ecologìa micròbica Disciplina il cui obiettivo è lo studio delle interazioni tra microrganismi e ambiente; sviluppatasi a partire dagli anni Sessanta del 20° sec., essa ha rapidamente conosciuto sostanziali avanzamenti grazie alla messa a punto di nuove tecnologie, attraverso le quali è stato possibile rilevare un'estrema diversificazione dei microrganismi e il loro ruolo nei cicli della materia dell'ecosistema (➔ microbiologia).
Abstract di approfondimento da Ecologia microbica di Claudia Barberio e Marco Bazzicalupo (Enciclopedia della Scienza e della Tecnica)
L’ecologia microbica è lo studio delle relazioni che hanno luogo tra i microrganismi e l’ambiente, ivi compresi i micro- e macrorganismi presenti. Sebbene l’ecologia sia nata a metà dell’Ottocento (la parola fu coniata dal tedesco Ernst Haeckel, 1834-1919), l’ecologia microbica ha iniziato a svilupparsi intorno al 1960, insieme al riconoscimento dell’importanza della qualità ambientale e del fatto che i microrganismi hanno un ruolo fondamentale nel determinare e mantenere tale qualità. Accanto a questo si è inoltre assistito allo sviluppo di nuove tecnologie che hanno permesso un notevolissimo incremento delle diversità microbiche e delle loro attività. I microrganismi infatti erano stati a lungo identificati con quelli patogeni, sia umani che animali e vegetali. Con le nuove tecnologie ci si è resi conto che in realtà i microrganismi patogeni rappresentano soltanto una piccola parte di quelli esistenti e che i microrganismi, attraverso le loro attività metaboliche, hanno ruoli determinanti nei cosiddetti ‘cicli biogeochimici’, vale a dire i cicli della materia dell’intero ecosistema.
Siamo abituati a pensare agli ambienti naturali come ‘macroambienti’, tuttavia, le dimensioni dei microrganismi variano da frazioni a decine di micron (millesimi di millimetro) ed essi abitano in piccole porzioni di ambiente, nei cosiddetti ‘microambienti’. Dato che i microrganismi sono però molto numerosi, gli effetti sull’ambiente possono essere anche estesi: per esempio, i batteri zolfo- e ferro-ossidanti possono provocare una forte acidificazione dei suoli e delle acque. Lo sviluppo di nuovi metodi di studio basati su conoscenze genetiche, uniti all’implementazione della microscopia, ha consentito di appurare che i microrganismi sono tanti e molto diversi. Negli ambienti naturali convivono molti tipi di microrganismi diversi che interagiscono strettamente tra di loro e con il microambiente che occupano, la loro ‘micronicchia’ ecologica; il termine ‘comunità microbica’ è stato adottato proprio per definire questi gruppi di microrganismi, batteri, funghi, virus, alghe e protozoi, le loro funzioni e le loro interazioni. Grazie a questa diversità i microrganismi sono ubiquitari, si trovano cioè ovunque, anche in ambienti con condizioni estreme, apparentemente inconciliabili con la vita, come, per esempio, mancanza di ossigeno o altissime temperature. L’estrema diversità delle loro attività metaboliche e la loro forte capacità di adattamento fanno sì che essi possano addirittura cambiare le caratteristiche dell’ambiente circostante: per esempio, un microrganismo che respira (aerobio) se in attiva crescita può consumare tutto l’ossigeno dell’ambiente. La conoscenza sia dei microrganismi che delle loro capacità e interazioni ha consentito inoltre di sfruttarli per i più vari scopi applicativi, dalla produzione di cibo al biorisanamento ambientale alla produzione di una quantità di composti utilizzabili. La stretta relazione tra lo studio dell’ecologia microbica e le sue applicazioni pratiche ha permesso di considerare la ‘microbiologia applicata’ come una delle branche dell’ecologia microbica stessa.
L’ambiente più semplice, che è visto principalmente come mezzo di trasporto dei microrganismi, è quello aereo. L’aria è fonte di dispersione e trasporto di ‘bioaereosol’, ossia di gocce o particelle con diametro compreso tra 0,5 e 30 mm. Le fonti di bioaereosol sono numerose e comprendono fenomeni naturali e attività umane (flussi d’acqua, attività agricole, tosse, starnuti). Nel bioaereosol sono presenti anche microrganismi che vengono staccati dalle superfici su cui si trovano e dispersi. I microrganismi vengono poi depositati per azione delle precipitazioni, per semplice sedimentazione o per impatto del vento sulle superfici. La sopravvivenza dei microrganismi nell’aria è fortemente influenzata dalle radiazioni, dall’umidità, dalla temperatura e dalla composizione dell’atmosfera e quest’ultima, a sua volta, è fortemente influenzata dalle attività umane. Nell’ambiente acquatico si distinguono le acque dolci e marine, caratterizzate dal diverso contenuto in sali disciolti. L’ambiente più ricco di sali è quello marino che è contraddistinto anche da altre caratteristiche quali: temperatura bassa e costante (4÷5 °C) al di sotto dei 100m, variazioni di profondità, che può arrivare fino a 11.000m, e conseguentemente di pressione. Queste caratteristiche fanno sì che i microrganismi che abitano le acque marine debbano poter crescere e sopravvivere in presenza di una o di tutte le particolari condizioni.
