filosofia
L'amore per la conoscenza
L'unica definizione condivisa della filosofia (dal greco philèo "amare" e sophìa "sapienza") è contenuta nell'etimologia della parola: amore per il sapere e dunque continua ricerca della conoscenza. Questa affascinante avventura, iniziata in Grecia 2.600 anni fa, ha preso direzioni così diverse ‒ per problemi, metodi e finalità ‒ che una sua definizione più specifica e univoca è impossibile. Nel corso della sua lunga storia la filosofia si è confrontata con i grandi eventi dell'Occidente, ridefinendo di volta in volta il suo ruolo, ma conservando la sua vocazione originaria alla riflessione critica
Per quale ragione la filosofia è sorta proprio in Grecia e non altrove? Le ragioni sono molteplici, ma un ruolo di primaria importanza spetta alla struttura socio-politica dell'antica Grecia. A differenza di quanto accadeva in Oriente, in Grecia non esistevano né uno Stato nazionale accentrato né caste sacerdotali depositarie di verità religiose immodificabili. La Grecia era un variopinto mosaico di città-Stato (pòleis), molte delle quali tra il 5° e il 4° secolo a.C. giunsero a darsi ‒ sotto la spinta di ceti urbani dediti all'artigianato e al commercio ‒ ordinamenti democratici.
La presenza di queste pòleis democratiche ‒ dove le decisioni politiche venivano prese tramite pubbliche discussioni ‒ ruppe la crosta tradizionalista dell'antica società agricola, con i suoi tempi immutabili dettati da una natura percepita come onnipotente, e favorì l'affermarsi di una mentalità aperta, dinamica e fiduciosa nella capacità umana di comprendere e modificare la realtà. Non a caso, la filosofia si sviluppò dapprima nelle ricche e libere colonie dell'Asia Minore (Mileto) e dell'Italia meridionale (Elea, Crotone) e soltanto in seguito si affermò nella madrepatria, dove trovò il suo ambiente ideale non nella tetra e militaresca Sparta, ma nell'inquieta e libera Atene. Quanto ai fattori di ordine culturale, la filosofia greca è strettamente associata al mito e alla religione. Il mito contenuto nei poemi di Omero e di Esiodo ha svolto un ruolo cruciale per la formazione dei Greci, paragonabile a quello svolto dalla Bibbia per il popolo ebraico. Anche se erano racconti fantastici, i miti omerici ed esiodei erano privi delle contraddizioni e del senso del mostruoso che caratterizzavano i miti arcaici e contenevano già quelle esigenze di coerenza, ordine e misura che sarebbero state proprie del pensiero filosofico. Alla genesi della filosofia contribuì infine la religione misterica dell'orfismo (orientamento religioso di antiche origini, riferito al mitico cantore Orfeo), che introdusse per la prima volta nella cultura greca l'idea di un conflitto tra lo spirito e la materia, ossia tra l'anima, considerata come un'entità divina e immortale, e il corpo, considerato come una prigione dalla quale liberarsi.
Le ricerche dei primi filosofi, come Talete (7°-6° secolo a.C.) dal quale si fa tradizionalmente iniziare la storia della filosofia, si concentrano sull'origine e sulla struttura del cosmo, cercando di individuarne il principio fondamentale (archè). Ma già in pensatori come Eraclito e Parmenide (6° -5° secolo a.C.) la filosofia oltrepassa il piano della natura: Eraclito è interessato a definire non tanto la materia di cui sono fatte le cose, ma il principio razionale (lògos) che ne governa l'ordine, mentre Parmenide si interroga su quello che rimarrà per secoli il problema filosofico per eccellenza: la definizione dell'essere.
Con la sofistica (5° secolo a.C.) l'interesse si sposta sul mondo umano e sulle sue problematiche morali, educative, politiche e religiose. I sofisti ‒ che insegnano la retorica, ossia l'arte di ben parlare e ben argomentare ‒ rispondono alle esigenze di una società urbana aperta e dinamica, che vuole disporre degli strumenti per partecipare alla vita pubblica. Ma la loro riflessione condurrà a forme più o meno radicali di relativismo, che susciteranno la reazione di Socrate e soprattutto di Platone, il quale negherà ai sofisti la qualifica di filosofi e li definirà sprezzantemente filodossi (cioè "amanti dell'opinione"), giacché insegnano a sostenere qualsiasi opinione, senza preoccuparsi di cercare la verità.
