Linguaggio. Neuropsicologia del linguaggio
La neuropsicologia studia la relazione tra fenomenologia e basi nervose delle funzioni cognitive quali il linguaggio, la memoria o la percezione; tra queste il linguaggio è forse la funzione più tipicamente umana. Storicamente, si può datare la nascita di questa disciplina alla pubblicazione, circa alla metà del XIX sec., delle osservazioni del neurologo francese Pierre-Paul Broca su un suo paziente incapace di parlare a seguito di una lesione cerebrale. Tuttavia se all'inizio la neuropsicologia si basava soltanto sull'osservazione delle alterazioni delle funzioni cognitive complesse in pazienti con lesioni cerebrali, essa è stata poi arricchita dall'uso di una serie di strumenti statistici e tecnici che, da un lato, ne hanno aumentato il rigore metodologico e, dall'altro, ne hanno favorito l'integrazione nel più ampio ambito delle neuroscienze cognitive. Inoltre, un contributo fondamentale allo studio delle basi biologiche del linguaggio è venuto da una disciplina non biologica, cioè la linguistica, che appunto analizza le caratteristiche formali e strutturali delle lingue esistenti.
Lo studio di singoli casi clinici di pazienti con lesioni cerebrali focali ha classicamente utilizzato il metodo delle associazioni e delle dissociazioni sintomatologiche. Un'associazione di sintomi si verifica quando lo stesso paziente presenta alterazioni riguardanti compiti e funzioni cognitive differenti, per esempio risultando incapace di comprendere parole presentate sia oralmente sia per iscritto. L'associazione di sintomi può suggerire il danno di aree funzionalmente diverse, ciascuna alla base di un sintomo specifico, oppure, qualora i sintomi non si presentino mai separatamente, il loro legame con un unico sistema funzionale. L'insieme di un certo numero di sintomi costituisce la sindrome. Il modello teorico principale per studiare la relazione tra una data lesione e un dato compito cognitivo è quello della doppia dissociazione. Tipicamente essa riguarda due gruppi di pazienti (A e B), cimentati in due diversi compiti x e y (per es., la comprensione di parole presentate per iscritto oppure oralmente). Di solito si parla di doppia dissociazione quando il gruppo A presenta difficoltà nello svolgimento del compito x ma non di quello y e il gruppo B presenta il comportamento opposto (difficoltà nel compito y ma non in quello x).
Ne consegue che il sistema per la comprensione di parole presentate oralmente contiene una parte (o modulo) non contenuta nel sistema alla base della comprensione di parole presentate per iscritto (e viceversa). La presenza di una doppia dissociazione suggerisce che due diverse lesioni abbiano danneggiato due sistemi funzionalmente distinti, e che la perdita della capacità x o y non dipenda dalla maggiore o minore difficoltà dell'una o dell'altra. La neuropsicologia, pur rimanendo legata al metodo clinico, influenzato dalla psicologia sperimentale, è stata notevolmente arricchita dalla messa a punto di strumenti valutativi standardizzati applicabili allo studio di pazienti, caratterizzati in base al tipo di sintomo (cioè presenza o assenza di disturbi del linguaggio) o alla sede lesionale (ovvero lesioni dell'emisfero sinistro o di quello destro). Infine, il progresso delle tecniche di visualizzazione del cervello in vivo ha consentito di ottenere precise informazioni sulla sede e l'estensione della lesione e pertanto di esplorare in maggior dettaglio la relazione tra strutture neurali e funzioni cognitive.
