La parte terminale del cromosoma.
Negli anni 1930 B. MacClintock e H.J. Muller, studiando indipendentemente organismi diversi, osservarono che le parti terminali dei cromosomi avevano un ruolo importante nella loro duplicazione e stabilità. Nel 1978 E.H. Blackburn dimostrò che, nel ciliato Tetrahymena, i t. contenevano una sequenza nucleotidica semplice e breve, ripetuta innumerevoli volte. In seguito alla caratterizzazione dei t. di numerosi animali, piante e microrganismi, si è constatato che le estremità cromosomiche di tutte le specie sono formate da serie di corte sequenze di DNA disposte in tandem, spesso ricche dei desossinucleotidi timidintrifosfato e guanosintrifosfato. Il numero delle sequenze ripetute è diverso da organismo a organismo e da cellula a cellula nello stesso organismo, e può variare nel corso del tempo all’interno della stessa cellula. Ogni specie ha però un valore medio caratteristico di sequenze ripetute; per es., nell’Uomo vi sono circa 2000 sequenze del tipo TTAGGG. Le sequenze ripetute dei t. non codificano un RNA, o una proteina, ma hanno un ruolo importante nella duplicazione degli ultimi tratti del DNA cromosomico (duplicazione terminale). Il problema della duplicazione terminale sorge perché le DNA polimerasi (gli enzimi che duplicano il DNA) non sono in grado di copiare i cromosomi per tutta la loro lunghezza; pertanto il processo di duplicazione lascia un piccolo segmento non copiato nella regione dei telomeri. Se le cellule non compensassero questa anomalia, i cromosomi si accorcerebbero sempre di più a ogni divisione cellulare e questa continua erosione porterebbe alla scomparsa non solo dei t., ma anche di geni di importanza cruciale.
Nel 1984 W. Greider e E.H. Blackburn hanno dimostrato che un enzima, la telomerasi, è capace di allungare i t. senza avere a disposizione uno stampo di DNA precostituito, stampo necessario invece alla DNA polimerasi. La telomerasi è una proteina a cui è associata una molecola di RNA costituita da adenine e citosine che serve da stampo per la sintesi delle sequenze telomeriche. In ogni duplicazione del DNA, addiziona all’estremità del DNA nucleotidi complementari al suo RNA di stampo. L’allungamento dei t. da parte della telomerasi, considerato inizialmente unicamente un meccanismo che permetteva la sopravvivenza degli organismi unicellulari, si è rivelato invece il mezzo principale con il quale le cellule nucleate della maggior parte delle specie proteggono i propri segmenti cromosomici terminali. Tuttavia molte cellule umane di tessuti normali, a eccezione dei linfociti e dei macrofagi, sono prive di telomerasi che è invece presente nelle cellule della linea germinale. La perdita della capacità proliferativa è associata alla perdita dei t.: in vitro le cellule prelevate da individui molto giovani si dividono circa 90 volte mentre quelle di individui più vecchi si dividono circa 30 volte prima di morire; in vivo i t. delle cellule di alcuni tessuti si accorciano con il passare degli anni suggerendo una relazione fra l’attività della telomerasi e la senescenza. La perdita della capacità proliferativa nelle cellule prive di t. può essere considerata tuttavia una protezione contro l’insorgenza di tumori. Un tumore infatti insorge quando una cellula subisce molte mutazioni genetiche le quali, nell’insieme, la sottraggono ai normali controlli che si esercitano riguardo alla proliferazione e alla migrazione. La mancanza di telomerasi in alcune cellule può essere considerata un vantaggio in quanto esse muoiono prima che l’accumulo di mutazioni del DNA possa trasformarle in cellule tumorali. Studi iniziati negli anni 1990 hanno anche dimostrato che la telomerasi è attiva sia nelle cellule tumorali coltivate in laboratorio sia in molti tumori umani e che i t. nelle cellule tumorali sono più corti di quelli del tessuto normale circostante. Questi studi permettono di ipotizzare una serie di strategie per la lotta contro i tumori basate sull’utilizzazione di sostanze che determinano la morte delle cellule tumorali mediante l’inibizione della telomerasi.
Polimero di formula A−Mn−B, ottenuto per reazione di un composto del tipo AB (telogeno) con un monomero M (tassogeno); n (grado di t.) è un numero intero, di solito relativamente piccolo (nella maggior parte dei casi, inferiore a 10). Se n=1, non si ha formazione di t. (telomerizzazione) ma semplicemente addizione di M ad AB; se n è piuttosto grande, il t. si confonde con un normale polimero; in effetti per un t. non si ha un valore fisso di n, ma un composto si considera t. quando è avvertibile il contributo dei gruppi terminali al comportamento chimico e alle proprietà della molecola.
La reazione di telomerizzazione può procedere per via radicalica, ionica o a stadi. La telomerizzazione radicalica per iniziarsi richiede che il telogeno (per es., un alcano polialogenato), decomponendosi, possa formare due radicali, dei quali uno funge da terminatore e l’altro da iniziatore della catena. Particolarmente importanti sono i prodotti del tipo CCl3(CH2CH2)nCl, ottenuti dalla telomerizzazione del tetracloruro di carbonio con l’etilene, e quelli del tipo H(CH2CH2)nCl, ottenuti per telomerizzazione dell’etilene, con acido cloridrico sotto pressione. Oltre all’etilene, un altro importante monomero per la telomerizzazione radicalica è rappresentato dagli alogeno-derivati dell’etilene (tetrafluoroetilene ecc.). La telomerizzazione ionica è analoga alla polimerizzazione ionica: così, la polimerizzazione anionica dello stirene in realtà è una telomerizzazione dove il telogeno è rappresentato dal solvente stesso.