La ricerca della verità, che in Socrate rimarrà un'esigenza da perseguire attraverso il dialogo, in Platone troverà una risposta oggettiva e articolata attraverso l'elaborazione di una teoria che colloca il culmine della filosofia nella dialettica, intesa come capacità di sollevarsi dal mondo mutevole e imperfetto delle cose al mondo stabile e perfetto delle idee. Platone ritiene altresì che i filosofi, proprio perché sapienti e disinteressati, siano i più adatti a governare la città.
Se per Platone il filosofo è dunque un educatore e un politico, il cui compito consiste nell'indicare al mondo come deve essere, per Aristotele sarà in primo luogo uno scienziato, il cui scopo è spiegare la realtà così come è, nella sua inesauribile varietà. Aristotele elaborerà una vera e propria enciclopedia del sapere, dove ogni disciplina trova il suo posto e la sua dignità e dove la parte più alta della ricerca (la filosofia prima) riguarda l'essere in quanto tale. La filosofia prima prenderà in seguito il nome di metafisica e rimarrà, almeno sino a Kant, la più alta delle discipline filosofiche.
Dopo le grandi sintesi di Platone e Aristotele, il pensiero greco entra in una fase di ripiegamento individualistico, dovuto alle mutate condizioni sociali e politiche del mondo ellenistico: le grandi scuole dell'epicureismo, dello stoicismo e dello scetticismo finalizzano la ricerca filosofica al raggiungimento della tranquillità dell'animo, anche se le prime due sviluppano importanti teorie logiche. L'ultima fase del pensiero antico è il neoplatonismo (3°-6° secolo d.C.), il cui esponente più importante sarà Plotino (3° secolo): questa corrente di pensiero ‒ nella quale la ripresa delle teorie platoniche si mescola con una religiosità di ispirazione ebraica e orientale ‒ si configura come l'ultimo tentativo della filosofia antica di offrire un'alternativa al cristianesimo.
Con l'affermazione del cristianesimo la filosofia si trova a fronteggiare un mutamento epocale: nel volgere di pochi secoli la concezione della vita e dell'uomo ispirate al messaggio evangelico divengono il nuovo orizzonte spirituale dell'Occidente (e di quell'Oriente che fa parte dell'Impero Romano). Alcuni, come i neoplatonici, cercano di resistere al cristianesimo; altri, come Agostino (4°-5° secolo), si convertono e sviluppano una riflessione ispirata alla verità rivelata; altri ancora, come Tommaso (13° secolo), sosterranno che verità di ragione e verità di fede, pur rimanendo distinte, sono conciliabili tra loro.
La quasi totalità dei pensatori cristiani concepisce la filosofia come ancella della teologia, ossia come uno strumento per difendere e diffondere la fede. Mentre Agostino, però, la identifica con la religione ‒ giacché il suo oggetto è la ricerca di Dio ‒ e accentua, alla maniera di Platone, il dualismo tra dimensione terrena e dimensione celeste, Tommaso, rifacendosi ad Aristotele, rivaluta la dimensione naturale dell'uomo e attribuisce alla filosofia un proprio ambito autonomo di ricerca, i cui risultati non entrano in contraddizione con le verità della fede, ma piuttosto ne costituiscono il necessario preambolo.
Tale concezione della filosofia come subordinata alla teologia è particolarmente evidente nella scolastica, cioè nella filosofia coltivata nelle scuole; anche se, a partire dall'età moderna, diventerà sinonimo di filosofia priva di originalità e di autonomia, la scolastica è stata in realtà un movimento complesso, che ha raggiunto risultati ragguardevoli, per esempio nel campo della logica.
Se nei primi secoli dell'età moderna (15°-16° secolo) la filosofia si emancipa dalla teologia e partecipa alla generale rivalutazione dell'uomo e della natura, è soltanto dopo la nascita della scienza moderna (17° secolo, rivoluzione scientifica) che assume una fisionomia compiutamente moderna, dando luogo alle nuove correnti del razionalismo e dell'empirismo.
L'affermazione della scienza moderna rappresenta un altro mutamento epocale nella storia culturale dell'Occidente. Preceduta dalla rivoluzione astronomica ‒ che togliendo la Terra dal centro dell'Universo segna la fine dell'illusione antropocentrica ‒ la scienza moderna si basa su due grandi rivoluzioni intellettuali. La prima consiste nell'abbandono di ogni rappresentazione antropomorfica o magica della natura: la natura non ha né scopi né sentimenti né qualità occulte, ma è un ordine oggettivo basato su leggi di causa/effetto, che la scienza ha il compito di scoprire. La seconda rivoluzione riguarda il metodo, che si basa sull'osservazione empirica, sull'uso della matematica per formulare le ipotesi e sull'esperimento per confermarle o smentirle. Il sapere, infine, non deve essere riservato a pochi o agli iniziati, ma deve essere pubblico e controllabile.
