Industriale, film
Per film documentario industriale (o film tecnico-industriale), si intende una forma di documentazione e informazione interna al mondo del lavoro, della produzione e della tecnica, realizzata con mezzi cinematografici, animata da obiettivi professionali e destinata a un circuito di diffusione diverso da quello commerciale. Commissionato da industrie e organismi governativi a esse correlate, con finalità ben determinate che vanno dalla celebrazione alla didattica e alla pubblicità di settore, il f. i. ha il compito di descrivere processi di fabbricazione, fornire resoconti e presentazioni di progetti e attività produttive, stime di mercato, e talvolta di aggiornare tecnicamente e concettualmente le figure professionali, e per questo si è rivolto in origine a un pubblico ristretto di addetti ai lavori e specialisti. La sua specificità, che impone al registro espressivo un taglio strettamente scientifico-didascalico, costituisce sul piano estetico e narrativo una sfida con cui storicamente molti registi alle prime armi (da Stanley Kubrick a Michelangelo Antonioni, da Alain Resnais a Krzysztof Kieślowski, da Bernardo Bertolucci a Ermanno Olmi) si sono misurati per sviluppare le loro capacità nel campo della poesia visiva e nella strutturazione drammatica di eventi in apparenza prosaici. Il f. i., infatti, grazie ai finanziamenti a fondo perduto di cui gode, lascia spesso alla ricerca formale dell'autore un buon margine d'iniziativa: il suo vasto ventaglio di applicazione va da veri e propri cinegiornali aziendali a film informativo-didattici 'interni' alle aziende, a quelli, destinati a un pubblico esterno, di documentazione sociale (servizi di prevenzione e igiene del lavoro, tecniche di mercato ecc.) e di divulgazione della ricerca industriale, scientifica e tecnologica. La produzione del f. i., già diffusa ai tempi del muto, esplose con il sonoro, continuando a svilupparsi dagli anni Trenta in poi. La quantità di cortometraggi industriali, palestra permanente per i giovani registi di tutto il mondo, è di difficile mappatura, essendo le opere per lo più di proprietà dei committenti: viceversa, essa rappresenta un importante patrimonio per un'analisi delle evoluzioni linguistiche e retoriche tanto del cinema documentario quanto di quello di finzione.
Se un prototipo di film sull'attività industriale può essere già considerato il cortometraggio dei fratelli Lumière La sortie des usines Lumière (1895), per molto tempo il f. i. è stato raramente distinto dai servizi pubblicitari e propagandistici interni ai vari cinegiornali nazionali. La forma più diffusa di f. i., fino agli anni Venti, fu quella del cinegiornale aziendale: tra le prime produzioni del genere si annovera l'italiano CineFiat, bollettino informativo che, a partire dagli anni Dieci, attraversò il Novecento illustrando i nuovi modelli, gli stabilimenti e le tecniche di fabbricazione della casa automobilistica torinese. Gli anni Venti videro in tutto il mondo la massima sperimentazione nel campo del f. i., che raggiunse i suoi vertici nei Paesi dove lo Stato interveniva solidamente a sostegno dell'industria nazionale: primi fra tutti, Unione Sovietica, Italia e Germania. In Unione Sovietica furono molteplici gli esperimenti di f. i. compiuti da grandi autori: si vedano per es. il bel Kavkazskie mineral′nye vody (1922, Le acque minerali del Caucaso), singolare opera 'pubblicitaria' di Lev V. Kulešov, e le decine di puntate dei cinegiornali Kinonedelija (1918-19, Settimana cinematografica) e Kinopravda (Cineverità o "Pravda" cinematografica), fondato nel 1922, dove Dziga Vertov mise a punto una grande varietà di tecniche di ripresa dell'attività lavorativa e delle macchine (singolare l'opera del 1924 Sovetskie igruški, Giocattoli sovietici), convogliata poi nel lungometraggio Šestaja čast′ mira (1926, La sesta parte del mondo). Con l'avvento del sonoro, le opere di Vertov rappresentarono un modello per i f. i. girati per conto del governo sovietico da Abram M. Room sui piani quinquennali, e ancora di più per i film della cineasta Esfir′ I. Šub, che diresse almeno due piccoli