Nome comune di Ricinus communis (v. fig.), pianta della famiglia Euforbiacee, originario dell’Africa e dell’India, importato in Europa come pianta ornamentale; coltivato in tutti i paesi caldi e temperato-caldi per ricavarne l’olio dai semi.
Il r. è perenne nelle regioni tropicali e assume aspetto arboreo (fino oltre 10 m d’altezza); in quelle temperate è annuo, benché raggiunga altezze di 2-3 m. Ha fusto ramificato e foglie ampie, palmatolobate con lungo picciolo; infiorescenza complessa, a pannocchia con fiori femminili nella parte superiore e maschili nell’inferiore; il frutto è una capsula tricocca, a tre valve, deiscente o indeiscente, ricoperta di emergenze (che in una varietà mancano del tutto). Nel frutto sono presenti 3 semi ovoidei compressi, lunghi 10-25 mm, a tegumento duro ma fragile, lucente, di colore vario dal grigio al giallastro e rossastro, con strie e macchie di altro colore; essi contengono al disotto del guscio una pellicola sottile, biancastra, nella quale si trova la ricina, filotossina albuminoide assai tossica, che può determinare emoagglutinazone, e abbondante albume oleoso, nel quale è immerso l’embrione. L’olio, che costituisce il 50% circa del seme, consta di una miscela di gliceridi di acidi grassi. Nel seme si trovano enzimi, vitamine e sostanze azotate quali la ricinina, alcaloide a debole tossicità, e la ricina. È presente anche un enzima lipolitico che può causare una rapida idrolisi dei gliceridi se i semi non vengono conservati in luoghi asciutti. Sono note numerose varietà che differiscono per lo sviluppo della pianta, per la presenza o assenza delle emergenze sui frutti, per il colore del fusto e delle foglie, che è intensamente rosso in una varietà coltivata per ornamento, per la grandezza e la colorazione dei semi, per il contenuto di olio ecc.
L’olio di r. è iscritto nella Farmacopea ufficiale italiana; è usato in terapia per l’azione purgativa conferitagli soprattutto da un suo principio attivo, la ricinoleina, un cui prodotto di trasformazione, l’acido ricinoleico, ossiacido carbossilico non saturo, di formula CH3(CH2)5CHOHCH2CH=CH(CH2)7COOH, irritando la mucosa intestinale, aumenta la peristalsi. In terapia i semi non si usano mai come tali a causa della loro elevata tossicità, dovuta soprattutto alla ricina, di cui l’olio per uso farmaceutico viene privato. L’olio di r. contiene circa l’85% di gliceridi dell’acido ricinoleico insieme a esteri dell’acido oleico (8-9%), linoleico (3-4%), stearico (1-2%). La presenza dell’ossidrile nell’acido ricinoleico conferisce ai gliceridi derivati viscosità elevata, superiore a quella dei gliceridi di altri acidi grassi, e ciò spiega l’uso come lubrificante nei motori a combustione interna; l’acido ricinoleico contenuto nell’olio di r. si trasforma, per riscaldamento a 250-300 °C in presenza di catalizzatori, in un acido con due doppi legami coniugati dotati di proprietà siccative che si usa miscelato con altri oli nell’industria delle vernici. Trattato con acido solforico, l’acido ricinoleico contenuto nell’olio di r. subisce esterificazione dell’ossidrile (più veloce dell’addizione di acido solforico al doppio legame) e il prodotto, con proprietà bagnanti e disperdenti, si usa per es. nella tintura di fibre (olio per rosso turco). L’olio di r. raffinato si impiega anche in cosmetica. Il panello residuo della lavorazione del seme di r., tossico e non utilizzabile per alimentazione animale, si usa come fertilizzante avendo elevato contenuto di azoto e di potassio.