La fase della storia di vari paesi successiva alla caduta dei regimi comunisti che li governavano, nonché il processo di trasformazione conosciuto dai partiti comunisti dopo la fine del blocco sovietico e l’abbandono del marxismo-leninismo.
In Russia il passaggio a un’economia di mercato avvenne in forma traumatica e con alti costi sociali; nei primi anni del 2000, con la presidenza di V. Putin, gli indicatori socioeconomici sono migliorati ed è stato rivalutato il periodo sovietico, i cui traguardi e le cui glorie militari sono state inglobate nel complesso della storia nazionale. Il Partito comunista, sciolto d’autorità nel 1991 e ricostituito due anni dopo, ottenne inizialmente risultati elettorali lusinghieri; in seguito la linea politica di Putin gli ha tolto margini d’azione.
In Europa orientale, dopo la caduta a catena dei regimi comunisti nel 1989, i diversi paesi si diedero Costituzioni democratiche e introdussero i principi del libero mercato. Ciò rappresentò la base di un processo di allargamento della NATO (inclusione tra 1999 e 2004 di Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Ungheria) e della UE (inclusione degli stessi Stati tra 2004 e 2007). Sulle ceneri dei partiti comunisti sorsero nuove formazioni socialdemocratiche, che ottennero un seguito di massa e riuscirono nei diversi paesi a svolgere un ruolo di governo. I consensi elettorali raccolti dai postcomunisti furono legati in buona misura alle sofferenze sociali generate dal passaggio all’economia di mercato. Il cammino postcomunista fu pacifico in tutta l’Europa orientale, con una eccezione di rilievo: i Balcani, dove la dissoluzione della Iugoslavia determinò una lunga serie di guerre e scontri etnici.
Nelle repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale non fu possibile realizzare le riforme liberaldemocratiche compiute in altri paesi: si affermarono governi autoritari e i vecchi partiti comunisti si limitarono a cambiare il nome mantenendo il monopolio del potere.
Un caso particolare di p. è rappresentato da quei partiti comunisti che operavano nei paesi capitalisti e che alla fine della guerra fredda scelsero l’approdo del socialismo democratico per non condannarsi a una presenza residuale nel panorama politico: tra essi vi fu il Partito comunista italiano, che mutò il nome in Partito democratico della sinistra (1991) dopo un lungo cammino di revisione ideologica e programmatica.