Sulla base di questi presupposti la scienza moderna, il cui padre è Galilei, raggiunge risultati senza precedenti: alla ressa delle opinioni e delle congetture subentra la certezza delle dimostrazioni. Da allora la filosofia ‒ oltre a perdere alcuni territori che le erano tradizionalmente appartenuti, cominciando dalla fisica ‒ inizia a interrogarsi sul suo ruolo, sui suoi metodi e sui suoi limiti.
Il primo a tentare una riforma radicale della filosofia è Cartesio (17° secolo), che imputa tutti gli errori e i difetti alla mancanza di un metodo appropriato. Tale metodo, come dimostrano i risultati, è quello delle scienze matematico-geometriche, che parte da principi certi (autoevidenti o colti per via intuitiva) e procede tramite rigorose deduzioni. Il principio certo dal quale prendere le mosse viene rintracciato da Cartesio nel "cogito" ("io penso"), ossia nella consapevolezza di sé in quanto essere pensante: sulla base di questa certezza razionale, Cartesio elabora la sua filosofia, che segna l'inizio del razionalismo moderno. Questa corrente, che avrà i suoi più grandi esponenti nell'olandese Baruch Spinoza (17° secolo) e nel tedesco Gottfried Leibniz (17°-18° secolo), darà luogo a filosofie sistematiche, dove accanto alla metafisica e all'etica troviamo ancora la fisica.
L'altra grande corrente della modernità è rappresentata dall'empirismo, i cui maggiori esponenti sono Locke e Hume. Al centro della riflessione di questi autori sta il problema critico, ossia il tentativo di chiarire l'origine, la certezza e l'estensione della conoscenza umana. A differenza dei razionalisti, gli empiristi hanno infatti dubbi sulle capacità conoscitive della ragione, di cui intendono stabilire i limiti. Questi vengono rintracciati nell'esperienza: ogni qualvolta la ragione pretende di oltrepassare il piano dell'esperienza ‒ come accade nella metafisica, che pone le domande ultime sull'essere ‒ essa si perde in congetture vane e fantastiche, producendo un sapere illusorio e falso. Questa impostazione troverà la sua più matura espressione in Kant, secondo il quale la filosofia deve abbandonare alla scienza moderna tutti i problemi relativi al mondo naturale e deve altresì rinunciare alla metafisica, che non potrà mai essere una scienza: alla filosofia rimane il compito di riflettere sui fondamenti della conoscenza scientifica e sui problemi etici e politici.
Su questa linea di pensiero si collocarono anche i filosofi dell'Illuminismo, che si considerano per la prima volta un gruppo unito da una missione civile e politica: diffondere i lumi della ragione nella società, al fine di favorirne il progresso intellettuale e materiale.
Idealismo. Se la filosofia moderna del 17° e 18° secolo ‒ nella linea antimetafisica che va da Locke a Kant ‒ accetta pienamente i risultati della scienza moderna, ridimensionando il proprio ruolo, le principali correnti filosofiche del 19° secolo sono caratterizzate da forti ambizioni sistematiche.
La prima è l'idealismo tedesco, sviluppatosi nella prima metà dell'Ottocento: di fronte alla frammentazione del sapere prodotta dalla modernità gli idealisti intendono ricostruire un sistema unitario del sapere, nel quale la filosofia torni a giocare il suo antico ruolo di 'scienza prima'. Tale tentativo trova la sua più matura espressione nel pensiero di Hegel: nel suo grandioso sistema ogni aspetto della realtà e del pensiero appare come la manifestazione necessaria di un principio spirituale o Idea, di cui la filosofia rappresenta la più alta forma di consapevolezza. Con Hegel l'Assoluto viene per la prima volta identificato con la storia e la storia viene rappresentata come un processo necessario il cui scopo è la libertà dello spirito.
Marxismo. La concezione della storia come processo necessario passerà in Marx, il quale tuttavia vedrà in essa non la manifestazione di un principio spirituale, ma l'espressione di lotte sociali le cui radici vanno rintracciate nella sfera economica della produzione. Sebbene risenta profondamente della lezione di Hegel, Marx è affascinato dalla scienza moderna e ritiene che la sua concezione, il materialismo storico, abbia un carattere scientifico: come Darwin ha scoperto le leggi dell'evoluzione biologica, Marx è convinto di aver scoperto le leggi dell'evoluzione storica, in base alle quali formula previsioni ben precise sul futuro della società capitalistica.
