Cile
Il cinema fece il suo ingresso in C. poco dopo le proiezioni parigine dei fratelli Lumière, ma fu soltanto nel 1902 che si realizzò la prima produzione nazionale. Si trattava di Un ejercicio general de bomberos, un cortometraggio a carattere documentario girato da un gruppo di pionieri rimasti anonimi. Per vedere un film di finzione bisognò attendere il 1910, quando Adolfo Urzua Rosas realizzò Manuel Rodríguez, biografia del noto eroe dell'Indipendenza. Eccetto alcuni altri tentativi di fiction, la produzione degli anni Dieci rimase legata al documentario e i titoli evidenziarono lo sforzo di riprendere la vita quotidiana così come gli avvenimenti grandi e piccoli che riempivano le pagine dei giornali. Non a caso furono proprio alcuni editori di periodici stampati a produrre cinegiornali e documentari, cercando di attrarre nelle sale le stesse persone interessate alla cronaca nera e agli eventi mondani. Tale stato di cose fece sì che nei primi anni fosse difficile rintracciare cineasti realmente interessati al linguaggio cinematografico: tra i pochi, Salvador Giambastiani e Pedro Sienna. Il primo realizzò documentari di notevole pregio, concedendosi anche rapide incursioni nella fiction; il secondo invece gettò le basi per lo sviluppo del lungometraggio, di cui divenne negli anni Venti uno dei maestri. Fu in questo decennio che cominciarono ad apparire personaggi femminili a forti tinte in film che offrivano al pubblico anche scene audaci di nudo, come Agua de vertiente (1924) di Antonio Acevedo Hernández, e non dispiacquero racconti a carattere storico e romanzesco, come El húsar de la muerte (1925) di Sienna, riproposizione della vita dell'indipendentista M. Rodríguez. L'epoca del muto, al di là dei risultati non sempre eccelsi, rappresentò un periodo privilegiato della storia del cinema cileno; basti pensare che vennero prodotti quasi ottanta film di cui ben quindici soltanto nel 1925. La scarsa qualità di questi prodotti non impedì all'industria di espandersi e di guardare al sonoro come a una rivoluzione da seguire a ogni costo. A questo proposito il cineasta Jorge Délano venne appositamente inviato negli Stati Uniti per apprendere le nuove tecniche del parlato e fu autore del primo film sonoro cileno, Norte y sur (1934). L'entusiasmo delle società di produzione indusse alla lavorazione di molti film concepiti per il mercato sia interno sia estero, specificatamente per quello statunitense, dove la comunità ispanica cominciava a essere numerosa. L'imitazione dei modelli americani ebbe come conseguenza uno snaturamento delle tematiche nazionali che ‒ nonostante la nascita, nel 1942, di una società di produzione a partecipazione statale che disponeva di suoi teatri di posa, la Chile Films (che avrebbe avuto un destino alterno, chiudendo nel 1949 e riprendendo l'attività nel 1967) ‒ portò a una lenta ma progressiva crisi, cominciata negli anni Quaranta e proseguita negli anni Cinquanta. Quest'ultimo decennio fu il periodo più buio del cinema cileno: la produzione ristagnava, le idee mancavano, si scese così da quaranta titoli a un solo titolo realizzato per anno.
L'inversione di rotta arrivò grazie alle università e alle lotte politiche. Nel 1958 l'Università cattolica creò un dipartimento cinematografico, nel 1960 l'Università di Stato fondò la sezione Cine experimental, diretta dal cineasta documentarista Sergio Bravo, e creò la cineteca universitaria, mentre nel 1962 alcuni cineasti politicamente impegnati diedero vita al Cineclub di Viña del Mar, organizzazione nata per produrre opere in 8 e 16 mm e promuovere manifestazioni dedicate al cinema latinoamericano. Soprattutto lo svolgimento di festival e rassegne fu una straordinaria occasione per i cineasti cileni di incontrare gli autori degli altri Paesi dell'America Latina e di tessere le basi di un tipo di nouvelle vague in sintonia con quella che nello stesso periodo attraversava anche una buona parte del cinema europeo. Joris Ivens girò nel C. di quegli anni due film che rientravano nel suo impegno documentario sui movimenti rivoluzionari e le lotte di liberazione nel mondo, À Valparaíso (1962) e Le train de la victoire (1964), ed ebbe come collaboratori S. Bravo e Miguel Littin, cineasti che poi si dedicarono a un cinema di forte militanza politica. Il 1967 fu particolarmente vivace e significativo: venne istituito il Consejo de fomento de la industria cinematográfica e fu varata una nuova legge sul cinema. Erano gli anni furenti e fortemente politicizzati dei documentari di Álvaro Covacevic (Morir un poco, 1967) e di Bravo (La marcha del carbón, 1963, e Las banderas del pueblo, 1964); dei primi lungometraggi politici radicati nella realtà socio-antropologica cilena di Littin (El chacal de Nahueltoro, 1969; La tierra prometida, 1973, portato a termine a Cuba) o di Aldo