In diritto, si parla di apparenza quando una determinata situazione manifesti e faccia apparire reale una qualificazione giuridica che non corrisponde alla sua sostanza, e specificamente un diritto soggettivo; di regola, la rilevanza di tale situazione è subordinata a circostanze tali da giustificare la convinzione dei terzi sull’oggettiva esistenza della medesima. Infatti, nelle ipotesi paradigmatiche previste dal Codice civile (erede apparente, art. 534; e pagamento al creditore apparente, art. 1189) la tutela dell’acquirente e del debitore è subordinata alla buona fede del medesimo, sempre che la situazione giustifichi tale stato soggettivo. Si discute se anche nella posizione del simulato acquirente si possa ravvisare un’ipotesi di apparenza.
Si segnala il contrasto tra la parte maggioritaria della dottrina, che limita la rilevanza dell’apparenza alle ipotesi richiamate, e la giurisprudenza che, in base alle medesime norme, la ritiene un principio del nostro ordinamento. Infatti, in tema di rappresentanza (v. Rappresentanza. Diritto civile) è frequente, da parte dei giudici, il ricorso all’apparenza per apprestare una tutela più efficace al terzo, quando il soggetto interessato abbia con il proprio comportamento suscitato la convinzione del terzo circa l’esistenza del potere rappresentativo.
Tra le applicazioni più recenti, si ricordano quelle concernenti il promotore finanziario e la responsabilità del marito per le obbligazioni assunte dalla moglie tutte le volte che sia stata posta in essere una situazione tale da indurre i terzi a ritenere che la moglie abbia agito in nome del marito.