Il linguaggio è un'abilità tipicamente umana che sembra svilupparsi in modo spontaneo nel bambino ed è utilizzato in maniera apparentemente automatica. Impiegare un codice linguistico complesso e sofisticato significa modulare lungo una gamma di sfumature praticamente illimitate l'espressione di idee, concetti, intenzioni. Inoltre, il linguaggio prescinde da una precisa realizzazione formale che può essere tanto vocale, come nel caso delle lingue esistenti o esistite, quanto gestuale, per esempio nei codici comunicativi adottati dalle comunità di non udenti. Le lingue parlate sono di solito caratterizzate: (a) dall'uso del canale vocale per la produzione e di quello uditivo per la comprensione; (b) dalla cosiddetta 'doppia articolazione', espressione con la quale si fa riferimento al fatto che praticamente tutte le lingue sono costituite da un numero limitato di unità non significanti (i fonemi) a partire dalle quali vengono formati numeri praticamente illimitati di unità significanti (le parole di una lingua combinabili in modo da formare un numero virtualmente infinito di frasi). Altra importante proprietà delle lingue parlate (non condivisa dai pur complessi codici comunicativi degli animali) è la creatività, vale a dire la capacità di un nativo di una data lingua di produrre enunciati mai uditi o addirittura mai formulati prima, comprensibili e accettabili da altri nativi di quella lingua.
La scienza che studia il linguaggio è la linguistica, a sua volta suddivisa in varie discipline. La fonologia e la fonetica studiano le proprietà distintive e acustiche dei fonemi caratteristici di una data lingua, e cioè il 'suono minimo' che distingue due parole per il resto uguali. L'individuazione dei fonemi di una determinata lingua ha reso possibile l'invenzione della scrittura alfabetica nella quale un segno viene univocamente associato a un suono. Pur avendo significato molto diverso, le parole /b/elle e /p/elle, per esempio, differiscono solo per il suono diverso all'inizio della parola. Ne deriva che /b/ e /p/ sono due fonemi distinti. Va precisato che i fonemi sono concetti astratti: la realizzazione fonica di ciascun fonema (o allofono) è infatti fisicamente più o meno differente tra i parlanti di una stessa lingua e addirittura nello stesso parlante in condizioni emotive diverse. Tuttavia, differenti realizzazioni foniche vengono stabilmente classificate dal cervello dell'ascoltatore come corrispondenti ai fonemi che il parlante aveva intenzione di realizzare. Se questa corrispondenza non ha luogo, la decodifica e l'interpretazione del messaggio saranno difettose.
La morfologia studia la struttura interna e la concordanza delle parole (per es., tra aggettivo e sostantivo). Il 'morfema' è la più piccola unità linguistica dotata di significato. Infatti le parole sono formate da uno o più morfemi che si distinguono in liberi (costituiti da un unico morfema, come nel caso di preposizioni, articoli, ausiliari) e legati, che sono il risultato della composizione di due o più morfemi, per esempio cavall-o. La conoscenza delle parole di una lingua implica conoscerne la pronuncia, la scrittura e l'appartenenza a una particolare classe, come nome, verbo, preposizione. La semantica si occupa del significato delle frasi, delle parole o dei morfemi che vengono descritti tramite tratti semantici. La parola 'cane', per esempio, appartiene alle classi semantiche maschio, animale, ma non a quella di femmina, umano. Molto più complesso, e ancora nelle fasi iniziali, è lo studio neuropsicologico del significato dei testi, che dipende sia dal significato delle parole sia da come esse sono strutturalmente combinate.
Lo studio della sintassi riguarda le modalità con cui le parole, con o senza flessioni appropriate, vengono collegate per comunicare mediante frasi i significati desiderati. Le frasi sembrano essere le unità minime del discorso, le caratteristiche invarianti dell'organizzazione sintattica che pure può essere enormemente diversa nelle varie lingue. In proposito il linguista statunitense Edward Sapir ha distinto le 'lingue analitiche' (come nel caso dell'inglese o dell'italiano) caratterizzate dall'ordine fisso e preciso delle parole nelle frasi, dalle 'lingue sintetiche' (per es., il latino o l'arabo) dove l'ordine delle parole è meno importante. Infatti, mentre la frase "l'uomo picchiò il gatto" differisce sostanzialmente da quella "il gatto picchiò l'uomo", le frasi natura abhorret vacuum, natura vacuum abhorret, vacuum natura abhorret (equivalente latino di "la natura aborrisce il vuoto") hanno lo stesso significato. La pragmatica, infine, analizza la conoscenza delle regole di adattamento ottimale dell'uso di una lingua al contesto psicologico e interpersonale entro il quale la comunicazione ha luogo. L'appropriato mantenimento dei turni di conversazione, per esempio, presuppone una serie di conoscenze sulla situazione, che è ovviamente diversa se si tratta di una conversazione tra amici o di un colloquio di lavoro. La competenza pragmatica consente il corretto sviluppo delle informazioni inferenziali attivate da una certa frase (metafore, motti di spirito) e presuppone che vi sia una condivisione tra emittente e ricevente (conoscenza di discorsi precedenti, livelli culturali simili e così via).
