Figura leggendaria di seduttore, che appare la prima volta nel Burlador de Sevilla y convidado de piedra (1630), attribuito a Tirso de Molina. La leggenda non ha alcun nucleo storico: il centro poetico è, nell’ultimo atto, il convitato di pietra che interviene al banchetto del peccatore e poi lo conduce con sé nei regni della giustizia e della morte.
Tale elemento religioso e morale va impallidendo o addirittura è assente nelle innumerevoli incarnazioni che il personaggio e la sua leggenda ebbero poi in tutte le letterature; e va prendendo maggior rilievo, specie nei paesi germanici, il D. inteso come espressione della latina ebbrezza sensuale di vivere. Verso la metà del 17° sec. la leggenda passò dalla Spagna in Italia, ma si ridusse presto a una serie di bizzarre vicende per il divertimento popolare; arricchendosi di sempre nuovi episodi, divenne uno dei canovacci prediletti della commedia dell’arte. Da qui la trasse Molière, il cui Don Juan (1665) è un elegante e cinico uomo di mondo; questa commedia ebbe innumerevoli traduzioni e rifacimenti in tutte le lingue, sino a Goldoni (Don Giovanni o la punizione del dissoluto, 1730). Contemporaneamente, il soggetto ispirò numerosissimi musicisti, tra cui H. Purcell (1676), C.W. Gluck (1760), e, soprattutto, W.A. Mozart (Don Giovαnni, su libretto di L. Da Ponte, 1787). Da ricordare ancora il poema sinfonico Don Juan di R. Strauss (1889).
La figura di Don Giovanni piacque molto ai romantici, come personificazione delle forze dell'amore oltre ogni legge, della "tristezza della carne", per cui la vita, pur esaltandosi nella voluttà, trova in questa i germi della morte. Ciascun poeta ha dato una sua interpretazione personale del mito; si ricordano tra i maggiori: G. Byron (Don Juan; 1819-21 e 1823-24); E.T.A. Hoffmann, C.D. Grabbe (Don Juan und Faust, 1829), N. Lenau, A.S. Puškin, A. de Musset, T. Gautier, J.-A. Barbey d’Aurevilly, R. de Campoamor, G.B. Shaw (Man and Superman, 1903).
Per approfondire don Giovanni di Ermanno Detti (Enciclopedia dei ragazzi)