polline disposte su un vetrino bagnato.
Brown si accorse che le particelle si spostavano qua e là e il loro moto, detto appunto browniano, rappresentò la prova del movimento incessante delle molecole all’interno di un liquido, anche se l’esatta spiegazione del fenomeno fu trovata soltanto nel 1905 da Albert Einstein.
Diversamente dai gas, però, i liquidi occupano un volume definito: una gocciolina di pioggia riesce ad arrivare a terra da grandi altezze senza disperdersi, come invece fa un gas appena apriamo il rubinetto della bombola che lo contiene. Ciò vuol dire che, in un liquido, gli atomi (o le molecole) sono tenuti insieme da intense forze di attrazione, che oggi sappiamo essere di natura elettromagnetica. Solo alcune molecole, casualmente, riescono a sfuggire dalla superficie, cioè a evaporare, mentre altre vengono catturate di nuovo e costrette a condensare. In questo modo, in un ambiente chiuso si stabilisce sempre un equilibrio tra il liquido e il suo vapore.
I liquidi possono anche trasportare l’elettricità, quando vi sono sciolte sostanze chiamate elettroliti: i loro atomi perdono un elettrone, trasformandosi in ioni positivi, o ne acquistano uno, trasformandosi in ioni negativi. È così che funziona la batteria dell’automobile.
Quasi tutti i liquidi, quando solidificano, diminuiscono di volume: fa eccezione l’acqua, che quando diventa ghiaccio si espande. Comunque sia, tra un corpo allo stato liquido e allo stato solido la differenza di volume non è molto grande: ciò significa che in entrambi gli stati gli atomi sono molto vicini fra loro. Se però osserviamo la superficie di un solido con un microscopio a forza atomica, notiamo un alternarsi regolare di vuoti e pieni (gli atomi) ben diverso dal disordine caotico che sappiamo esistere in un liquido, per via del moto browniano. Questo reticolo regolare di atomi si ritrova, seppure in forme diverse, nella struttura di tutti i cristalli che esistono in natura. Questa forma regolare – cubica, piramidale, esagonale, e così via – si ripete miliardi di miliardi di volte: e la regolarità può essere così perfetta che la ritroviamo nella stessa forma esteriore del cristallo. Solo in pochi solidi gli atomi sono disposti a casaccio: si tratta dei solidi amorfi e il più comune di essi è il vetro.
Anche gli atomi di un solido si muovono: vibrano come se fossero attaccati l’uno all’altro con invisibili molle. Queste ‘molle’ sono in realtà le forze elettromagnetiche tra atomo e atomo, particolarmente intense nei solidi. Le vibrazioni aumentano di ampiezza con la temperatura e sono disordinate, simili ai movimenti delle persone stipate come sardine in attesa di un concerto rock; ma gli atomi sono anche capaci di vibrare all’unisono, un po’ come ondeggiano gli spettatori quando comincia la musica. Grazie a queste oscillazioni ordinate il suono, per esempio, viaggia da un capo all’altro di un solido molto meglio che nell’aria. Come si vede in certi film western, appoggiando l’orecchio sulle rotaie, grazie alle invisibili vibrazioni degli atomi di ferro si può avvertire il rumore del treno quando questo è ancora molto lontano.
Da quando gli esseri umani hanno imparato a sfruttare le straordinarie proprietà dei solidi, questo stato della materia ha cambiato la loro esistenza e la loro storia. Grazie alla durezza dei metalli hanno fabbricato utensili e armi, prima di bronzo e poi di ferro. La trasparenza del vetro ha permesso di vivere in ambienti caldi e luminosi, e poi di produrre lenti, microscopi e cannocchiali. La preziosa lucentezza e inalterabilità dell’oro, dell’argento e del rame ha suggerito l’invenzione della moneta, dalla quale ha avuto origine l’economia moderna.