Una convinzione attualmente condivisa in ambito neuroscientifico è che aspetti diversi delle lingue storico-naturali (per es., la denominazione, la ripetizione, la sintassi, la semantica) siano rappresentati in sistemi neurali che possono essere isolatamente compromessi o preservati dopo una lesione al cervello o in seguito a una temporanea inattivazione (per una stimolazione elettrica o per inattivazione farmacologica di un emisfero cerebrale). Lo studio di pazienti cerebrolesi ha fornito le prime fondamentali conoscenze neurolinguistiche. Per esempio, nel celebre resoconto clinico di Pierre-P. Broca del 1861 veniva descritto un paziente apparentemente capace di comprendere il linguaggio e senza deficit motori di lingua, labbra e corde vocali, ma con gravi disturbi nella produzione linguistica, che risultava limitata alla sistematica emissione di pochi elementi isolati (il più comune era il monosillabo 'tan', da cui il nome Tan-tan con il quale il paziente è passato alla storia). L'autopsia del cervello di Tan-tan ha consentito di localizzare la principale sede lesionale nella regione frontale dell'emisfero sinistro, eponimicamente denominata 'area di Broca'. Dall'osservazione di un'analoga sede lesionale in altri otto pazienti con quadri clinici simili a quelli del paziente Tan-tan è nato il celebre assioma di Broca riguardante la localizzazione cerebrale: "Noi parliamo tramite l'emisfero sinistro". Pochi anni dopo Carl Wernicke descriveva pazienti cerebrolesi con gravi disturbi di comprensione del linguaggio, il cui eloquio risultava quantitativamente eccessivo (fluente) e qualitativamente incomprensibile, quindi assolutamente non comunicativo.
Con il termine afasia la moderna neurolinguistica indica quei quadri clinici di alterazione più o meno grave della comprensione e della produzione del linguaggio, conseguente a: (a) lesioni in età adulta di rappresentazioni neurali centrali dedicate alle lingue storico-naturali, in assenza di altri disordini periferici quali, per esempio, lesioni della lingua, della faringe o della laringe (nel qual caso si parla di dislalie o di disfonie); (b) alterazioni del controllo motorio degli apparati fonoarticolatori (disartrie) o delle afferenze acustiche, come nei casi di sordità. Un importante elemento per la diagnosi differenziale tra disturbi afasici e non afasici del linguaggio è che in quest'ultimo caso non si osservano alterazioni dei livelli sintattici e semantici. La diagnosi di afasia in soggetti monolingue si basa sull'analisi del colloquio spontaneo del paziente e sulla somministrazione di test psicologici standardizzati, volti a rilevare obiettivamente i sintomi linguistici e le loro associazioni. Della produzione linguistica così ottenuta viene analizzata la comunicatività, la prosodia, l'articolazione, il linguaggio automatico, la struttura sintattica e fonologica. La ripetizione viene valutata esaminando la capacità di ripetere suoni isolati, bisillabi, parole straniere, nomi composti, sintagmi a legame proposizionale. Il linguaggio scritto viene valutato tramite lettura ad alta voce, composizione di parole con lettere di plastica, dettato classico. è inoltre prevista la denominazione di colori, oggetti, nomi composti (per es., 'capostazione'), la descrizione di figure. La comprensione viene valutata sia contestualmente, indagando, per esempio, la comprensione di frasi pronunciate dall'esaminatore o presentate per iscritto, sia tramite appositi test nei quali il contesto extralinguistico è assai ridotto e al paziente viene chiesto di eseguire ordini astratti sempre più complessi, del tipo "tocchi il triangolo bianco" o "metta il cerchio rosso sopra il quadrato verde".
