Mann, Thomas
Il grande narratore del crepuscolo della borghesia
Premio Nobel per la letteratura nel 1929, Thomas Mann ha espresso nella sua opera il malessere, le conquiste, le contraddizioni del 20° secolo. Il conflitto tra l’artista e il borghese, la malattia come seduzione della morte, la sfida demoniaca e il messaggio biblico sono i temi sui quali ha esercitato la sua riflessione e la maestria della sua scrittura
Alla grande tradizione classica tedesca si richiama tutta l’opera di Thomas Mann, che nacque a Lubecca nel 1875. Il suo modello era Goethe, della cui eredità umana e artistica si sente l’ideale continuatore nel 20° secolo. La sua vita ha attraversato le fasi cruciali della storia tedesca della prima metà del Novecento, di cui ha offerto una testimonianza fondamentale dagli anni attorno alla Prima guerra mondiale, all’avvento di Hitler con la scelta dell’esilio in Svizzera e poi negli Stati Uniti, fino al ritorno in Europa, dove infine morì a Zurigo nel 1955.
Di fronte alla guerra Mann sostiene posizioni conservatrici (Considerazioni di un impolitico, 1918) difendendo la cultura di tradizione tedesca contro la civilizzazione di cui era espressione in quel momento la Francia. In seguito diventerà il sostenitore di quella parte della Germania che si era opposta al nazionalsocialismo.
Nei Buddenbrook, pubblicato nel 1901 a soli ventisei anni, Thomas Mann ricostruisce la storia di una ricca famiglia borghese di Lubecca e della sua decadenza nell’arco di quattro generazioni. Il romanzo riflette sullo sgretolamento della borghesia, rappresentato dalla vendita della grande casa a nuovi ricchi, e sul contrasto tra arte e vita che ha un culmine tragico nella morte del giovane Hanno, la cui fragile esistenza si consuma nell’amore per la musica: via via che la natura artistica prende il sopravvento si manifestano i segni della disgregazione del potere economico e sociale della famiglia.
La novella Tonio Kröger (1903) pone di nuovo in primo piano il conflitto tra arte e vita: al protagonista, che nel suo amore per la letteratura è «un borghese sulla falsa strada, un borghese sviato», si contrappone il vero borghese Hans Hansen che alla lettura del Don Carlos di Johann Ch. Fr. Schiller preferisce i cavalli.
La malattia, intesa come sofferenza del corpo ma insieme, simbolicamente, come sofferenza dello spirito, ha un ruolo fondamentale nei Buddenbrooks. La novella Tristano riprende sullo sfondo della musica di Richard Wagner il conflitto arte-vita ambientandolo in un sanatorio. In Morte a Venezia (1912) Tadzio è un giovane malaticcio, la città è colpita da un’epidemia di colera e il protagonista, lo scrittore Gustav von Aschenbach, muore sulla spiaggia del Lido.
Nella Montagna incantata (1924) è un sanatorio svizzero a far da cornice alla storia. La montagna, in cui il tempo è sospeso e la società che vi si raccoglie ben rappresenta l’Europa incerta di quegli anni, sembra tagliata fuori dalla realtà. Hans Castorp, arrivato lì solo per far visita a un cugino, finisce per essere irretito dall’atmosfera del sanatorio e si ammala, restandovi fino a quando la Prima guerra mondiale lo riporterà ai drammatici avvenimenti della pianura.
Da due viaggi in Egitto nasce il grande romanzo in quattro parti Giuseppe e i suoi fratelli (1933-43) dedicato alla terra del Faraone. La scelta del tema ebraico e della materia biblica ha per Mann il senso di recuperare il mito in una prospettiva più umana e di sottrarlo alle strumentalizzazioni del nazionalsocialismo. Con il Doktor Faustus (1947) Mann riscrive il mito tedesco della vendita dell’anima al diavolo, ma la storia di un musicista demoniaco diventa quella del tragico destino della Germania e la ricerca delle radici del nazionalsocialismo.
Nelle Confessioni del cavaliere d’industria Felix Krull, pubblicato nel 1954, un anno prima della morte, Mann riprende il motivo della decadenza della borghesia. Krull, avventuriero ma artista dell’inganno, è il trasformista che prende le vesti di un giovane aristocratico e fa della propria vita un’esistenza artistica. Ma, al di là della storia narrata, qui come in tutta l’opera di Thomas Mann, ciò che fa presa sul lettore contemporaneo è la suggestione di una scrittura che rivisita la tradizione classica, anche se spesso, come nel caso del Krull, in una sorta di parodia del romanzo di formazione.