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profitto

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L’utile che si ricava da un’attività imprenditoriale, inteso come eccedenza del totale dei ricavi sul totale dei costi (di una o più operazioni commerciali o finanziarie o dell’intera gestione di un’impresa).

Economia

Secondo l’economia classica il p. è la differenza tra ricavo e costo e ha carattere residuale. Questo residuo è costituito in realtà da elementi diversi che potevano apparire come tutt’uno soltanto in un’epoca in cui la direzione delle imprese era in genere nelle mani di chi possedeva tutto o quasi tutto il capitale nelle stesse investito. Se quindi gli economisti classici (in particolare A. Smith, D. Ricardo e K. Marx) per ottenere il p. sottraevano solo i costi di produzione, in seguito, quando la figura dell’imprenditore si è staccata da quella del capitalista, attraverso la diffusione delle società anonime e lo sviluppo del credito e del mercato dei capitali, ci si è resi conto della precedente confusione tra interesse (➔) e p. e di come occorresse depurare quest’ultimo dell’interesse del capitale dell’imprenditore stesso investito nella sua impresa. Il capitale viene pertanto inteso da L. Walras e da E. von Böhm-Bawerk come un ulteriore fattore di produzione e l’interesse come il costo attribuitogli. Proseguendo sulla stessa via, si è compreso anche come non potesse considerarsi p. quel guadagno permanente di cui gode un imprenditore in quanto proprietario delle terre, guadagno che va considerato invece rendita (➔) differenziale; e come il compenso spettante all’imprenditore per il tempo e il lavoro dedicati all’impresa abbia natura di salario di direzione e non di profitto. Si tratta infatti della remunerazione di un lavoro che l’imprenditore compie per conto proprio ma potrebbe compiere anche per conto altrui e per cui valgono gli stessi principi che regolano il prezzo del lavoro in generale: cioè compenso più alto per gli imprenditori più capaci, data la loro scarsità di fronte alla domanda.

In contrasto con le definizioni residuali di p., F.H. Knight e G.L. Shackle lo considerano come il premio per il rischio assunto dall’imprenditore, o meglio, dato che in realtà gli imprenditori si assicurano contro il rischio predisponendo margini di sicurezza, per l’incertezza dipendente dalla difficoltà di valutare il rischio. Nella teoria neoclassica, l’impresa competitiva massimizza il proprio p. al fine di decidere le quantità da produrre. In particolare, poiché in concorrenza perfetta tale situazione si raggiunge con l’uguaglianza tra prezzo e costi marginali, compreso in esso il salario di direzione, nel lungo periodo non vi sono profitti. L’extraprofitto – come si può dire seguitando a chiamare p. o p. normale il compenso dell’imprenditore in economia statica – sorge quindi da una situazione di disequilibrio o di condizioni non competitive del mercato o ancora in presenza di incertezza.

A tale proposito si nota come i p. differenziali, in regime di libera concorrenza, sono dovuti ad attriti che impediscono il loro immediato diffondersi sull’intero sistema e sono necessariamente transitori tendendo nel lungo periodo a livellarsi, mentre i p. oligopolistici sono dovuti a caratteristiche strutturali (per es., dimensioni delle imprese che consentono o no determinate innovazioni) e sono permanenti. La distinzione fra p. temporaneo e p. permanente è legata al periodo dell’analisi. In un periodo di tempo sufficientemente lungo anche i p. oligopolistici tendono ad annullarsi, se è consentito l’ingresso nel mercato a nuove imprese e se le tecniche di produzione sono disponibili per tutti. L’analisi di lungo periodo, d’altro canto, individua una posizione teorica scarsamente verificabile anche quando c’è concorrenza perfetta, poiché l’adeguamento del costo marginale al prezzo lascia spazio a p. differenziali per le imprese inframarginali. Mutamenti del mercato possono verificarsi in seguito al succedersi delle fasi del ciclo economico, a guerre, a inflazioni e a interventi dello Stato in genere, e anche da questi possono derivare guadagni di congiuntura per gli imprenditori, assimilabili agli extraprofitti, ma quasi sempre più diffusi e sempre temporanei. Questi guadagni di congiuntura, in un periodo più lungo, possono anche risultare in parte almeno neutralizzati da perdite della stessa origine, e comunque vanno tenuti distinti per la loro natura puramente casuale da quei maggiori guadagni che sono frutto di particolari abilità di alcuni imprenditori nel migliorare la tecnica produttiva, nel realizzare economie e nel raggiungere la dimensione ottima della loro impresa, abilità che si traducono sempre in una diminuzione del costo di produzione e quindi in un maggior p. per l’impresa, a meno che la concorrenza non costringa ad allineare il prezzo al nuovo costo. La ricerca del p. sarebbe quindi lo stimolo alle innovazioni e la molla dello sviluppo economico.

