Nella logica, ciascuno dei modi con cui può configurarsi il nesso fra soggetto e predicato.
Nella sillogistica aristotelica, i giudizi erano distinti a seconda che il nesso che univa il soggetto al predicato non fosse più la semplice asserzione di uno stato di fatto (S è P), ma quella di una realtà necessaria (S è necessariamente P) o di una realtà soltanto possibile (S può essere P); I. Kant, in una delle categorie principali, quella della ‘m.’, comprese le tre categorie subordinate della possibilità, della realtà e della necessità. Queste infatti, dal punto di vista della funzione esercitata nella conoscenza, assumevano l’aspetto dei valori di problematicità, assertorietà, apoditticità del giudizio, e corrispondevano quindi, sotto nuove denominazioni, ai tre termini dell’antica distinzione aristotelica.
Con la nascita della logica matematica, la logica modale ha conosciuto un suo originale sviluppo. Le motivazioni, oltre a quella di riprendere lo studio delle m. con gli strumenti raffinati della logica matematica, sono state anche altre: per es., in C.I. Lewis (1912), al quale si devono i primi sistemi formali per la logica modale, è forte l’intenzione di usare tale logica per dare una più soddisfacente analisi dei connettivi così come sono usati nei ragionamenti validi ordinari, e in J. Łukasiewicz la logica modale nasce sulla base dell’introduzione e della trattazione di logiche con più valori di verità. I vari sistemi di logica modale si sono rivelati utili non solo per un’approfondita discussione delle varie ipotesi su cosa vuol dire ‘essere necessario’ o ‘essere possibile’, ma anche per altri studi. In particolare, alcuni sistemi si prestano a essere usati per trattare anche enunciati modali in senso lato, quali gli enunciati della forma ‘sarà sempre vero p’ (enunciati trattati nella logica temporale), ‘si conosce p’ (enunciati trattati nella logica epistemica), ‘è obbligatorio p’ (enunciati trattati nella logica deontica, al cui sviluppo ha contribuito notevolmente G.H. von Wright), ‘p è dimostrabile nell’aritmetica di Peano’ (enunciati trattati nella logica della dimostrabilità), o ‘dopo che il programma termina, si ha p’ (enunciati trattati nella logica dei programmi).
Un sistema di logica modale può essere enunciativo (basato su un linguaggio senza quantificatori) o quantificato (basato su un linguaggio con quantificatori). Il linguaggio formale per i sistemi di logica modale enunciativa, ossia il linguaggio formale modale enunciativo, è ottenuto aggiungendo al linguaggio enunciativo classico (➔ logica) un nuovo simbolo L (oppure □), che sta per ‘è necessario che...’, e la seguente nuova regola di formazione delle formule: se H è una formula, allora LH è una formula. La formula ¬L¬H («non è necessario che non H») viene abbreviata con MH o con ◊H (si legge «è possibile che H»); cioè la m. di possibilità è definita nel metalinguaggio a partire dalla m. di necessità e dalla negazione. Nei vari sistemi di logica modale enunciativa gli assiomi e le regole sul simbolo L corrispondono a ipotesi sul significato e sull’uso degli enunciati modali. La semantica dei sistemi di logica m. enunciativa è stata oggetto di studi approfonditi, accompagnati anche da riflessioni filosofiche, da parte di R. Carnap (in particolare in Meaning and necessity, 1947), A. Prior negli anni 1950, J. Hintikka, S. Kanger e S. Kripke negli anni 1960. La semantica per la logica modale data da Kripke, la semantica dei mondi possibili o semantica di Kripke, è quella usata prevalentemente nella odierna logica modale. musica Il sistema costruito sull’uso delle successioni scalari dette modi. Pur essendo la tonalità (➔) una particolare forma di m., di solito i due termini sono usati in senso antitetico, indicando la m. il sistema che si formò e conobbe una complessa evoluzione nel Medioevo e nel Rinascimento prima di cedere il posto nel 17° sec. al sistema tonale. Alla m. si sono ispirati nel 19° e nel 20° sec. diversi compositori per arricchire e rinnovare la melodia e l’armonia tradizionali. Si parla di m. anche nell’etnomusicologia, riferendosi a sistemi musicali di civiltà extraeuropee (per es., indiana, cinese ecc.) e al repertorio folcloristico. Nel jazz, la m. è presente dalle origini, per la coesistenza delle scale europee maggiore e minore con altre, proprie della musica africana e del blues.