Alessandro Volta nell’anno 1800 inventò la pila facendo passare la prima corrente stabile in un filo metallico e aprì la strada allo sfruttamento delle straordinarie proprietà elettriche dei solidi, che hanno fatto così velocemente progredire il mondo. Osserviamo un cacciavite: l’anima è di metallo, ma il manico è di legno o di plastica. Sappiamo che questa protezione serve a non farci prendere la scossa, cioè a isolarci dalla corrente. Infatti esistono solidi, detti conduttori, che trasportano la corrente, i metalli, e solidi che non la fanno passare, come il legno e la plastica che sono isolanti.
Come si spiega la differenza tra isolanti e conduttori nel mondo microscopico degli atomi? In un isolante gli atomi sono neutri, cioè si tengono ben stretti tutti gli elettroni negativi che compensano perfettamente la carica positiva dei nuclei. Se questo isolante viene collegato ai due poli di un generatore di corrente, non può mettere a disposizione cariche libere e quindi la corrente non passa. Invece un metallo è fatto di ioni positivi, che hanno perduto i loro elettroni più lontani dal nucleo: queste particelle possono muoversi nel cristallo, come accade agli ioni negativi in un liquido conduttore (ionizzazione), e quindi, dato che ognuno di essi trasporta una carica, insieme a loro viaggia una corrente elettrica. Attraverso il filamento di una lampadina da 60 W transitano ben 4 miliardi di miliardi di elettroni al secondo! Il filamento si riscalda perché gli elettroni sono ostacolati nel loro moto dagli ioni positivi del metallo. Se il reticolo cristallino fosse perfettamente regolare e gli ioni fossero fermi, la resistenza sarebbe nulla e il filamento non diventerebbe incandescente; ma, come abbiamo già detto, gli ioni (che sono atomi carichi) invece vibrano e, per di più, nel cristallo ci sono sempre difetti e impurezze che rallentano gli elettroni.
Esiste uno stato della materia in cui la resistenza elettrica è uguale a zero: la superconduttività, che nel 1911 fu scoperta nel mercurio dal fisico olandese Kamerlingh Onnes. Poiché non incontra resistenza e quindi non consuma energia, una corrente può fluire in un circuito superconduttore per sempre, senza bisogno di una pila o di un altro generatore: è una supercorrente. In effetti si sono osservate in laboratorio supercorrenti che hanno circolato per anni e anni, finché l’esperimento non si è interrotto per cause accidentali!
Purtroppo la superconduttività si osserva solo a temperature molto basse. I superconduttori noti fino al 1986 funzionavano a pochi gradi al di sopra dello zero assoluto (2273,15 °C), la temperatura alla quale la pressione di un gas si riduce a zero. Quell’anno, a Zurigo, Georg Bednorz e Alex Müller scoprirono però una famiglia di sali di rame che restano superconduttori fino a circa 150 K (gradi kelvin, cioè 150 gradi sopra lo zero assoluto). Essi quindi funzionano bene in prossimità della temperatura di liquefazione dell’aria (circa 2190 °C). Poiché l’aria liquida è un refrigerante economico e facile da produrre, questa scoperta ha aperto alla superconduttività nuove applicazioni. In tutto il mondo sono in corso ricerche per riuscire a produrre un superconduttore capace di funzionare addirittura a temperatura ambiente, cioè a circa 300 K. Esso consentirebbe all’umanità di risparmiare enormi quantità di energia, o di fabbricare computer superveloci. Le supercorrenti sono anche capaci di produrre forti campi magnetici (magnetismo), a loro volta permanenti. Siccome due campi magnetici in cui si fronteggiano i poli dello stesso nome (per esempio due poli nord) si respingono, se un superconduttore viene appoggiato su un disco d’acciaio magnetizzato può sollevarsi e iniziare a levitare. Gli scienziati sono dunque riusciti a fare per davvero quello che maghi e illusionisti mostrano al pubblico ricorrendo ai loro trucchi. Oggi con i magneti a superconduttori levitano perfino i treni, come quello che collega la città cinese di Shanghai con il suo aeroporto: non dovendo vincere l’attrito delle rotaie, esso supera agevolmente i 500 km/h.