Di particolare rilievo è anche l’andamento del saggio di p. inteso come rapporto tra p. e capitale anticipato. Da un punto di vista macroeconomico, M. Kalecki, N. Kaldor e L. Pasinetti considerano come esso sia legato al ciclo economico che determina margini di p. in relazione al livello produttivo dell’intero sistema. Con lo sviluppo di holding imprenditoriali, nelle quali vi è la scissione tra proprietà e controllo dell’impresa, l’obiettivo di massimizzazione del p. è stato sostituito da obiettivi più vicini alla direzione manageriale di massimizzazione dell’utilità e del potere (R. Marris, R. Cyert, J.B. Baumol, J.K. Galbraith). A.J. Wood ha in seguito conciliato questa impostazione con la teoria neoclassica, sostenendo come anche in una holding, l’obiettivo di crescita dell’impresa tende a realizzare una crescita del profitto.

Storia

P. di contingenza I guadagni realizzati a partire dal 1° gennaio 1939 da una attività diretta a trarre particolare vantaggio dai bisogni e dalle privazioni determinati dalla guerra. Furono avocati allo Stato dal r.d. 434/25 maggio 1946. P. di regime P. derivati dalla partecipazione o adesione al regime fascista. Ne fu disposta l’avocazione dal d. legisl. lgt. 159/27 luglio 1944, successivamente inquadrata nel regime tributario dal d. legisl. lgt. 134/26 marzo 1946.

Vedi anche
Impresa privata Sul piano giuridico, l’impresa è un insieme di atti che, seppure soggetti singolarmente alla disciplina generale prevista per ciascuno di essi, nel loro insieme comportano l’assoggettamento di chi li esercita anche a una disciplina particolare, il cosiddetto statuto dell’imprenditore. L’attività di ... capitale economia In economia, il termine ha più significati: il valore in denaro di beni; i beni stessi in cui il denaro è investito o, più comunemente, l’insieme dei beni destinati a impieghi produttivi per ottenere nuova produzione. L’espressione beni capitale (in contrapposto a beni di consumo) indica i beni ... prezzo L’equivalente in unità monetarie di una unità di bene o servizio; più in generale, valore di scambio di un bene in termini di qualsiasi altro bene. ● Secondo la definizione recepita dal diritto privato, il prezzo è il corrispettivo, generalmente in denaro, per l’acquisto di un bene o per il godimento ... salario Retribuzione del lavoratore subordinato, in particolare dell’operaio. 1. Definizione e tipologie Nel linguaggio economico, a differenza che nel linguaggio giuridico e comune, salario è la remunerazione del lavoro in genere, il prezzo del lavoro, subordinato o indipendente, manuale o di concetto. Il ...
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Vocabolario
profitto
profitto s. m. [dal fr. profit, che è il lat. profectus -us «progresso, profitto», der. di proficĕre «avanzare, giovare»]. – 1. Giovamento, utilità, vantaggio, sia fisico, sia intellettuale o morale, sia pratico: usare con p. un medicinale;...
profittare
profittare v. intr. [dal fr. profiter, der. di profit «profitto»] (aus. avere). – 1. a. Fare profitto, avanzare, progredire: p. nello studio, nella carriera. b. Trarre profitto, beneficio, vantaggio: ha profittato molto delle lezioni; mi...
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