La sostituzione processuale costituisce un’eccezione, espressamente prevista dalla legge, al principio generale dell’ordinamento italiano secondo cui il potere di proporre la domanda per la tutela giurisdizionale dei diritti soggettivi spetta al titolare sostanziale degli stessi (Legittimazione ad agire). Nella sostituzione processuale, infatti, un soggetto terzo al rapporto sostanziale (cosiddetto sostituto processuale) può far valere un diritto altrui (del cosiddetto sostituito processuale) in nome proprio (art. 81 c.p.c.).
Con la sostituzione si realizza, quindi, una deroga al criterio ordinario di determinazione del legittimato ad agire; deroga giustificata da diversificate ragioni giuridiche. Nell’azione surrogatoria, per esempio, il creditore può far valere in giudizio il credito che il suo debitore ha nei confronti di un terzo, qualora il debitore trascuri di esercitare le azioni che gli spettano per tutelare il proprio diritto (art. 2900 c.c.). In questo caso al creditore si attribuisce il diritto di azione come strumento di garanzia e conservazione del proprio credito. Nella successione a titolo particolare nel diritto controverso l’avente causa può intervenire nel processo volontariamente, ma se ciò non avviene egli subisce comunque gli effetti della decisione finale in qualità di sostituito processuale (art. 111, co. 4, c.p.c.). Ciò avviene allo scopo di evitare che la pendenza del giudizio non costituisca un ostacolo alla piena disposizione dei propri diritti anche quando questi sono oggetto di controversia in un processo.
In assenza di una regola generale la dottrina e la giurisprudenza si sono interrogate sulla posizione processuale del sostituito e in particolare se questi debba prendere parte al processo in qualità di litisconsorte necessario. L’opinione maggioritaria propende per la soluzione positiva, muovendo da una lettura analogica della disciplina prevista in materia di azione surrogatoria, dove il debitore è appunto litisconsorte necessario nel giudizio tra creditore e debitor debitoris. Una conferma a tale soluzione si ritiene possa essere ricavata dai principi costituzionali in materia di diritti di azione e di difesa previsti in particolare all’art. 24, co. 1 e 2, Cost.