Universo
Tutto iniziò in un solo punto
Come è nato, come sta evolvendo e come finirà l’Universo? Sono queste alcune domande a cui la cosmologia cerca di dare risposta. Oggi, grazie a strumenti sempre più sofisticati, abbiamo un quadro preciso su chi siano i protagonisti dell’Universo. Sappiamo che ci sono circa cento miliardi di galassie popolate mediamente da cento miliardi di stelle e che ci sono pianeti intorno alla maggior parte delle stelle. Gli astronomi oggi hanno un’idea abbastanza precisa di come e quando è nato l’Universo e sono in grado anche di fare previsioni sulla sua evoluzione
Non è facile definire cosa sia l’Universo. Per molto tempo, l’uomo ha pensato che l’Universo coincidesse con la Terra e con ciò che si poteva vedere a occhio nudo, le stelle delle costellazioni e i pianeti del Sistema Solare visibili senza ausilio di strumentazioni. La visione dell’Universo si modificò circa quattrocento anni fa, quando Galileo Galilei guardò la Luna per la prima volta con il telescopio. Con l’invenzione di questo preziosissimo strumento l’Universo divenne improvvisamente più grande, si scoprirono altri pianeti, come Urano, si individuarono nuove stelle lontane e soprattutto nuove galassie.
Potremmo dire che l’Universo è tutto ciò che riusciamo a osservare con gli strumenti. Potrebbero esistere regioni lontanissime dalle quali la radiazione cosmica emessa dai corpi ivi presenti non è ancora giunta sino a noi. Nessun segnale, infatti, può viaggiare a velocità superiori a quella della luce: per vedere tali regioni sarà necessario che la radiazione completi il suo percorso fino a noi. Secondo alcuni astronomi, oltre all’Universo così definito esistono regioni non osservabili, ma in questo contesto, per semplicità, ci riferiremo solo all’Universo osservabile.
Grazie al telescopio spaziale Hubble sappiamo che ci sono circa 100 miliardi di galassie, ciascuna popolata da circa 100 miliardi di stelle. La galassie sono riunite in agglomerati stratificati, separati da vaste regioni vuote simili a bolle e le pareti delle bolle sono formate dalle galassie stesse.
Pensiamo alla sirena di un’ambulanza. Quando il veicolo si avvicina il suono della sirena è più acuto di quando l’ambulanza invece si allontana. Il fenomeno prende il nome di effetto Doppler e può essere generalizzato dicendo che il suono emesso da una sorgente in avvicinamento rispetto a un osservatore ha una frequenza maggiore del suono della stessa sorgente in allontanamento rispetto all’osservatore. Qualcosa di simile avviene anche alla luce. Se una sorgente di luce si avvicina, la luce tende ad assumere una colorazione blu – che corrisponde a una frequenza maggiore – mentre quando la sorgente di luce si allontana la luce assume una colorazione che si sposta verso il rosso, che ha una frequenza minore. Studiando lo spettro (spettroscopia) della luce emessa dalle galassie, gli astronomi hanno rilevato uno spostamento verso il rosso, una prova del loro allontanamento. Se tutte le galassie si stanno allontanando, questo fatto vuol dire che l’Universo si sta espandendo.
La scoperta dell’espansione si deve a Edwin P. Hubble, uno degli astronomi più importanti del 20° secolo. Fu proprio questo scienziato a individuare alcune stelle che non appartenevano alla nostra galassia, ma alla galassia chiamata M33. Hubble, scoprendo l’esistenza di galassie diverse dalla nostra, aveva ‘allargato’ i confini dell’Universo conosciuto. Ma non si limitò a questo. Dimostrò anche che le galassie si allontanavano l’una dall’altra; basandosi sull’effetto Doppler egli misurò la velocità delle galassie e scoprì che si allontanavano tanto più velocemente quanto più erano lontane.
La legge che lega la velocità di allontanamento alla distanza di una galassia prende proprio il nome di legge di Hubble. Secondo questa legge esiste proporzionalità diretta tra lo spostamento verso il rosso (che nel linguaggio dei fisici è chiamato red shift) e la distanza delle galassie. La costante che esprime tale proporzionalità è chiamata costante di Hubble ed è un valore che esprime la rapidità con cui l’Universo si espande.
L’ipotesi cosmologica attualmente più accreditata è che l’Universo sia nato da un’esplosione primordiale di un ‘punto’ di materia infinitamente densa, che prende il nome di big bang, letteralmente «grande bang». Inizialmente l’Universo era molto piccolo e con temperatura incredibilmente elevata, poi andò espandendosi e raffreddandosi. L’energia si trasformò in materia, e si formarono gli elementi più leggeri, idrogeno ed elio. Dopo circa un milione di anni, la forza di gravità portò la materia – sotto forma di gas idrogeno ed elio – ad aggregarsi e si costituirono lentamente le protogalassie in leggera rotazione. Tre miliardi di anni dopo il big bang le protogalassie cominciarono a fondersi e a dare origine alle prime galassie. Cinque miliardi di anni dopo si formarono le prime galassie di dimensioni maggiori, fra cui alcune a spirale, come quella nella quale viviamo noi oggi.
