Ogni concezione che identifica il contenuto della conoscenza con stati mentali. In questo senso nel 20° sec. è stata considerata una forma di m. la gnoseologia di J. Locke, G. Berkeley e D. Hume, e così anche la filosofia di J.S. Mill e l’atomismo logico di G.E. Moore e di B. Russell. L’etichetta di m. è stata abitualmente usata in senso critico per riferirsi alle teorie psicologiche che fanno ricorso a entità, processi e stati mentali inosservabili (intenzioni, desideri, credenze ecc.) per spiegare il comportamento umano; al m., in quanto dottrina psicologica non empiricamente controllabile, sono stati contrapposti il comportamentismo e l’organicismo pragmatistico. J. Dewey, tra gli altri, ha intrapreso una critica sistematica del m., offrendo come alternativa una concezione che vede l’attività della mente come prosecuzione naturale del comportamento organico. Il m. è stato fortemente criticato anche da L. Wittgenstein e dalla sua scuola e da W.V.O. Quine che, considerando non scientifico l’appello alle nozioni mentali nella teoria del significato oltre che in psicologia, ha avanzato argomenti a favore del comportamentismo di B.F. Skinner. Più recentemente, una ripresa del m. si è avuta con il cognitivismo, che considera i processi mentali un legittimo oggetto di studio della psicologia.