Visconti, Luchino
Intrecciare il cinema con le altre arti
Luchino Visconti è stato uno dei più grandi registi italiani del Novecento e un maestro riconosciuto del cinema internazionale. Per oltre trent’anni ha svolto un’intensa attività come regista di cinema e di teatro (di prosa e lirico), rivelandosi un artista capace di misurarsi con tutte le arti dello spettacolo. In particolare, ha saputo fare del suo cinema il punto di incontro delle suggestioni derivanti dalle altre arti: la musica, il teatro, la letteratura, la pittura. Costruendo vicende in cui le storie dei singoli individui s’intrecciano con gli eventi della grande storia, ha realizzato film caratterizzati da un’estrema raffinatezza nella costruzione delle immagini
Rampollo di una prestigiosa famiglia di antica nobiltà – i Visconti di Modrone, signori di Milano – e assai legato alla madre, Carla Erba, proveniente dall’alta borghesia imprenditoriale, il giovane Luchino – nato a Milano nel 1906 – ebbe un’educazione di tipo umanistico e rivelò, fin da adolescente, una spiccata propensione per la musica.
Una lunga serie di esperienze in Francia lo portarono successivamente a entrare in contatto con i settori più avanzati dell’arte e della cultura e a svolgere un’attività di assistente alla regia per Jean Renoir. Da quel momento, alla vocazione musicale e teatrale si aggiunse quella per il cinema, coltivata insieme al gruppo riunitosi attorno alla rivista Cinema.
Proprio in quel periodo si stava preparando quella che si sarebbe rivelata la grande stagione del neorealismo e nel 1943 uscì il primo film di Visconti, considerato anche la prima compiuta espressione di questa nuova corrente cinematografica: Ossessione. Tratto dal romanzo Il postino suona sempre due volte dello scrittore americano James Cain, il film si svolge invece nella pianura del Polesine dove si consuma un delitto. Gli assassini sono la bella e inquieta Giovanna, moglie della vittima, e Gino, un affascinante vagabondo che s’invaghisce della donna fino ad arrivare al delitto. Tormentati dal rimorso, vanno incontro a una tragica fine.
A questa storia di amore e morte, girata con assoluta padronanza dei mezzi tecnici, utilizzando lunghi piani-sequenza e ricreando un’atmosfera di grande suggestione, seguì nel 1948 La terra trema, storia di poveri pescatori siciliani, ispirata a I Malavoglia di Giovanni Verga, un vero capolavoro nel quale i principi e i canoni del neorealismo sono particolarmente presenti. Verga restò sempre uno scrittore di riferimento per il regista: la narrazione realistica, l’attenzione ai drammi dell’umanità, il racconto delle ambizioni e delle speranze, delle delusioni e dei tradimenti degli uomini, sui quali il destino – spesso avverso – incombe costantemente, sono tratti che caratterizzano anche il cinema di Visconti.
Nella sua opera Visconti seppe passare da storie popolari a vicende di ambientazione aristocratica, per poi tornare a raccontare la realtà contemporanea. Così in Bellissima (1951) raccontò le ambizioni sbagliate di una povera madre (una grandissima Anna Magnani) che vede nella figlioletta la possibilità di riscattarsi da una vita di mediocrità, tentando di farla esordire nel cinema.
Con Senso (1954) e Il Gattopardo (1963) Visconti realizzò invece due grandiosi affreschi storici. Nel primo caso fece rivivere attraverso le vicende della contessa Serpieri e dell’ufficiale austriaco Franz Mahler, ambientate alla vigilia della battaglia di Custoza, un importante momento del Risorgimento italiano. Nel secondo caso realizzò uno straordinario adattamento dell’omonimo romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, rappresentando la Sicilia nel passaggio dai Borbone ai Savoia, dopo l’impresa dei Mille e la problematica realizzazione del Regno d’Italia, e ricostruendo in maniera perfetta l’ambientazione, i costumi e l’atmosfera dell’epoca.