Fu un astronomo britannico di nome Fred Hoyle a utilizzare per primo l’espressione big bang. Hoyle se ne servì in senso ironico: riteneva infatti che l’ipotesi di un’esplosione improvvisa fosse «disperatamente lontana dal vero». Hoyle insieme ai colleghi austriaci Hermann Bondi e Thomas Gold – con i quali durante la Seconda guerra mondiale aveva lavorato al perfezionamento degli apparecchi radar – presentò il modello di universo in stato stazionario, contrapposto a quello dell’Universo in evoluzione. Nel modello di Hoyle – che rappresentò l’ultimo tentativo di salvare l’idea dell’immobilismo cosmico – l’Universo non ha data di nascita perché esiste da sempre.
La teoria di Hoyle subì una decisiva sconfitta quando due tecnici statunitensi della Bell telephone company, Arno Penzias e Robert Wilson, scoprirono casualmente – mentre mettevano a punto una sensibile antenna destinata a ricevere i segnali emessi dai satelliti artificiali – un disturbo radio costante, presente in qualsiasi direzione puntassero la loro antenna. Pensarono perfino che il disturbo dipendesse dalla presenza di una coppia di piccioni sull’antenna, ma non era così. Avevano invece scoperto la radiazione cosmica di fondo prevista dalla teoria del big bang, il residuo di energia prodotto dall’esplosione dalla quale è nato l’Universo. La radiazione individuata da Penzias e Wilson, infatti, non poteva essere associata a stelle, galassie o ammassi di galassie, ma era coerente a un fenomeno cosmologico come l’origine dell’Universo. Grazie a questa scoperta Penzias e Wilson ottennero il premio Nobel per la Fisica nel 1978.
Nel 1989 fu lanciato il satellite cobe (Cosmic background explorer «Esploratore del fondo cosmico») con il compito principale di individuare la radiazione residua lasciata dal big bang. Il satellite riuscì a tracciare una mappa globale della radiazione cosmica mettendone in luce debolissime fluttuazioni di temperatura, e dunque di densità. La materia primordiale non era cioè distribuita in modo omogeneo.
Queste piccole disomogeneità, chiamate fluttuazioni primordiali, grazie alla forza di attrazione gravitazionale, si sono evolute nel corso della vita dell’Universo, fino a dare origine alle strutture odierne, cioè le stelle e le galassie, che possiamo considerare distribuite uniformemente se consideriamo l’Universo su grande scala. Sembra che una componente particolare della materia abbia guidato, più delle altre, il processo di addensamento: la cosiddetta materia oscura (astronomia) che secondo le moderne teorie domina l’Universo.
Un altro esperimento ha consentito di raffinare le nostre conoscenze sull’origine dell’Universo: si tratta di boomerang (Balloon observation of millimetric extragalactic radiation and geophysics), l’esperimento italo-statunitense che ha lo scopo di osservare l’Universo primordiale mediante un telescopio sospeso a un pallone aerostatico.
Utilizzando l’esperimento boomerang è stata confermata la presenza di microonde e onde radio nell’Universo primordiale e analizzandone il timbro si è trovata una conferma alla cosiddetta teoria dell’inflazione, secondo la quale l’Universo proviene da una minuscola regione di dimensioni subatomiche gonfiatasi vertiginosamente subito dopo il big bang.
Secondo questa teoria andando a ritroso nel tempo si ha una contrazione dello spazio-tempo e si può stabilire che tutte le galassie erano inizialmente concentrate in un punto a una temperatura di ben 15 milioni di gradi, la stessa che si registra all’interno di una stella.
Con l’aiuto della teoria della relatività gli astronomi sono riusciti ad andare ancora più indietro nella storia dell’Universo fino ad arrivare a un istante in cui tutto era concentrato in un punto di dimensione zero, una cosiddetta singolarità.
Quell’istante è stato chiamato tempo zero perché da allora è nato il tempo e con esso tutto ciò che gli astronomi studiano.
I dati raccolti da boomerang offrono indicazioni anche sul destino dell’Universo, oltre che sulla sua origine. Tra le ipotesi di un Universo aperto e piatto – destinato a espandersi per sempre – e di un Universo chiuso – dove per effetto dell’attrazione gravitazionale l’espansione si arresta a un certo punto e si innesca un processo a ritroso che riporta alla singolarità iniziale – le misure finora disponibili indicano come più probabile la prima delle ipotesi.
