modello MWC
Rappresenta uno dei modelli possibili per descrivere il comportamento funzionale di certe proteine di tipo oligomerico (vale a dire, costituite da più di una subunità o protomero), in termini di cambiamenti strutturali dovuti a traslazioni e rotazioni fra la subunità lungo un asse di riferimento, ovvero di transizioni tra strutture quaternarie che rispondono agli stimoli ambientali imposti da variazioni di concentrazione di leganti specifici (ma anche di effettori allosterici o regolatori). La proprietà fondamentale intrinseca di queste proteine (che possono essere enzimi, recettori di membrana, o l’emoglobina che ne è l’esempio tipico) è quella di assumere conformazioni differenti, che si interconvertono tra loro in rapido equilibrio, anche in assenza di un qualsiasi tipo di legante e/o effettore; tali specie chimiche infatti, quando sono presenti nell’ambiente, spostano semplicemente l’equilibrio fra le varie conformazioni. Nel modello classico (proposto nel 1965 da Jacques Monod, Jeffries Wyman e Jean-Pierre Changeux, dalle cui iniziali prende il nome) si assume l’esistenza di due sole strutture quaternarie alternative, in equilibrio tra loro, che differiscono per la disposizione spaziale dei protomeri oltre che per il numero e l’energia dei legami che tengono assieme le subunità: se le interazioni sono deboli e poche, l’oligomero è libero di sviluppare l’attività catalitica nella sua interezza e potenza, e la conformazione quaternaria è indicata con la lettera R (che sta per rilasciata); l’azione catalitica invece va incontro a uno smorzamento quando si riferisce alla struttura con legami più numerosi e più forti tra i protomeri, una conformazione quaternaria che è indicata con T (in quanto è in tensione). Leganti ed effettori possono combinarsi con entrambe le conformazioni dell’oligomero, anche se con differente affinità; e tuttavia in ciascuna di queste due conformazioni l’attività catalitica (o l’affinità per l’O2, se si tratta dell’emoglobina) di tutte le subunità che costituiscono l’oligomero è sempre la medesima: tutto ciò sta a significare che – secondo questo modello – il processo di associazione con il legante di ognuna delle conformazioni (per es., dell’O2 con la forma T o la forma R dell’emoglobina) è di tipo non-cooperativo. Tale postulato permette di descrivere le proprietà di queste macromolecole (dette allosteriche perché permettono di spiegare le loro proprietà funzionali con variazioni conformazionali) con una teoria matematica chiara e concisa, basata su tre sole variabili indipendenti: KR e KT, che simboleggiano le costanti di affinità del legante per la conformazione, rispettivamente, R e T, e L (dall’iniziale di linkage, ovvero collegamento tra strutture) che descrive il numero di oligomeri nella conformazione T diviso per il numero di quelli nella conformazione R (ovvero, L=([T]/[R])). Questa teoria semplifica enormemente l’interpretazione degli effetti cooperativi nelle proteine allosteriche. Nel caso dell’emoglobina, la conformazione R corrisponde a quella dello stato ossigenato in cui le subunità sono tenute assieme più debolmente, mentre la conformazione T – che rappresenta la specie senza O2 sugli emi – è quella più compatta e più stabile (tant’è che l’emoglobina ossigenata dissocia in dimeri più facilmente di quella nello stato desossigenato). Il progressivo incremento dell’affinità per l’O2 in realtà non nasce da interazioni dirette fra gli emi – come potrebbe suggerire l’espressione: cooperatività tra gli emi –, ma dalla transizione dalla conformazione T a bassa affinità per l’O2 alla conformazione R ad alta affinità: il modello MWC infatti predice che l’associazione di una molecola di O2 a un eme che si trova nel tetrametro in conformazione T produce tensioni nella struttura interna o terziaria del protomero interessato dal legame (in aggiunta alle tensioni che normalmente sono presenti in assenza dell’O2), cosicché, quando si unisce una seconda molecola di legante a un altro eme, l’insieme di queste tensioni diventa talmente potente che si riduce la stabilità della conformazione T, un evento questo che di necessità favorisce il passaggio allo stato R. Entro lo schema del modello MWC il processo di ossigenazione inizia in presenza di una conformazione dominante che è costituita dalla struttura T (a bassa affinità), la quale si converte nello stato R man mano che aumenta il numero di emi nella forma ossigenata. La condizione in cui si ha una uguale quantità delle due strutture (cioè, [T]=[R], ovvero L=1), detto punto di passaggio, impone una massiccia transizione verso la conformazione R, accompagnata dal conseguente e imponente incremento di affinità per l’ O2. L’azione degli effettori allosterici di tipo eterotropico, che non si legano sugli emi ma a siti che si trovano sulla porzione proteica e lontani dagli emi, consiste nell’abbassare l’affinità per l’ O2 spostando l’equilibrio tra la due conformazioni a favore della struttura T, un fatto questo che permette la transizione alla forma R solo dopo che 3 molecole di O2 (invece di ∼2) si sono legate al tetramero. E dunque, secondo il modello MWC, questi regolatori allosterici agiscono solo sulla frazione di oligomeri nella conformazione T, senza alterare il valore delle costanti di equilibrio per l’O2 delle due conformazioni (KT e KR rimangono dunque inalterate). Il risultato più convincente che rende plausibile la descrizione del processo di associazione dell’emoglobina con l’O2 nella cornice del modello MWC è offerto dalla misura del processo di ossigenazione dell’emoglobina nello stato cristallino, sia nella conformazione T sia R: in tali condizioni, in cui la struttura proteica rimane fissa e immodificata sia in presenza sia in assenza di O2 a causa dei forti vincoli dovuti alle forze del reticolo cristallino, l’ossigenazione non è mai cooperativa e dunque non vi è correlazione alcuna tra l’affinità e il numero di molecole di O2 legate a un tetramero ma solo tra l’affinità e la struttura quaternaria.