Troviamo quindi microrganismi che tollerano o che richiedono alte concentrazioni saline (alotolleranti e alofili), basse temperature (psicrotrofi e psicrofili) e alte pressioni (barotolleranti e barofili). In tutti gli ambienti acquatici l’interfaccia acqua/aria è colonizzata da microrganismi che utilizzano i gas atmosferici producendo composti organici sia del carbonio che dell’azoto; tra questi, alghe, cianobatteri, e proclorofite in particolare in mare aperto, e attorno a loro i microrganismi che utilizzano i composti organici sintetizzati ed escreti dai primi. Le zone costiere e gli ambienti d’acqua dolce ricevono anche facilmente un cospicuo apporto di residui vegetali che vengono degradati, anche se lentamente, dai microrganismi, fornendo carbonio e azoto. Particolarmente ricca di microrganismi è la zona dei sedimenti acquatici che passa da aerobica ad anaerobica andando dall’alto verso il basso. Le diverse condizioni favoriscono lo sviluppo di comunità microbiche i cui componenti hanno diverse capacità e che si stratificano. Partendo dal basso, nella zona anaerobica si trovano microrganismi metanogeni, o capaci di fermentazione o di respirazione anaerobica, ossia microrganismi zolfo- e solfato-riducenti e un po’ più in alto microrganismi nitrato-riducenti. Andando verso la zona aerobica abbiamo microrganismi zolfo-ossidanti, poi i metilotrofi e quelli capaci di assimilare solfati, ammonio e nitrati.
In ambiente acquatico i microrganismi hanno numerose interazioni con gli organismi superiori. Per esempio, la capacità di emettere luce di certi organi di Pesci e Molluschi è dovuta alla presenza in tali sedi di batteri luminescenti. Nelle profondità marine si hanno inoltre esempi di ambienti, come le sorgenti geotermiche, dove si instaurano condizioni estreme di temperatura, pH, pressione. Le sorgenti geotermiche sono dovute alla fuoriuscita di gas (CO2, CH4 e H2S) e sostanze ridotte, ad alta temperatura, in corrispondenza di fessure nel basalto. In questi ambienti esistono forme di vita superiore, come mitili e vermi, che possono sopravvivere proprio grazie ai rapporti che contraggono con i batteri zolfo-ossidanti che crescono a spese di CO2 e H2S e sono fonte di composti organici per gli ospiti.
L’ambiente terrestre è praticamente sinonimo di suolo. È questo l’ambiente senza dubbio più complesso per i microrganismi, in quanto la sua struttura e composizione può comportare notevolissime variazioni nel contenuto di nutrienti nell’ambito di pochi micrometri. I microrganismi, così come nei sedimenti acquatici, sono particolarmente presenti in superficie e nello strato sottostante, dove si trovano le radici delle piante con cui molti interagiscono. Andando verso il basso il contenuto microbico diminuisce, anche se vari tipi di microrganismi si trovano ancora nelle rocce a migliaia di metri di profondità. Rispetto alla struttura, i suoli con maggior quantità di microrganismi sono quelli argillosi, poiché le argille trattengono acqua e materiale organico. In superficie sono particolarmente abbondanti microrganismi come alghe e cianobatteri, che fissano CO2 e azoto. Molto abbondanti nel suolo sono i funghi, che partecipano alla degradazione dell’humus e sono particolarmente presenti nei terreni poveri, aridi e acidi, insieme a un gruppo di batteri filamentosi, gli attinomiceti. Questi ultimi sono attivi nella formazione dell’humus e producono antibiotici e vitamine, sostanze che probabilmente servono a mantenere l’equilibrio microbiologico dei suoli. Oltre a quelle tra microrganismi diversi, le interazioni principali nel suolo sono quelle con le piante, in particolare le radici, e con la microfauna terrestre. I batteri azoto-fissatori forniscono alla pianta azoto fissato, sono cioè dei fertilizzanti naturali. Ricordiamo una delle interazioni più note, la simbiosi tra il batterio Rhizobium e le leguminose. Un’altra interazione altrettanto importante e diffusa si stabilisce tra le radici di piante sia legnose sia erbacee e alcuni funghi. Questi formano intorno o all’interno della radice delle strutture chiamate micorrize, di cui un noto esempio è quello dei tartufi. Di conseguenza si verifica un maggior assorbimento di nutrienti; le radici diventano più longeve e la pianta più resistente ai fitopatogeni, alle tossine, a sbalzi di pH e temperatura.
In tutti gli ambienti sono poi presenti i virus, parassiti delle cellule microbiche alle cui spese si moltiplicano; spesso i virus sono di uno o due ordini di grandezza più abbondanti degli altri microrganismi: essi contribuiscono a controllare l’equilibrio microbiologico dell’ambiente. Nella maggior parte degli ambienti, con l’eccezione di quello aereo, i microrganismi spesso aderiscono alle superfici assumendo una particolare organizzazione detta ‘patina microbica’ o ‘biofilm’. Il biofilm costituisce una comunità microbica le cui diverse componenti sono incluse in una matrice polimerica, secreta dai microrganismi stessi, che media l’adesione tra le cellule e la superficie. Nel biofilm le cellule microbiche ricevono più nutrienti, interagiscono tra loro e sono maggiormente difese dagli stress ambientali e dall’attacco di predatori e di virus: la placca dentale che provoca la carie è un ben noto esempio di biofilm batterico.