Le alterazioni quantitative dell'eloquio afasico possono comportare una riduzione o un aumento della produzione linguistica nell'unità di tempo rispetto alla media dei parlanti di quella lingua. Le alterazioni qualitative possono riguardare il livello fonologico (per es., la b viene letta come p, oppure viene detto 'tabola' invece di 'tavola'), il livello semantico (per es., alla richiesta di denominare un abete il paziente produce la parola albero o la parola pino) o, infine, il livello sintattico, dando luogo ad agrammatismi (riduzione della produzione con tendenza a usare le flessioni semplici, per es., "io andare casa") oppure a paragrammatismi (produzione fluente e tendenza a sostituire, ma non a omettere, morfemi grammaticali, come nel caso di "ti puoi alzare di andare a casa"). Una rappresentazione schematica dei segni clinici nelle principali sindromi afasiche è riportata nella tab. 1. L'accumularsi di evidenze cliniche ha reso sempre più chiaro che il sistema neurale alla base del linguaggio è formato da un certo numero di subsistemi dedicati alla produzione verbale, alla ripetizione, alla comprensione delle parole, delle frasi e dei testi, alla lettura, alla scrittura e così via.
È possibile identificare subsistemi del linguaggio analizzando doppie dissociazioni: per esempio, è di grande interesse l'esistenza di pazienti afasici con disturbo selettivo nel compito di produrre vocali e di pazienti selettivamente compromessi nel produrre consonanti. Tale dissociazione suggerisce infatti che esistano rappresentazioni neurali distinte per questi diversi suoni e segni della lingua storico-naturale. Un altro interessante esempio di doppia dissociazione in ambito linguistico riguarda la formazione del passato remoto dei verbi inglesi. Mentre nel caso dei verbi regolari il participio passato si forma applicando la regola di aggiungere all'infinito il suffisso -ed (talk, parlare → talked, parlato), nel caso dei verbi irregolari l'applicazione della regola porterebbe a risultati sbagliati (dig, scavare, sarebbe dig-ed, invece del corretto dug, scavato). In questi casi ci si deve necessariamente basare sulla memoria della singola forma. è stato dimostrato che pazienti con afasia di Wernicke, dunque con lesioni centrate sul lobo temporale, una struttura legata alla memoria, hanno maggiori difficoltà nella formazione del participio di verbi irregolari rispetto ai regolari. Per contro, pazienti con afasia di Broca ‒ con lesioni centrate sul lobo frontale, una struttura che sembra importante per la corretta applicazione di regole sintattiche ‒ presentano maggiori difficoltà nella formazione di verbi regolari rispetto agli irregolari.
Sebbene non utilizzino il canale uditivo-vocale, le lingue dei segni, vale a dire i codici gestuali usati nelle comunità di individui che a causa di sordità profonda non acquisiscono il linguaggio parlato, presentano fortissime analogie con le lingue storico-naturali. Le lingue dei segni presentano una doppia articolazione essendo costituite da unità non significanti (unità motorie minime) che si uniscono per formare unità significanti (gesti più complessi che ricordano da vicino le parole). Ancora più stupefacente è il fatto che diverse configurazioni spaziali e temporali di un determinato gesto definiscono aspetti semantici, sintattici e morfologici propri di ciascun linguaggio dei segni. In terzo luogo, questi codici sono creativi e il loro sviluppo sincronico e diacronico è influenzato socialmente, com'è dimostrato dal fatto che assumono forme diverse in ambiti geografici differenti (i codici usati in America differiscono da quelli utilizzati in Italia almeno quanto le rispettive lingue storico-naturali). Infine, lesioni cerebrali dell'emisfero sinistro inducono afasie dei segni che ricordano quelle determinate da lesioni analoghe in soggetti che usano le lingue storico-naturali. Lesioni delle strutture frontali provocano disturbi gestuali che sul piano quantitativo corrispondono alla riduzione dell'eloquio e su quello qualitativo all'agrammatismo descritto negli afasici di Broca. Analogamente, lesioni temporo-parietali provocano alterazioni nelle quali il linguaggio dei segni risulta fluente e i pazienti commettono errori gestuali che ricordano le parafasie e i paragrammatismi osservati nelle lingue storico-naturali in pazienti con lesioni di analoghe strutture nervose.