capolavori nel genere tecnico-industriale: K. Š. E. (1932, Komsomol colonna dell'elettrificazione) e Moskva stroit metro (1934, Mosca costruisce la metropolitana). L'Italia degli anni Venti vide produzioni nazionali di un certo livello, come quella commissionata dalla società siderurgica Ilva a Eugenio Fontana e al giornalista romano Giuseppe Ceccarelli dal titolo Col ferro e col fuoco (1926), anche se le immagini più suggestive del lavoro industriale tra le due guerre nel nostro Paese restano quelle girate dall'eclettico pittore e regista tedesco Walter Ruttmann che, dopo l'eco avuta dal suo Berlin. Die Sinfonie der Grossstadt (1927), fu chiamato dalla Cines a dirigere il film di finzione Acciaio (1933), da un soggetto di Luigi Pirandello, le cui scene girate dal vero nelle acciaierie di Terni sono un importante documento dei processi di lavorazione. Nel 1937 Ruttmann, ormai cineasta ufficiale del regime nazista, replicò l'esperienza girando un f. i. di grande potenza visiva, Ein Film der Mannesmannröhren-Werke, poi ridotto dallo stesso Ruttmann in una versione Kulturfilm per conto dell'UFA (Universum Film Aktien Gesellschaft), dove applica il principio della sinfonia visiva sviluppato in Berlin. Die Sinfonie der Grossstadt ai processi di lavorazione del metallo, in perfetta fusione con le musiche di W. Zeller. Un posto a sé nella storia del f. i. merita Joris Ivens, infaticabile, apolide documentarista di nascita nederlandese, le cui opere di carattere storico-geografico sono riuscite a coniugare un'ispirazione profondamente paesistica e lirica e la militanza politica a sostegno delle organizzazioni di lotta del proletariato comunista di tutto il mondo. Interessante il suo primo esperimento sonoro, un f. i. girato per conto dell'industria olandese Philips: Philips radio (1931-32), elegia visivo-acustica sulla potenza del suono. Più impegnato sul fronte politico-sociale è Power and the land (1939-40), suggestiva analisi delle conseguenze dell'elettrificazione rurale realizzata da Ivens negli Stati Uniti per conto del dipartimento dell'agricoltura dell'Ohio. L'altro grande centro del f. i. tra le due guerre fu quello animato dall'inglese John Grierson, che nel 1928 istituì l'EMBFU (Empire Marketing Board Film Unit), organismo di pubblicità dei prodotti dell'impero britannico, che negli anni Trenta commissionò a un gruppo di celebri documentaristi diverse opere di carattere industriale, tecnico e sociale, che rappresentano una pietra miliare del genere: tra queste, vanno ricordate almeno Industrial Britain (1931-32) dello statunitense Robert J. Flaherty, Coal face (1935) del brasiliano Alberto Cavalcanti, e Night mail (1936) di Basil Wright e Harry Watt, su musica di Benjamin Britten e versi del poeta W.H. Auden. Dopo la Seconda guerra mondiale, la rinascita dell'industria cinematografica fu strettamente legata a quella dell'economia nel suo complesso: molti giovani autori, non più esperti documentaristi ma aspiranti registi di finzione, gli stessi che di lì a poco avrebbero preso parte alle nuove ondate cinematografiche in Europa e negli Stati Uniti, compirono parte del loro tirocinio realizzando cortometraggi industriali, dove potevano sperimentare liberamente nuove tecniche narrative. Uno dei primi a sfruttare questo mezzo, in Italia, fu M. Antonioni che, poco prima di esordire nel lungometraggio, realizzò per la SNIA-Viscosa (Società Nazionale Industria Applicazioni-Viscosa) il lirico Sette canne, un vestito (1949), sul processo di produzione delle allora rivoluzionarie fibre sintetiche. Negli Stati Uniti il venticinquenne S. Kubrick girò nel 1953 il suo primo film a colori per conto della Seafarers International Union, Atlantic and Gulf Coast District, organizzazione sindacale dei lavoratori marittimi: The seafarers, 30 minuti di nitida propaganda unionista, episodica sortita del regista nel film sociale. Anche A. Resnais compì in Francia il suo primo esperimento a colori con un f. i. girato per conto della società Péchiney: Le chant du Styrène (1958), cortometraggio di grande potenza visiva con commento in versi dello scrittore R. Queneau. Il