Nel sistema del processo hanno molta importanza le disposizioni sui termini, le quali disciplinano specificamente il tempo in cui deve essere compiuto un dato atto processuale per inserirsi efficacemente nell'ordine delle attività dei diversi soggetti, fissandolo entro (termini acceleratorî) oppure oltre (termini dilatorî) un certo periodo: costituiscono esempî del primo caso i termini per le impugnazioni (art. 325 c.p.c.), del secondo i termini a comparire (art. 166), ad adempiere (art. 482), a procedere all'assegnazione o alla vendita di beni pignorati (art. 501). Riguardo alla fonte del regolamento, i termini si distinguono in legali e giudiziali, a seconda che siano stabiliti dalla legge o dal giudice (art. 152, 1° comma). Rispetto alla loro efficacia, essi si distinguono in perentorî e ordinatorî: i primi non possono essere abbreviati o prorogati, nemmeno sull'accordo delle parti (art. 153); ma debbono essere dichiarati tali espressamente dalla legge (art. 152, 2° comma), come è appunto di quelli stabiliti per impugnare le sentenze (art. 326). I termini ordinatorî (non stabiliti a pena di decadenza) possono essere abbreviati o prorogati dal giudice, anche d'ufficio, purché prima della loro scadenza (art. 154).
Le regole per il computo dei termini sono dettate dall'art. 155: nel computo dei termini a giorni o a ore si escludono il giorno o l'ora iniziali, mentre per il termini a mesi o ad anni si osserva il calendario comune; i giorni festivi si computano nel termine, che, se scadente in giorno festivo, è prorogato di diritto al primo giorno seguente non festivo. In specifiche ipotesi i termini dilatorî si intendono liberi nel senso che non si computa né il dies a quo, né il dies ad quem (per i termini di comparizione, vale l'art. 163-bis).