calamità naturale L'insorgere o il pericolo di grave danno alla incolumità delle persone e ai beni, che, per loro natura o estensione, debbono essere fronteggiati con interventi tecnici straordinari.
approfondimento di Piero Bianucci
Nell'ultimo secolo oltre due milioni di persone hanno perso la vita a causa di terremoti, nove in alluvioni e varie decine di milioni in seguito a pandemie. Secondo la World meteorological organization (wmo, ente dell'onu con sede a Ginevra cui aderiscono 187 paesi), la mappa dei disastri naturali vede al primo posto le alluvioni con il 37% dei danni. Seguono gli uragani con il 28%, siccità e carestie (9%), terremoti (8%), frane e valanghe (6%), incendi di foreste (5%), temperature estreme (5%) ed eruzioni vulcaniche con il 2% (dati 2006). Secondo la stessa fonte, nel decennio 1992-2001 i disastri naturali hanno ucciso 622.000 persone e 2 miliardi ne sono state colpite, per un totale di 446 miliardi di dollari di danni. Il 90% dei disastri naturali è correlato direttamente o indirettamente con fenomeni meteorologici e climatici.
Il concetto di disastro naturale è storicamente connesso all'immagine, anche poetica e filosofica, di una natura matrigna che colpisce l'umanità con inondazioni, terremoti, eruzioni, cicloni, valanghe, frane, siccità, organismi nocivi, malattie epidemiche e altri eventi che per la loro potenza e imprevedibilità sovrastano ineluttabilmente le capacità di previsione e di difesa dell'uomo. Da Omero a G. Leopardi, passando per il pensiero medievale, è facile trovare testimonianze dell'interpretazione della natura come forza ostile alla società umana. Negli ultimi decenni, però, questa millenaria concezione del disastro naturale è diventata sempre più discutibile a mano a mano che crescono gli strumenti tecnologici e la conoscenza dei meccanismi fondamentali geologici, atmosferici e biologici. Oggi, infatti, la prospettiva si è quasi rovesciata: molti dei disastri che colpiscono la nostra società possono essere considerati naturali solo in parte; nella maggioranza dei casi sono fenomeni che scienza e tecnologia avrebbero potuto, se non evitare, almeno mitigare fino a renderli pressoché inoffensivi.
Ancora più spinta nel rovesciamento prospettico è la posizione degli ecologisti, secondo i quali - a parte casi molto particolari - i disastri che affliggono l'umanità già oggi sono sostanzialmente innaturali e sempre più lo saranno in futuro, nel senso che a produrli è soprattutto il mancato rispetto dell'uomo verso la natura e i suoi delicati equilibri. Il vertiginoso aumento della popolazione mondiale - da 1,6 miliardi nel 1900 a 6,4 nel 2006 - e il suo concentrarsi in aree ristrette hanno aggravato le conseguenze di alluvioni, terremoti, uragani, eruzioni, mentre le comunicazioni facili e rapide rendono più frequenti e insidiose le pandemie. Il cavallo di battaglia della posizione ecologista è rappresentato dal cambiamento climatico registrato a partire dal 1980 con un sensibile rialzo della temperatura media globale, attribuito dalla maggioranza della comunità scientifica (ma il dibattito è tuttora aperto) all'effetto serra di origine antropica, cioè all'immissione nell'atmosfera di gas come il diossido di carbonio (anidride carbonica), prodotto dall'uso di enormi quantità di combustibili fossili (petrolio, carbone, metano). Questi gas hanno la proprietà di impedire la restituzione allo spazio di parte della radiazione infrarossa rilasciata dalla superficie terrestre, riscaldata dalla radiazione solare, con il risultato di far salire la temperatura complessiva dell'atmosfera. A medio o lungo termine, l'effetto serra potrebbe portare alla fusione dei ghiacci polari, con un innalzamento dei mari di 50-60 cm e la desertificazione di regioni oggi temperate. Su tempi più ravvicinati si assisterebbe a una estremizzazione di fenomeni atmosferici che in passato manifestavano una potenza distruttiva relativamente contenuta. Un indicatore di questa svolta sarebbero gli uragani tropicali, che negli ultimi tempi hanno mostrato un'impennata per numero e potenza distruttiva.
La categoria dell'innaturalità applicata ai disastri naturali considerati in una prospettiva moderna non si limita però ai fenomeni meteorologici e alle loro conseguenze. Oggi le conoscenze scientifiche sono tali che anche calamità come terremoti, eruzioni vulcaniche ed epidemie globali dovrebbero essere sotto controllo. Terremoti ed eruzioni, spiegati in un quadro unitario dalla teoria della tettonica a placche, sono diventati prevedibili almeno da un punto di vista statistico: si sa bene, cioè, dove la terra tornerà prima o poi a tremare in modo catastrofico e quali vulcani prima o poi manifesteranno un'attività altamente distruttiva. Eppure nel 1995 il terremoto di Kobe, in Giappone, ha fatto ancora più di 6.000 vittime: nonostante i grandi progressi dell'edilizia antisismica (costruzioni appoggiate su elastomeri che assorbono l'urto delle onde meccaniche del terremoto, nuovi materiali, progettazione basata sul massimo sisma registrato localmente), l'alta concentrazione di popolazione e la fragilità dei sistemi fortemente urbanizzati aggravano il rischio. Le 200.000 vittime dello tsunami di Sumatra (26 dic. 2004) non ci sarebbero state senza l'intensivo sfruttamento turistico delle coste. Analogamente, si pensi alle 800.000 persone che risiedono sulle pendici del Vesuvio, quasi tutte in edifici abusivi: il disastro di una nuova eruzione esplosiva come quella che nel 79 d.C. distrusse Ercolano e Pompei difficilmente sarebbe attribuibile alla natura. Quanto a pandemie come l'aids (25 milioni di morti dal 1981 al 2006) o le temute influenze di tipo aviario, adeguate misure di prevenzione e un'equa ripartizione delle risorse economiche tra paesi ricchi e paesi sottosviluppati ne permetterebbero un buon controllo, contrariamente a quanto avvenne con la cd. influenza spagnola (22 milioni di vittime tra il 1918 e il 1919) e prima ancora con il colera e la peste nera (quella del 1346-48 flagellò l'Europa con 60 milioni di morti). In ultima analisi, il concetto assoluto di disastro naturale in futuro sempre più dovrà essere messo in rapporto con il concetto relativo di vulnerabilità, e quindi con le responsabilità che rendono vulnerabile la società contemporanea.