Conoscenze dirette sulle basi nervose del linguaggio sono state ottenute negli ultimi anni grazie all'applicazione (sia in soggetti normali sia in cerebrolesi) di una serie di tecniche di indagine assai sofisticate. Di tali tecniche, trattandosi di un campo in grande espansione, verranno elencate soltanto le principali.
L'elettroencefalogramma è una tecnica non invasiva che permette di registrare e analizzare, tramite una serie di elettrodi posizionati sullo scalpo, l'attività dei neuroni corticali sottostanti. Di grande interesse per lo studio del linguaggio è lo sviluppo della tecnica dei potenziali evento-correlati, cioè dipendenti dalla somministrazione di un determinato stimolo, come la presentazione visiva o uditiva di una parola o di una frase. è stato dimostrato che la N400, una deflessione negativa dell'elettroencefalogramma che compare 400 ms circa dopo la presentazione visiva o uditiva di una frase, è modulata da violazioni semantiche, poiché risulta assai più ampia quando viene presentata una frase del tipo "prendo il caffè con zucchero e cane" rispetto alla frase semanticamente corretta "prendo il caffè con zucchero e latte". Interessante è altresì l'analisi della P600, una deflessione positiva che compare 600 ms circa dopo la presentazione visiva o uditiva di una frase. Questa componente è modulata da violazioni sintattiche, risultando più ampia per frasi del tipo "il gatto non vuole mangiando" che non per la versione sintatticamente corretta "il gatto non vuole mangiare".
Una tecnica di stimolazione cerebrale moderna molto promettente è la stimolazione magnetica transcranica. Essa è basata sul principio dell'induzione elettromagnetica, secondo il quale un impulso di corrente elettrica che passa attraverso una bobina di metallo (usualmente rame) genera un campo magnetico. I moderni apparecchi per stimolazione magnetica utilizzano una bobina stimolante che può essere appoggiata sullo scalpo ed è connessa a un condensatore. Da essa fluisce un campo elettromagnetico di elevata potenza e breve durata che attraversa i tessuti cutanei, muscolari e ossei del cranio, raggiunge la corteccia cerebrale e, nel caso di stimolazioni prolungate, blocca in maniera del tutto temporanea e reversibile la funzione dell'area corticale sottostante al punto di posizionamento della bobina stimolante. Questa tecnica è stata recentemente utilizzata in ambito linguistico per esaminare la possibile separazione rappresentazionale di nomi e verbi che, secondo quanto suggerito da dati afasiologici, sarebbero prevalentemente rappresentati rispettivamente in aree temporali e frontali dell'emisfero sinistro. I risultati degli studi con questa metodica hanno mostrato che interferire con la porzione di corteccia prefrontale di sinistra, in corrispondenza dell'area di Broca, comporta, in soggetti senza alcuna patologia, un'aumentata latenza nel produrre verbi in assenza di modifiche nella velocità di risposta a nomi.
Le due principali tecniche di visualizzazione dell'attività cerebrale in vivo sono la tomografia a emissione di positroni (PET, Positron emission tomography) e la risonanza magnetica funzionale (fMRI, Functional magnetic resonance imaging). La prima consiste nell'iniettare nel sangue venoso una sostanza biologica (tipo l'H2O o il glucosio) resa radioattiva in qualche sua parte (per es., l'ossigeno): la sostanza raggiunge il cervello e si concentra maggiormente nella zona in cui c'è una più elevata quantità di sangue. Il volume di sangue risulta aumentato nelle zone metabolicamente più attive in un determinato momento, poiché il sangue veicola l'ossigeno e il glucosio, indispensabili per l'attività cerebrale. È dunque possibile valutare gli indici di attività cerebrale, il consumo di glucosio o di ossigeno, nel momento in cui un soggetto esegue un dato compito rispetto all'esecuzione di un compito diverso o rispetto alla condizione di riposo.
