America
Il concetto di cinema americano è al contempo esteso e ambiguo. Esteso in quanto, se usato in senso proprio, deve comprendere la produzione dell'intero continente e quindi realtà culturali, sociali, politiche ed economiche molto diverse tra loro, in cui dominante e non comparabile per importanza e peso con quello di nessun'altra cinematografia nazionale è il ruolo svolto dal cinema statunitense. Ambiguo, proprio in virtù del fatto che tale dominio ha finito per condizionare il modo stesso di concepire il cinema del continente, schiacciandolo esclusivamente sulla produzione statunitense, cosicché nell'uso comune, e anche in molta letteratura sull'argomento, con l'espressione cinema americano ci si riferisce alla produzione degli Stati Uniti e non a quella di tutti i Paesi americani. Tutto ciò anche perché l'identità della cinematografia statunitense è un'identità plurima, stratificata, soggetta a modificazioni ed evoluzioni, imprescindibile punto di riferimento e di confronto. Si pensi soltanto all'importanza degli studi europei per il riconoscimento del valore artistico del lavoro di molti registi statunitensi, spesso mai arrivato in patria o raggiunto solo molto più in là nel tempo. Lo scambio, l'interazione, il reciproco riferimento hanno infatti segnato la storia dei rapporti tra Stati Uniti ed Europa, che si sono intrecciati a diversi livelli, da quello più macroscopico che ha visto il Paese americano meta di flussi migratori (in periodi e con significati, storici e culturali, diversi) di registi europei o, più di recente e in misura di gran lunga inferiore, asiatici e australiani, a quello più sottile della riflessione critica ed estetica sul cinema statunitense come cinema per eccellenza o, quanto meno, infinito serbatoio di immagini, soluzioni narrative e tecniche, miti. Se quindi la forza di modello dominante e punto di riferimento privilegiato della produzione degli Stati Uniti è una realtà per le cinematografie di tutto il mondo, ancor più sembra esserlo per quelle del continente americano che per ragioni geografiche, culturali e politiche appaiono destinate sin dagli inizi a essere fagocitate da una presenza così ingombrante. Infatti è indubbio che in un quadro variegato e mosso da improvvise trasformazioni come anche segnato da periodi di immobilità, i Paesi dell'America Centrale e, in parte, dell'America Meridionale, sono stati sin dalle origini subordinati alle modalità produttive, alla potenza distributiva, come anche alla ricchezza quantitativa e qualitativa del cinema statunitense. Occorre comunque sottolineare, pur sulla base di un confronto che risulta tutto sbilanciato, l'esistenza di cinematografie nazionali con tratti ben individuati di riconoscibilità culturale e, pur se il peso di tali produzioni è mutato a seconda dei casi e dei periodi, è innegabile, soprattutto per alcune nazioni come il Messico, l'Argentina e il Brasile, lo sviluppo di realizzazioni artistiche di grande valore e dotate di un'indubbia specificità e notevole autonomia. Il Messico, per es., conobbe il suo 'periodo d'oro' in particolare tra il 1935 e il 1945 quando si creò uno star system (con attori come Pedro Armendáriz, Dolores Del Río, Maria Felix, Pedro Infante, registi come Emilio Fernández, Roberto Gavaldón e Julio Bracho, direttori della fotografia come Gabriel Figueroa) sulla falsariga di quello statunitense. Inoltre, in questa fase si sviluppò un cinema di genere (la commedia ranchera derivante dal western, il melodramma familiare, l'affresco storico) che, pur se condizionato dai modelli statunitensi, si fondò su ben precise tradizioni nazionali di cui conservò la piena riconoscibilità. Grande importanza ebbero pure il 'cinema militante' argentino (e, in misura assai minore, cileno, v. Cile) e il Cinema Nôvo in Brasile, con autori come Nelson Pereira dos Santos, Glauber Rocha e Ruy Guerra le cui opere possedevano quella libertà formale tipica della Nouvelle vague francese e dei film di Roberto Rossellini. Questi movimenti come anche, in Canada, l'importante attività documentaristica e di cinema d'animazione svolta dall'Office National du Film, nonché l'affermarsi del 'cinema diretto', furono caratterizzati da un'estrema vitalità artistica e dall'attenzione suscitata nella critica anche al di fuori del continente americano.Molti dei Paesi dell'America Centrale sono stati invece sempre condizionati, oltre che da quella statunitense, anche dalla cinematografia messicana, sia pure in misura minore.
