scevà Nella terminologia della scuola masoretica di Tiberiade, nome (dall’ebraico shĕwā, der. di shaw «niente») di un simbolo grafico ebraico che viene sottoscritto a un grafema consonantico e ha diverse funzioni: lo s. naḥ (o quiescente) denota assenza di vocale dopo la consonante soprascritta; lo s. na‛ (o mobile) denota presenza di vocale neutra di quantità ultrabreve; lo s. composito, associato ai simboli grafici delle vocali segōl, qamaṣ e pataḥ, denota i ḥatēfīm, vocali di quantità brevissima.
In fonetica, la vocale centrale, equidistante dalle estreme. Uno s. (ǝ) è stato postulato per l’indoeuropeo sulla base di casi di corrispondenza tra un ĭ in indoiranico e un’ă nelle altre lingue: per es., sanscr. pĭtar-, gr. πᾰτήρ, lat. păter ecc. Certe alternanze greche, come τί-ϑη-μι/ϑε-τός (cfr. lat. făc-tus, sanscr. hĭ-ta-), hanno però fatto parlare di tre s., di timbro un po’ diverso: il greco conserverebbe nelle brevi ε, ᾰ, ο tale molteplicità, sostituita altrove da una vocale sola; il grado lungo (η, ᾱ, ω) deriverebbe dalla riduzione di dittonghi (eǝ1, eǝ2, eǝ3), i cui secondi elementi avrebbero colorato di sé il primo.
In anni recenti, il simbolo grafico viene talora impiegato nelle lingue flessive come suffisso neutro in sostituzione del maschile plurale sovraesteso.