Francia, fondatore del Cineclub di Viña del Mar e influenzato dal Neorealismo italiano e da un umanesimo cattolico-marxista (Valparaíso, mi amor, 1970, e Ya no basta con rezar, 1971, Non basta più pregare); dei primi film di Raúl Ruiz, che univano lo sperimentalismo alle suggestioni letterarie e all'ideologia politica (Tres tristes tigres, 1968; La colonia penal, 1971); dei film di riflessione storico-sociale di Helvio Soto (Voto + fusil, 1970) e dei film militanti influenzati dalle tecniche del cinema diretto di Patricio Guzmán il quale, dopo essersi occupato della condizione operaia (La respuesta de octubre, 1972), portò a termine a Cuba, dove si era rifugiato in seguito al golpe del 1973, La batalla de Chile (1974-1999), intensa e articolata indagine in tre parti sulle vicende politiche del governo socialista e del golpe militare. Molti cineasti si erano raccolti intorno all'esperienza del governo di Unidad Popular e alla figura morale e politica di S. Allende, sostenendone con fervore lo slancio di risveglio ideale (anche mediante un manifesto comune, redatto nel 1970, per la rinascita del cinema nazionale) e documentandone le attività con alcune opere (¿Qué hacer?, 1970, di Saul Landau, R. Ruiz e Nina Serrano; El primer año di Guzmán, 1971). Littin realizzò un film-intervista con Allende (Compañero presidente, 1971) e divenne nel 1970 presidente della Chile Films, rilanciata in quel periodo come ente statale di cinematografia, da cui si dimise poco dopo, attratto dalle posizioni radicali del MIR (Movimiento de Izquierda Revolucionaria), che contestavano il legalitarismo della sinistra governativa.
La stagione esaltante e il rinnovamento politico-sociale furono brutalmente soffocati nel 1973 dal golpe militare. Ogni forma di finanziamento e di incoraggiamento alla produzione fu spazzata via: la caduta di Allende segnò la fine di ogni progetto. La giunta militare capeggiata dal generale A. Pinochet abrogò tutte le leggi a favore del cinema e costrinse alcuni cineasti all'esilio, quando addirittura non ne eliminò fisicamente altri negli efferati eccidi che seguirono alla presa del potere. Grazie alla solidarietà internazionale, il cinema rimase tuttavia vivo, testimoniato da opere indipendenti che cercarono faticosamente di differenziarsi dall'ideologia dominante, come Julio comienza en Julio (1978) di Silvio Caiozzi, felice tentativo di ridare slancio e vita alla poetica cinematografica nazionale. Trascorsero però ancora anni di estrema difficoltà, mortificati da una politica culturale che non lasciava spazio alla libera circolazione delle idee. Il regime di Pinochet non vietò infatti la produzione, ma intervenne pesantemente su qualsiasi progetto alludesse alla situazione nella quale versava il Paese. In questo clima si continuò a produrre, ma il livello dei film fu forzatamente basso. Non mancarono le eccezioni, come alcuni documentari che videro segretamente la luce nonostante le censure.
Nel 1985 Littin, che si era rifugiato dapprima a Cuba e poi in Messico, girò clandestinamente in C. i materiali poi montati nel film terminato in esilio Acta general de Chile. Fu però a partire dal 1988, con la caduta del regime militare, che i registi poterono tornare senza restrizioni dietro la macchina da presa. Caiozzi portò finalmente a termine nel 1990 La luna en el espejo, da un romanzo di J. Donoso, Guzmán completò la sua riflessione sugli anni della dittatura e sulle sue conseguenze con La memoria obstinada (1997) e Le cas Pinochet (2001), film questi che vennero inviati a molti festival internazionali riportando l'attenzione sul cinema cileno. Con il crollo della dittatura tornarono in patria molti cineasti, pur se alcuni preferirono continuare a lavorare all'estero. Per tutti valga il caso di Ruiz, che ha tenuto fede a una sua vocazione apolide realizzando in Europa fantastiche parabole sull'eterno mistero dell'esistenza. Gli anni Novanta hanno segnato un incremento della produzione e una parallela espansione delle sale cinematografiche, con una crescita del numero degli schermi e un conseguente aumento degli spettatori. Il fenomeno ha coinvolto principalmente le grandi città, dove sorgono multiplex e sale all'avanguardia dal punto di vista tecnologico, ma il 25% dell'incremento si è avuto in provincia. Il 70% degli incassi è rimasto appannaggio dei film stranieri e principalmente statunitensi, sebbene risultati confortanti siano stati finalmente raggiunti anche dai prodotti nazionali.
M. Littin, Cine chileno: la tierra prometida, Caracas 1974.
A. Vega, Re-visión del cine chileno, Santiago 1979.
G. Hennebelle, A. Gumucio-Dragon, Les cinémas de l'Amérique Latine, Paris 1981.
J. Mouesca, Plano-secuencia de la memoria de Chile: veinticinco años de cine chileno (1960-1985), Santiago 1988.
New Latin American cinema, ed. M.T. Martin, Detroit 1997.