I semiconduttori sono solidi con una natura tendenzialmente di isolanti, ma in grado di acquistare proprietà metalliche più o meno spiccate quando vengono drogati (come si dice in gergo), cioè ‘contaminati’ con atomi di altre sostanze. Tuttavia la cosa più importante è che in un semiconduttore la corrente non è fatta solo da elettroni (come nei metalli ordinari), ma anche da portatori positivi di carica, le cosiddette lacune. Il semiconduttore più usato è il silicio, uno degli elementi più comuni della crosta terrestre (qualunque spiaggia ne è piena). Se viene drogato con atomi di boro il silicio si riempie di lacune e si dice che diventa un conduttore di tipo p (come positivo). Se invece si usa il fosforo esso acquista elettroni liberi e diventa un conduttore di tipo n (negativo).
Se un pezzettino di silicio si droga per metà n e per l’altra metà p si ottiene già un semplice dispositivo elettronico, chiamato diodo a giunzione. Un diodo può servire, unito a un trasformatore di tensione, per trasformare la corrente alternata della rete di casa in una corrente continua che può poi essere adoperata, per esempio, per ricaricare la batteria del cellulare. Oppure può produrre luce colorata come fanno i LED (Light emitting diode «diodi a emissione di luce»), i punti luminosi che costellano il cruscotto di un’automobile.
Se invece un piccolo pezzo di silicio viene drogato in modi diversi su tre parti vicine, per riprodurre la sequenza n-p-n o p-n-p, si ottiene un altro dispositivo chiamato transistor, l’elemento base di tutti gli amplificatori, nonché dei circuiti logici che fanno funzionare i computer. In questo modo si riescono a realizzare componenti elettronici (elettronica) grandi solo poche decine di nanometri: in un pezzo di silicio delle dimensioni di un’unghia trovano posto decine di milioni di transistor, diodi e altri componenti. Questi circuiti integrati sono il cuore di ogni dispositivo elettronico di oggi: dal chip del computer o del cellulare alla centralina dell’automobile.
Non bisogna dimenticare che l’invenzione del transistor nel 1948, dovuta ai tre ricercatori americani John Bardeen, Walter Brattain e William Shockley, era partita proprio dal desiderio di indagare la struttura della materia, dimostrando ancora una volta la fortissima interdipendenza tra ricerca di base e ricerca applicata.
Supponiamo di avere un pallone di gomma da circa un litro (quindi piuttosto piccolo) pieno di gas, e di praticare in esso un foro dal quale far uscire il gas. Supponiamo che dal foro esca un grandissimo numero di atomi al secondo, diciamo un miliardo. Quanto tempo impiega a fuoriuscire tutto il gas? Istintivamente siamo portati a pensare a pochi minuti o qualche ora ma, facendo semplici calcoli, si trova un risultato inatteso: occorre circa… un milione e mezzo di anni! Il motivo è che in un litro di gas c’è un numero straordinario di atomi (circa diecimila miliardi di miliardi) e farli uscire tutti non è lavoro di poco conto!
Cos’è il fumo bianco che vediamo sulla pentola della pasta? L’acqua allo stato di vapore, che si forma in abbondanza mentre l’acqua liquida bolle, è trasparente alla luce del sole o di una lampadina, quindi non la possiamo vedere. Però, mentre il vapore sale, entra in contatto con l’aria più fredda della cucina e ricondensa in forma di goccioline sferiche. Queste sono proprio come quelle che formano le bianche nubi del cielo: troppo leggere per cadere e troppo piccole per distinguerle. Quindi ci appaiono come un fumo biancastro, anche se si tratta, senza dubbio, di acqua allo stato liquido.