Con Rocco e i suoi fratelli (1960) il regista elaborò invece un grande romanzo cinematografico contemporaneo su una famiglia del Sud che emigra a Milano in cerca di fortuna. Una madre, vedova, e cinque figli si ritrovano nella grande città, pieni di speranze che in parte andranno deluse. Dal film emerge il quadro di un’epoca – la fine degli anni Cinquanta e il passaggio dell’Italia da una civiltà agricola a una industriale – raccontata come una tragedia greca, anche se con molti spunti riconducibili al melodramma.
Del resto Visconti era un cultore del melodramma: soprattutto l’opera di Giuseppe Verdi era una grande passione del regista, una passione che gli consentì di misurarsi più volte con la regia di famose opere liriche messe in scena in importanti teatri (come il Teatro alla Scala di Milano): di grande risonanza in particolare una Traviata con il grande soprano Maria Callas.
Altrettanto celebri e importanti furono le regie di Visconti di opere teatrali, come quella, realizzata all’inizio degli anni Cinquanta, de La locandiera di Carlo Goldoni.
La particolare predilezione per il melodramma indusse Visconti a costruire il racconto cinematografico ricorrendo spesso a imponenti scene madri, ossia momenti di forte e profonda intensità emotiva, nei quali le passioni umane si confrontano e si scontrano, sempre sottolineati da un importante accompagnamento musicale, affidato talvolta alle cure di un grande autore di musiche per film quale Nino Rota.
Indimenticabili in particolare le scene della pesca in La terra trema, con le donne che attendono sugli scogli il ritorno dei pescatori; oppure la tragica corsa in macchina dei due amanti nel finale di Ossessione; o l’angoscia delirante della contessa Serpieri (la straordinaria Alida Valli) di fronte al tradimento del suo giovane amante, il tenente Franz Mahler (l’attore Farley Granger), nella parte finale di Senso.
Va ancora ricordata la grandiosa scena del ballo del Gattopardo che occupa un terzo del film: in un trionfo di musica, abiti sontuosi e colori si ritrovano tutti i personaggi più importanti, compresa la bellissima Angelica (Claudia Cardinale) figlia del nuovo ricco Calogero Sedara (Paolo Stoppa), mentre il protagonista, il principe Fabrizio Salina (Burt Lancaster) constata con amara ironia l’incapacità della società siciliana di rinnovarsi e sente avvicinarsi la sua fine e quella del suo mondo.
La dimensione storica ha dominato il cinema di Visconti, da un lato come attenzione verso la realtà del proprio tempo dall’altro come viaggio alla riscoperta di epoche del passato.
Così la seconda metà dell’Ottocento viene fatta rivivere in Senso e in Il Gattopardo; il periodo compreso tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento nel lungo e maestoso Ludwig (1973) e ne L’innocente (uscito a Cannes poco dopo la morte del regista avvenuta a Roma nel 1976); l’atmosfera dei primi anni del Novecento viene perfettamente ricostruita in Morte a Venezia (1971), tratto dalla novella di Thomas Mann per realizzare una vera ‘sinfonia visiva’ accompagnata dalle note di Gustav Mahler. Mentre con La caduta degli dei (1969) Visconti scelse di affrontare gli anni bui dell’ascesa del nazismo.
Nel cinema di Visconti s’incontrano e s’intrecciano innumerevoli suggestioni provenienti da altre forme artistiche e culturali che egli seppe padroneggiare perfettamente e rielaborare in funzione della realizzazione filmica.
Pittura e musica, letteratura e teatro diventano parte integrante delle sue opere e non sono mai elementi ridondanti. Un quadro famoso o un testo letterario possono diventare un punto di riferimento fondamentale per una scena, come quella del bacio in Senso, che replica Il bacio un quadro di Francesco Hayez. Questo è stato il particolare merito di Visconti e la tecnica grazie alla quale egli ha realizzato alcune delle più belle scene della storia del cinema, mostrando con grande ricchezza come questo possa essere ‘l’arte di tutte le arti’.