Positivismo. Se il marxismo si presenta come scienza ‒ ma in realtà si fonda su una logica dialettica che nulla ha a che fare con la logica della scienza moderna ‒ il positivismo, che dominerà la seconda metà dell'Ottocento, fa della scienza moderna l'unica forma di sapere valida. Secondo il positivismo, i cui massimi esponenti sono il francese Auguste Comte e l'inglese Herbert Spencer, il metodo scientifico deve essere esteso al mondo umano (e infatti nascono in questo periodo, come scienze autonome, la sociologia, l'antropologia e la psicologia) e i suoi risultati devono guidare la soluzione dei problemi sociali e politici. In questo quadro, alla filosofia rimane una funzione meramente organizzativa: raccogliere e coordinare in un quadro unitario i risultati delle varie scienze particolari.
Nel Novecento vengono meno i grandi sistemi e la ricerca filosofica si volge in molteplici direzioni, anche se spesso riprende i grandi modelli dei due secoli precedenti. Di qui la moltiplicazione delle correnti precedute dal prefisso neo- (neoidealismo, neokantismo, neopositivismo, neomarxismo), alle quali si aggiungono l'esistenzialismo, la filosofia analitica e la filosofia ermeneutica, che si rifà alla linea di pensiero Husserl-Heidegger.
Sebbene la filosofia del Novecento sia una selva intricata, l'atteggiamento verso la scienza ci permette di distinguere al suo interno tre filoni fondamentali. Il primo è costituito da quelle filosofie che ‒ riprendendo l'istanza antimetafisica dell'empirismo ‒ riflettono direttamente sulla scienza o si ispirano ai suoi metodi rigorosi: si tratta del neopositivismo, della filosofia della scienza e della filosofia analitica. Nel secondo gruppo possiamo collocare le filosofie critiche o apertamente ostili verso la scienza moderna, come il neoidealismo, l'esistenzialismo e la filosofia ermeneutica. Nel terzo gruppo, infine, possono essere collocati quei filosofi che, rifiutando metafisiche vecchie e nuove e forme più o meno sofisticate di scientismo, rivendicano il carattere storico del sapere filosofico, individuando i suoi ambiti di ricerca nella storia della filosofia, nell'etica e nella politica.
Neopositivismo. Il movimento neopositivista (prima metà del Novecento) condivide col positivismo il riconoscimento della scienza come unica forma di sapere valida, ma se ne distingue per una visione più critica della scienza e per una forte attenzione ai suoi aspetti logico-linguistici. I neopositivisti vogliono rifondare la conoscenza sulla base di un linguaggio scientifico unificato, che elimini le ambiguità e le deformazioni del linguaggio comune, dal quale nascono i falsi problemi della metafisica. L'analisi linguistica diverrà il tratto saliente della filosofia analitica, che si affermerà nella seconda metà del Novecento: gli analitici tendono a risolvere il lavoro filosofico nell'analisi del linguaggio, sia esso quello formalizzato delle scienze o quello comune con il quale affrontiamo i problemi etici, politici e conoscitivi.
Neoidealismo. Croce e Gentile sono i massimi esponenti del neoidealismo, nato agli inizi del Novecento come reazione all'imperante positivismo e come rivendicazione della storicità del mondo umano, che non può essere analizzato con le categorie astratte e quantitative delle scienze naturali, ma con la logica dialettica che riproduce il movimento reale della vita. Per Croce la realtà coincide con la storia, che è un incessante divenire dal quale sorgono problemi sempre nuovi; ne conseguono un completo rifiuto della metafisica (intesa come insieme di problemi eterni) e la convinzione che alla filosofia spetti il ruolo di metodologia della storiografia. Su questa linea storicistica ‒ ma ormai priva di ogni residuo idealistico ‒ possono essere collocate quelle filosofie che individuano nei problemi storici ed etico-politici gli ambiti propri della riflessione filosofica.
La riflessione sull'essere e sul tempo. I problemi della tradizione metafisica (il senso dell'essere, la natura del tempo) sono invece al centro della riflessione del francese Henry Bergson e dei tedeschi Edmund Husserl e Martin Heidegger: per tutti costoro la scienza moderna ‒ con il suo sapere intellettualistico e astratto, modellato su parametri fisico-matematici ‒ è lontana dal mondo della vita e dai problemi più scottanti che l'uomo si pone, come quello del senso dell'esistenza. La filosofia di Heidegger, che è il più influente di questi filosofi, parte dall'analisi dell'esistenza e del tempo, per poi tornare a porre come cruciale quel problema dell'essere che si era affacciato alle origini della filosofia greca.