Nel diritto processuale civile, la legittimazione ad agire è la titolarità del diritto di azione, anche detta legitimatio ad causam; l’istituto opera sul piano soggettivo, determinando colui che ha il potere di costituire il dovere decisorio del giudice di pronunciarsi sul rapporto giuridico dedotto in giudizio.
Per quel che attiene al criterio di individuazione del legittimato ad agire, quello ordinario è rappresentato dalla titolarità – valutata sulla base della mera affermazione fatta nell’atto introduttivo del processo di cognizione – del rapporto sostanziale dedotto in giudizio. È così che si determina la categoria della legittimazione ordinaria ad agire. Il principio risulta anche garantito sul piano costituzionale, laddove (art. 24 Cost.) è previsto che tutti possano agire in giudizio per la tutela dei propri diritti soggettivi (Giusto processo). Non sono escluse peraltro ipotesi eccezionali, in cui la legittimazione ad agire viene conferita anche a soggetti non titolari del rapporto controverso; è la categoria della legittimazione straordinaria ad agire, nella quale il criterio di determinazione del legittimato è invece costituito dall’espressa previsione di legge, in ossequio al principio generale sancito dall’art. 81 c.p.c. in materia di sostituzione processuale.
Sul piano classificatorio la dottrina tradizionale annovera la legittimazione ad agire tra le cosiddette ‘condizioni dell’azione’, assieme alla possibilità giuridica e all’interesse ad agire, il cui difetto può essere rilevato in ogni stato e grado del processo. Alla legittimazione ad agire, infine, si suole contrapporre la legittimazione a contraddire, che appunto, in perfetta simmetria concettuale con l’istituto appena esaminato, indica nei titolari passivi del rapporto sostanziale – così come configurato in via di mera affermazione nell’atto introduttivo – i soggetti nei cui confronti la domanda deve essere proposta.
Azione. Diritto processuale civile