film, visivamente tendente all'astrazione, elimina l'elemento umano e segue a ritroso il processo di fabbricazione di una materia plastica, lo stirene (l'idrocarburo base dal quale si fabbrica il polistirolo), che da oggetto concreto si trasforma di nuovo in petrolio.Gli anni Sessanta in Italia furono il periodo di maggior fioritura del f. i., quando molte aziende 'illuminate' investirono cifre cospicue nella cinematografia: se la Olivetti si servì dello storico dell'arte Carlo Ludovico Ragghianti per finanziare una serie di critofilm (v.) o film sull'arte (v.), fu Ivens a dare un forte impulso alla produzione industriale accettando l'incarico del presidente dell'ENI (Ente Nazionale Idrocarburi) E. Mattei di girare un film sull'estrazione del metano, apertamente rivolto contro i monopoli internazionali del petrolio, dal titolo L'Italia non è un Paese povero, del 1960, presentato alla Mostra del cinema di Venezia nel 1961. A questo film, per molto tempo rimasto 'invisibile' negli archivi RAI, collaborarono molti giovani registi, tra cui Valentino Orsini, che nel 1966 su incarico dell'ENI realizzò in Argentina il film sui gasdotti Chilometri 1696. L'impegno sociale dell'ENI chiamava a raccolta cineasti militanti come B. Bertolucci, che per conto dell'ente girò, sempre nel 1966, La via del petrolio, serrata indagine sullo sfruttamento petrolifero dei Paesi poveri, a partire dal caso dell'Iran. A parte si colloca l'operosa figura di E. Olmi, che nel 1954 fondò il Servizio cinema della società elettrica Edisonvolta (che l'anno successivo venne trasformato nella Sezione cinema Edisonvolta), presso la quale era impiegato e per la quale realizzò, tra il 1953 e il 1961, una trentina di pregevoli f. i., tra cui La diga sul ghiacciaio (1953), Tre fili fino a Milano (1959) e Un metro è lungo cinque (1961).
Negli anni Settanta, con l'avvento delle nuove tecnologie di ripresa, molti f. i. cominciarono a essere girati in formato magnetico e le produzioni si moltiplicarono vertiginosamente. Nei Paesi dell'Est europeo, dietro a centinaia di produzioni statali di maniera che raffiguravano il proletariato comunista al lavoro, di tanto in tanto si affacciarono registi di talento come il polacco K. Kieślowski che volle drammatizzare, con l'uso di lettere scritte dagli operai e voci off, i f. i. a lui commissionati dalle miniere di rame di Lublin come Miezdi Wrocławiem a Zielona Gora (1972, Tra Wrocław e Zielona Gora). Nello stesso periodo, l'inglese Ken Loach compì una breve incursione nel film sociale su commissione, girando nel 1971 Talk about work, finanziato dal Department of Employment, l'ufficio di collocamento britannico.Tra le ultime opere di un certo spessore del decennio successivo, vi sono Una storia per l'energia, diretto nel 1984 da Gillo Pontecorvo per conto dell'AGIP (Azienda Generale Italiana Petroli), e la produzione ENI, con la regia di Paolo e Vittorio Taviani, Icam, 300 giorni (1984), sull'incendio e la ricostruzione dell'impianto di etilene di Priolo, in Sicilia, su testi di Tonino Guerra e musiche di Lucio Dalla. Negli ultimi due decenni, il terreno tecnico-sperimentale dei registi esordienti si è spostato sensibilmente dal f. i. al settore più prestigioso e remunerativo del videoclip musicale e agli spot commerciali, in piena sintonia con il disimpegno politico e sociale delle nuove generazioni, perfettamente integrate nel sistema di produzione spettacolare e sempre meno interessate a un discorso filmico confinato in un canale autonomo e indipendente da quello dell'intrattenimento.
G. Sadoul, Histoire générale du cinéma, 1° vol., L'invention du cinéma (1832-1897), 2° vol., Les pionniers du cinéma (1897-1909), Paris 1946-47 (trad. it. Storia generale del cinema, 1° vol., Le origini e i pionieri, 1832-1909, Torino 1965).
J. Leyda, Kino: a history of the Russian and Soviet film, London 1960 (trad. it. Milano 1964).
A. Napolitano, Robert J. Flaherty, Firenze 1975.
S. Cavatorta, D. Maggioni, Joris Ivens, Firenze 1979.
P. Bertetto, Alain Resnais, Firenze 1981.
Walter Ruttmann. Cinema, pittura, ars acustica, a cura di L. Quaresima, Rovereto 1992.