Genere di scrittura tipicamente antropologico che si afferma a partire dagli anni 1920, anche se esistono significativi precedenti. La m. prende forma nel momento in cui l’etnografia o ricerca di campo si impone come il metodo antropologico per eccellenza. Antropologi come B. Malinowski (Argonauts of the West;ern Pacific, 1922), A.R. Radcliffe-Brown (The Andaman Islanders, 1922), R. Firth (We the Tikopia, 1936), E.E. Evans-Pritchard (The Nuer, 1940) cercarono di tradurre nei loro scritti i risultati delle proprie ricerche, adottando uno stile descrittivo, una forma impersonale, un approccio sincronico che si concretizza nell’uso del cosiddetto ‘presente etnografico’.
La m. classica si presenta come una rappresentazione olistica della società: i vari capitoli sono dedicati all’ambiente fisico, alla parentela, alla politica, all’economia, alla cultura materiale ecc. Prevalgono la ricerca dell’oggettività e l’uso del metodo induttivo; il soggetto della ricerca si nasconde dietro uno stile impersonale e distaccato. La m. fornisce spesso una rappresentazione statica e chiusa della società. Nella seconda metà del Novecento, l’antropologia ha profondamente ripensato le modalità di rappresentazione culturale: l’imporsi di prospettive teoriche dinamiche, di una concezione dialogica e polifonica del sapere antropologico, l’attenzione per il soggetto che compie la ricerca hanno comportato una profonda trasformazione della monografia etnografica. L’approccio olistico è stato in gran parte abbandonato a favore di testi mirati allo studio di particolari aspetti delle società umane: alla ‘neutralità’ e al distacco della m. classica si sono sostituiti l’attenzione per le condizioni della ricerca e l’idea secondo cui il sapere antropologico è frutto di scambi interculturali e interpersonali (non sempre egualitari) più che di uno sguardo oggettivo.