Termine con il quale si indica una variegata corrente di studi, che esplora i comportamenti economici con metodi sperimentali sul presupposto della razionalità limitata degli agenti (➔ behavioral economics). La teoria comportamentista dell’impresa elaborata da R.M. Cyert e J.G. March (A behavioral theory of the firm, 1963) studia la formazione delle decisioni (prezzi, produzione, investimenti e strategie di mercato) nell’organizzazione aziendale, spiegando come le scelte nascono dalla contrattazione fra i diversi soggetti interessati nell’attività dell’impresa e dai compromessi raggiunti o raggiungibili, a livello soddisfacente, tra la pluralità d’obiettivi cui essi aspirano. Rigetta, quindi, il principio semplificato della massimizzazione del profitto, con razionalità trasparente, a fondamento della teoria neoclassica dell’impresa.
Nell’ambito dell’impresa, oltre agli interessi in contrasto, parzialmente riconciliati attraverso la contrattazione, la teoria studia le scelte in condizioni d’informazione incompleta, assunte con procedimenti di routine, o per esplorazione o sperimentazione, in consonanza con la ricerca di H.A. Simon. L’opera di Cyert e March ha ispirato gli studi della corrente istituzionalista contemporanea e soprattutto l’economia dei costi di transazione, elaborata nell’opera di O.E. Williamson (➔).