La PET ha rivoluzionato le neuroscienze alla fine degli anni Ottanta del Novecento ma, essendo relativamente invasiva, sarà probabilmente sostituita dalla fMRI che è non invasiva, non implica somministrazione di sostanze radioattive o impiego di raggi X, è sicura e indolore e consente una più elevata risoluzione spaziale. La fMRI si basa sul fatto che ogni tessuto ha proprietà magnetiche differenti, legate in genere alla diversa concentrazione di protoni, nuclei di idrogeno che, se sottoposti a un campo magnetico, ruotano attorno al proprio asse e si allineano secondo l'asse principale del campo. L'attivazione di una data area induce un aumento di flusso cerebrale nella stessa, legato alla necessità di far fronte alle maggiori richieste di ossigeno. La crescita di flusso comporta anche un incremento del tipo di emoglobina veicolante ossigeno (ossiemoglobina) rispetto al tipo che lo ha già ceduto ai tessuti (desossiemoglobina). Poiché la desossiemoglobina ha proprietà paramagnetiche, fa variare il segnale magnetico in quella zona (gli ambiti di variazione sono dell'ordine dell'1÷5%). Il rilevamento di queste variazioni fisiche da parte di sofisticate apparecchiature consente, tramite un complesso apparato computazionale, di costruire immagini tridimensionali delle variazioni stesse e di ottenere mappe ad alta risoluzione (dell'ordine del millimetro) dell'attività cerebrale evocata da un certo compito.
Entrambe le tecniche sono state usate per studiare le aree corticali attivate durante compiti linguistici sia in soggetti normali sia in soggetti afasici. Il quadro generale che ne emerge concorda con le nozioni classiche sulle basi rappresentazionali del linguaggio, secondo le quali un ruolo centrale è giocato dalla corteccia frontale inferiore (area di Broca) e da quella temporale superiore (area di Wernicke) di sinistra. Tuttavia, i dati delle neuroimmagini suggeriscono che la complessità del compito linguistico può attivare differenzialmente un gran numero di aree corticali e sottocorticali soprattutto dell'emisfero sinistro ma in alcuni casi anche di quello destro (in particolar modo quando sono chiamati in gioco aspetti prosodici, pragmatici ed emozionali del linguaggio). Particolarmente interessante è il recente studio di risonanza magnetica funzionale in bambini di appena tre mesi, di madrelingua francese, nei quali veniva valutata l'attività cerebrale durante l'ascolto della registrazione di una storia (in francese) e del medesimo brano 'invertito' in modo da far perdere il significato al testo. Durante il compito sperimentale alcuni bimbi erano svegli altri erano addormentati. L'ascolto della registrazione canonica, ma non di quella invertita, ha mostrato attività prevalente in strutture del lobo temporale sinistro sia durante la veglia sia durante il sonno. È rilevante il fatto che solo nella veglia si registrava attività nella corteccia prefrontale di destra, un'area attiva durante compiti attenzionali. I dati suggeriscono un importante ruolo di aree corticali sinistre in ambito linguistico già in epoche molto precoci dello sviluppo e indicano un possibile ruolo dell'attenzione nell'apprendimento del linguaggio.
Per lo studio del rapporto tra il cervello e l'uso di più lingue, si analizzano soggetti in grado di utilizzare due o più lingue, oppure più di un dialetto, individui detti, appunto, 'bilingui'. Di rilievo per la neurolinguistica è conoscere se le diverse lingue che un soggetto bilingue utilizza siano rappresentate nelle stesse strutture cerebrali o invece in strutture cerebrali differenti. Risposte preliminari a tale quesito sono state fornite dallo studio afasiologico e strumentale di persone bilingui e poliglotte e hanno chiarito che lesioni cerebrali centrate sulle aree linguistiche non alterano le diverse lingue di un poliglotta nella stessa misura. L'analisi del recupero delle varie lingue in soggetti colpiti da lesioni cerebrali indica diverse modalità. Si può verificare il recupero: (a) parallelo, quando il miglioramento riguarda contemporaneamente le varie lingue; (b) selettivo, quando soltanto una lingua recupera mentre l'altra non presenta alcun miglioramento; (c) successivo, quando si assiste al miglioramento nell'uso di una lingua e soltanto successivamente a quello delle altre; (d) antagonistico, quando al miglioramento delle prestazioni in una lingua corrisponde il peggioramento delle prestazioni in un'altra.