La massa dell’Universo è quella attesa nel caso della geometria piatta, come previsto dalla teoria inflazionaria, e l’Universo continuerà quindi a espandersi senza limite diventando sempre più freddo e vuoto.
L’età dell’Universo si approssima intorno a 13÷14 miliardi di anni.
Per determinarla con maggiore esattezza gli astronomi cercano di determinare la costante di Hubble – che dà appunto una stima della velocità di espansione dell’Universo – e studiano le stelle più vecchie e gli ammassi globulari, costituiti da agglomerati molto densi che contengono milioni di stelle, tutte all’incirca della stessa età e formatesi probabilmente alle origini dell’Universo,
Dal valore della costante e dalla distanza fra due galassie si potrebbe calcolare con esattezza l’età dell’Universo. Infatti, per conoscere il tempo impiegato da un oggetto che si muove per raggiungere una certa posizione basta conoscere il punto dal quale è partito, la sua posizione finale e la sua velocità.
Originariamente, le due galassie, secondo la teoria del big bang, si trovavano nel medesimo punto, quindi conosciamo la loro posizione iniziale. Purtroppo una determinazione precisa della distanza fra galassie lontane non è ancora facile.
Per capire cosa succede alle galassie durante l’espansione dell’Universo possiamo utilizzare un palloncino e un pennarello indelebile. Gonfiamo leggermente il palloncino, disegniamo due puntini sulla sua superficie, indichiamo con A uno dei puntini e con B l’altro e misuriamo la distanza tra A e B. Chiamiamo C un altro puntino vicino ai primi due e misuriamo poi la distanza fra A e C. Gonfiamo il palloncino fino a quando la distanza fra A e B non raddoppia e poi misuriamo la distanza fra A e C: ci accorgeremo che anch’essa è raddoppiata in accordo alla legge di Hubble. Il risultato non cambia qualunque sia il punto di partenza. Questo gioco dimostra quindi che non esiste un punto di osservazione privilegiato. Supponendo che ogni volta che gonfiamo il palloncino impieghiamo un secondo, possiamo calcolare la velocità come spazio – distanza fra due punti – diviso tempo e costruire un grafico che rappresenta la legge di Hubble. In altre parole ogni osservatore, in qualsiasi punto dell’Universo si trovi, vede lo stesso tipo di espansione perché ciò che si espande non è l’Universo, ma lo spazio che contiene le galassie.
Fin dall’antichità gli uomini si sono chiesti da cosa avesse avuto origine l’Universo. Antichissimi testi e tradizioni orali ci hanno tramandato un grande numero di cosmogonie, cioè miti sulla nascita del mondo. Ecco qualche esempio. Secondo i Sumeri, per esempio, all’inizio di tutto c’era un mare primordiale dal quale ebbe origine la Montagna Cosmica formata da An, il Cielo, e Ki, la Terra. Dalla loro unione nacque Enlil, l’Aria, che separò il Cielo e la Terra. Dalla successiva unione di Enlil e Ki ebbero origine gli dei e gli esseri viventi. Per i Maya, in origine vi erano solo silenzio e tenebre. Fu con la parola che le tre divinità creatrici Gucumatz, Ixpiyacoc e Ixmucané diedero vita al Cielo, agli Inferi e alla Terra. Questa era la schiena di un coccodrillo con forma quadrata e piatta, mentre il cielo era sostenuto da quattro divinità corrispondenti ai quattro punti cardinali. A ciascun punto cardinale veniva associato un colore: l’est era rosso, il sud giallo, l’ovest nero e l’est bianco. Il colore della terra era appunto il verde, corrispondente proprio al colore del coccodrillo. Il cielo era diviso in tredici livelli, mentre gli inferi in nove. Ciascun livello era abitato da una divinità. Secondo l’antica mitologia degli Hawaiani, il mondo nacque dalla femminile notte, chiamata Pō. Suo figlio Kumulipo, che significa «fonte nell’oscurità profonda», si unì a sua sorella Pō’ele, la profonda notte nera. Essi crearono tutti gli esseri che abitano l’oscurità, come i molluschi che stanno in fondo al mare o i vermi che vivono sotto terra. Poi crearono due esseri che a loro volta diedero vita ad altri esseri che riuscivano a vivere dove c’era anche un po’ di luce. A un certo punto una palla di fuoco cominciò ad alzarsi all’orizzonte e arrivò il giorno. L’Universo era nato, e dopo poco arrivarono gli esseri umani, dapprima neri e poi anche con la pelle chiara. Secondo alcune tradizioni degli Inca, invece, all’inizio la Terra era avvolta dall’oscurità. Fu dal Lago Titicaca che emerse il dio Viracocha, che creò il Sole, la Luna e le stelle, illuminando così il mondo. In seguito, Viracocha fu spodestato dal dio Pachacamac, che creò gli antenati del genere umano.