A parte l'isolata attività di pionieri, documentaristi e cineasti sperimentali, in molti di questi Stati non si è mai sviluppato un cinema nazionale. Le majors statunitensi, spesso proprietarie delle sale delle grandi città, hanno per lo più controllato totalmente il mercato, e con un ulteriore e significativo processo di appropriazione, hanno utilizzato quei luoghi come scenari: per citare solo pochi esempi, Bananas (1971; Il dittatore dello stato libero di Bananas) di Woody Allen è ambientato a Puerto Rico, A high wind in Jamaica (1965; Ciclone sulla Giamaica) di Alexander Mackendrick e Papillon (1973) di Franklin J. Schaffner in Giamaica, The tailor of Panama (2001; Il sarto di Panama) di John Boorman nello stretto di Panama. E Paesi come Haiti sono stati utilizzati non solo per l'esotismo del paesaggio, ma anche per la possibilità di servirsi di mano d'opera di vario genere a costi irrisori. Il dominio del mercato statunitense ha costituito però solo una delle ragioni del mancato sviluppo di una cinematografia nazionale in queste regioni. Nella Repubblica Dominicana, per es., il cinema fu utilizzato a lungo esclusivamente come mezzo autocelebrativo dalla famiglia Trujillo (proprietaria dell'isola dal 1930 al 1961). In Nicaragua e in Guatemala, invece, i pesanti condizionamenti politici hanno limitato sempre pesantemente la libertà d'espressione dei cineasti. In Costa Rica l'inizio di una produzione nazionale risale addirittura ai primi anni Settanta con l'istituzione, nel 1973, del Departamento de cine, primo organismo per la diffusione del cinema a opera dell'attrice Kitico Moreno. Poco significativa anche la produzione di El Salvador e Honduras, mentre solo a Cuba e, in misura assai minore, a Puerto Rico e Panama si è sviluppata una cinematografia con caratteri definiti. Ciò è stato possibile a Cuba grazie all'attività di nuovi autori emersi dopo la rivoluzione castrista del 1959 (i registi Julio García Espinosa, Tomás Gutiérrez Alea e il direttore della fotografia Nestor Almendros) e al ruolo svolto dalla rivista "Cine cubano". Nell'isola di Puerto Rico fondamentale fu l'intervento del Partito popolare democratico che, dopo la Seconda guerra mondiale, favorì lo sviluppo dell'industria cinematografica nel Paese. E si pensi, per contro e nel gioco di scambi e del reciproco innervarsi di culture, all'esistenza di un cinema portoricano, in particolare a partire dagli anni Ottanta, negli Stati Uniti, la cui produzione si sostanzia e si rinnova anche in ragione del fondamentale apporto delle minoranze etniche. A Panama, di estremo rilievo fu l'attività del GECU (Grupo Experimental de Cine Universitario), che ebbe il suo punto di riferimento nello scrittore Pedro Rivera e che venne creato nel 1972 grazie all'intervento del generale H. Torrijos. Singolare, infine, la situazione giamaicana la cui cinematografia risulta essenzialmente documentaristica o legata a produzioni che mescolano elementi fiction con la musica reggae.Ciò che ha caratterizzato gran parte dei Paesi dell'America Meridionale è stato invece lo sviluppo di un 'cinema politico', in conflitto con i regimi dominanti, come è accaduto in Paraguay, in Venezuela (in cui importante, come in Uruguay, è stato anche l'affermarsi di un cinema d'animazione di qualità), in Colombia e in Bolivia.
Egualmente interessante è stato il consolidarsi di una tradizione di cinema documentaristico in quest'ultimo Paese (in particolare negli anni Cinquanta e soprattutto dopo l'istituzione nel 1953 dell'Instituto Cinematografico Boliviano, ICB), ma anche in Perù (si pensi ai documentari realizzati, dalla metà degli anni Cinquanta, dal Cine Club Cuzco) e in Ecuador (in particolare a partire dagli anni Ottanta).
In questo panorama così ricco e diversificato sono emerse tendenze di vario tipo, rispondenti a sollecitazioni diverse e complesse, e si sono affermati autori che hanno realizzato le loro opere in situazioni spesso assai difficili, condizionate dai fattori più vari. Se qualche volta elemento di rilievo è stato il consolidarsi in certi periodi di un favorevole clima culturale, più di frequente l'opera di molti registi ha tratto forza dalla realizzazione in condizioni proibitive, addirittura di semiclandestinità. Molti di questi film raramente hanno varcato i confini nazionali, trovando una loro visibilità solo nei festival internazionali. Tali opere sono spesso animate dalla necessità di documentare la 'propria' Storia e, in certi casi, di confrontarsi con i modelli hollywoodiani intesi come realtà consolidate, come 'tradizione' espressiva da seguire, ma anche, a volte, da reinventare, modificare, riscrivere. A sporadiche 'epoche d'oro' si sono contrapposti dunque lunghi periodi di crisi, in un'alternanza di cui proprio il cinema, in quanto fatto economico e non solo espressione di cultura, dà significativamente conto facendo emergere il paradosso e la complessità della situazione di un continente nel quale l'imponente produzione statunitense non deve far dimenticare l'esistenza di una realtà altra, spesso problematica, ma anche, in alcuni casi, di grande valore artistico e culturale. *