diritto Nel diritto pubblico romano, intercessio era il potere di veto, il cui esercizio consentiva di impedire il compimento di atti costituzionalmente rilevanti. In particolare, spettava: ai tribuni della plebe nei confronti di qualunque organo dello Stato (e, in origine, specialmente dei magistrati patrizi), nonché dei colleghi; e ai magistrati, nei confronti dei magistrati di grado inferiore e dei colleghi. In particolare, l’intercessio del tribuno si fondava sul suo ius auxilii, cioè sul diritto di impedire qualunque atto del magistrato patrizio che potesse nuocere alla plebe o a un singolo plebeo, e veniva esercitata o di libera iniziativa del tribuno o in seguito all’appello (aumentò di energia quanto più crebbe il potere della plebe); l’intercessio del magistrato si fondava invece sull’imperium, cioè su un potere positivo. La regolamentazione del diritto di veto consentì un’applicazione piena del principio di collegialità, giacché nessun potere poteva essere esercitato nella Roma repubblicana senza il previo accordo, almeno implicito, del magistrato che occupava la stessa carica.
L’attribuzione ad Augusto, nel 23 a.C., della tribunicia potestas, e quindi anche dell’intercessio, segnò il passaggio dalla repubblica al nuovo regime imperiale: il fatto che un unico soggetto fosse dotato di poteri tali da consentirgli di paralizzare qualsiasi attività statale prima che venisse compiuta, senza essere a sua volta soggetto ad alcun veto (non essendo Augusto tribuno, non aveva bisogno dell’accordo dei colleghi), contribuì a rendere sostanzialmente monarchico un assetto politico rimasto formalmente repubblicano.
Nella teologia cattolica, l’intervento di una creatura (Cristo come uomo, la Vergine, gli angeli e i beati, le anime del purgatorio e uomini viventi) a favore di altra creatura.
La dottrina dell’i. è un aspetto della comunione dei santi.