Ufficiale e uomo politico yemenita (Bayt al-Aḥmar 1942 - Sana'a 2017). Partecipò al colpo di stato militare del 1974; presidente della Repubblica Araba dello Yemen dal 1978 al 1990, condusse una politica filoislamica, allineata sulle posizioni della Lega Araba. Dopo la riunificazione dei due stati yemeniti (1990), Ṣ. assunse la presidenza della Repubblica. La crisi nei rapporti con gli esponenti della ex Repubblica Popolare Democratica dello Yemen (entrati a far parte del nuovo governo) e la vittoria nella guerra civile che ne derivò (maggio-luglio 1994) consentirono a Ṣ. di affermare la propria egemonia sul paese. Presidente del Congresso generale del popolo, partito di maggioranza del suo paese, Ṣ. fu riconfermato presidente della Repubblica dello Yemen nell'ottobre 1994, e nel settembre 1999 uscì vittorioso con oltre il 96% dei voti dalle prime elezioni presidenziali del paese svoltesi con voto popolare. Alle elezioni del 2006, dopo che un precedente referendum (2001) aveva esteso a sette anni il mandato presidenziale, Ṣ. è stato riconfermato con oltre il 77% dei voti. I risultati elettorali, pur ribadendo la prevedibile vittoria di Ṣ., hanno evidenziato la vitalità delle opposizioni e il loro ruolo nella vita politica nazionale; i conflitti tra governo e gruppi ribelli sciiti zaiditi che interessavano già dal 2004 il Nord e le spinte secessioniste che dal 2007 hanno dato vita nello Yemen meridionale a ondate di proteste e scioperi hanno indebolito ulteriormente i suoi consensi. A partire dal genn. 2011 le manifestazioni inizialmente pacifiche organizzate a Sana'a e in altre città del Paese per chiedere le dimissioni di Ṣ. sono degenerate in violenti scontri, che nel maggio dello stesso anno hanno portato al bombardamento del palazzo presidenziale e al ferimento dello stesso Ṣāleḥ. Rientrato in patria dopo un breve soggiorno in Arabia Saudita, dove si è sottoposto a cure mediche, privo dell'appoggio nordamericano e di affidabili sostenitori interni, nonostante i ripetuti annunci di imminenti dimissioni Ṣ. ha rifiutato di abbandonare la scena politica fino al 23 novembre, data in cui ha firmato un accordo di transizione proposto dal Consiglio di cooperazione del Golfo. Nel gennaio 2012, in applicazione a una parte di tale accordo, il Parlamento ha approvato la legge che garantisce a Ṣ. l’immunità da azioni giudiziarie per ogni atto compiuto nell’esercizio delle proprie funzioni; l'uomo politico ha abbandonato il Paese per recarsi negli Stati Uniti, rientrando in patria nel mese di febbraio in concomitanza con le elezioni presidenziali, che hanno decretato come suo successore Abd Rabbu Mansour Hadi, già vicepresidente dal 1994 e braccio destro di Ṣ., nonché candidato unico alle consultazioni. Nel 2014 S. ha stretto un'alleanza con gli Ḥūthī, che pure aveva combattuto a lungo, impegnandosi al loro fianco in una lotta contro Hadi e riguadagnando l’anno successivo il controllo della capitale del Paese dopo aver deposto con un colpo di stato il presidente, che ha comunque continuato a essere riconosciuto dalla comunità internazionale e ha trasferito il proprio governo ad Aden, per poi fuggire in Arabia Saudita, sostenuto da una coalizione militare guidata dal governo di Riad che riunisce oltre dieci Stati, tra cui Stati Uniti, Turchia, Francia e Gran Bretagna. Il protrarsi del conflitto tra le due fazioni ha aperto nel Paese una gravissima crisi umanitaria per porre fine alla quale l’Arabia Saudita ha tentato una mediazione; ma nel dicembre 2017, a seguito dell’apertura di S. nei confronti della coalizione a guida saudita, l’uomo politico è stato accusato dai ribelli sciiti di tradimento e ucciso.