La valutazione dei deficit deve essere effettuata per ciascuna delle lingue parlate dal soggetto in esame. A questo proposito, è stato messo a punto, principalmente grazie al lavoro di Michel Paradis (1987), il BAT (Bilingual aphasia test), che valuta la storia del bilinguismo, i disturbi del linguaggio specifici di ogni lingua e le capacità di traduzione per ogni coppia di lingue. Il BAT è attualmente disponibile per 60 coppie circa di lingue. La logica di questo test è simile a quella usata nei test standard per valutare l'afasia nei monolingui, nel senso che vi sono prove per valutare i vari piani di ciascuna delle lingue in esame (fonologico, morfo-sintattico, lessicale). Un'importante differenza è che nel BAT vi sono prove di traduzione da una lingua all'altra. Nonostante gli studi afasiologici in pazienti poliglotti non siano numerosi come nei monolingui, i dati suggeriscono che la rappresentazione nervosa delle diverse lingue, pur basandosi largamente sull'emisfero sinistro, utilizza substrati nervosi almeno parzialmente diversi.
Interessanti dati sull'organizzazione neurale delle diverse lingue padroneggiate da un poliglotta derivano dall'uso delle tecniche d'indagine descritte precedentemente. Studi di elettrostimolazione diretta del parenchima cerebrale durante interventi neurochirurgici in pazienti bilingui hanno documentato l'esistenza di aree corticali la cui stimolazione provocava un'inibizione di entrambe le lingue, e di altre aree la cui stimolazione inibiva invece soltanto una lingua. Questi dati indicano l'esistenza di aree rappresentazionali comuni e di aree specifiche per ciascuna lingua; tali ricerche, tuttavia, sono state contestate perché non facilmente replicabili. Studi con la tecnica neurofisiologica dei potenziali eventi correlati hanno evidenziato differenze nella rappresentazione cerebrale delle lingue in funzione dell'età e delle strategie di apprendimento. In particolare, è stato dimostrato che nei bilingui precoci (nei quali cioè entrambe le lingue sono state apprese entro i primissimi anni di vita) le parole di 'classe chiusa' (articoli, pronomi, preposizioni, congiunzioni, ausiliari, aggettivi possessivi e dimostrativi) di entrambe le lingue sono rappresentate nel lobo frontale di sinistra, mentre le parole di 'classe aperta' (sostantivi, verbi e aggettivi) sono rappresentate nei lobi parieto-temporali. Nei bilingui tardivi, invece, che avevano appreso la seconda lingua dopo i sette anni, le parole di classe chiusa della seconda lingua erano rappresentate in aree parieto-temporali come le parole di classe aperta.
Studi di risonanza magnetica funzionale hanno analizzato l'elaborazione di frasi in bilingui precoci e tardivi, dimostrando che nei primi le aree per la comprensione e per l'espressione delle frasi coincidevano nelle due lingue mentre nei secondi coincidevano soltanto le aree per la comprensione (area di Wernicke). Per contro, i centri responsabili della produzione sintattica nella prima e nella seconda lingua (area di Broca) erano significativamente separati. È interessante un recente studio di risonanza magnetica funzionale in soggetti bilingui italiano-tedesco, volto a esaminare se l'età di acquisizione della seconda lingua influenzi l'attività cerebrale durante il compito di giudicare violazioni grammaticali (come nel caso della frase "i gatti ama cacciare i topi") o semantiche (per es., nella frase "la pannocchia mangia il maiale"). Da questa ricerca è emerso che soltanto nei bilingui tardivi e unicamente nei lavori svolti nella seconda lingua vi è una maggiore attività in aree linguistiche (frontali e temporo-parietali dell'emisfero sinistro) nel compito di formulare giudizi di irregolarità grammaticale. Non è stata trovata invece alcuna attività differenziale nel compito di produrre giudizi di violazione semantica, suggerendo così la necessità di esposizione precoce a una lingua in modo da poterne meglio padroneggiare gli aspetti grammaticali.
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