(o al-Maghreb) Nome («Occidente») con il quale gli Arabi designano complessivamente i paesi dell’Africa settentrionale, a O dell’Egitto, spesso in opposizione a Mashriq «Oriente». Varie le accezioni, dalla più comune (Tunisia, Algeria, Marocco) a una più ampia (Tunisia, Algeria, Marocco, Libia e Mauritania) a una più ristretta (Marocco). La regione, che non ha mai costituito un’entità politica unitaria, è abitata da popolazioni di stirpe araba e berbera; l’elemento comune e aggregante è l’Islam.
Nel 1989 è stata istituita, al fine di avere un mercato comune, l’Unione del M. Arabo (con sede a Rabat) tra Libia, Tunisia, Algeria, Marocco e Mauritania.
Le principali lingue parlate nell’area maghrebina sono l’arabo, nelle sue particolarità dialettali, e il berbero.
L’arabo maghrebino comprende infatti i dialetti di Marocco, Mauritania, Algeria, Tunisia, Libia e di parte della regione del delta del Nilo. L’insieme dei dialetti che costituiscono l’arabo maghrebino rivelano comunque una sostanziale unitarietà a livello fono-morfologico e lessicale, sebbene la comprensione tra parlanti di zone diverse non sia sempre garantita. Come in tutto il mondo arabofono, si suole distinguere anzitutto dialetti sedentari da dialetti nomadi; questi ultimi, dato il relativo isolamento sociale dei parlanti, si rivelano maggiormente conservativi. I dialetti sedentari si suddividono a loro volta in urbani e rurali; le parlate urbane tendono a rivestire il ruolo di dialetti di prestigio e a permeare progressivamente quelli rurali. Nelle città inoltre non è del tutto scomparso l’uso di dialetti ebraici, alcuni con forti influenze linguistiche dallo spagnolo arcaico. Tra le principali caratteristiche linguistiche dell’arabo maghrebino, alcune dovute al processo di fusione linguistica con il berbero, vi è la riduzione delle vocali brevi presenti invece nell’arabo classico.
Il berbero (dall’arabo barbariyya «[[[EOL:lingua|lingua]]] borbottata, incomprensibile», dal greco βάρβαροι) è la lingua autoctona del Nord Africa. Documentato epigraficamente sin dal 2° sec. a.C. con le iscrizioni libico-berbere, esso sopravvive oggi in una miriade di microdialetti nel Maghrib e nel Sahara. Il berbero rientra nel macrogruppo camitosemitico e non ha conosciuto alcuna consacrazione letteraria. Solo i Tuareg (sing. Targhi) posseggono una scrittura, le tifīnagh (f. pl. «le [lettere] fenicie»), usata però a scopi meramente pratici e decorativi. A partire dagli anni 1980, un forte movimento culturale ‘berberista’, attivo principalmente in Algeria (Cabilia), in Marocco e tra gli emigrati berberi europei, ha segnato un momento importante nella storia del berbero, con la promozione di tre diversi sistemi grafici: l’alfabeto arabo leggermente modificato, l’alfabeto latino munito di appositi segni diacritici, e una rielaborazione delle tifīnagh, che però ha meno possibilità di imporsi.
Nel periodo coloniale il M., inteso nella sua accezione più comune (Algeria, Marocco, Tunisia; per la letteratura libica ➔ Libia), fu privato non solo della sua indipendenza politica, ma anche della sua identità culturale, con l’imposizione di una lingua che costituiva un mezzo espressivo estraneo alla cultura autoctona araba o berbera. Si è così generata una realtà plurilinguistica, che ha trovato la sua espressione sia in una letteratura in lingua francese, il cui sviluppo (indissociabile dall’emergenza dei movimenti nazionalisti) è legato soprattutto alla cosiddetta generazione del 1952, sia in una letteratura in lingua araba, ispirata per lo più ai temi della disillusione conseguente all’indipendenza dai vari domini coloniali.
Letteratura in lingua francese. - In Algeria, paese maggiormente segnato dalla presenza culturale della Francia, il 20° sec. ha visto imporsi (dopo l’ideologia colonialista dell’algérianisme) la scuola di Algeri, le riviste Fontaine di M.-P. Fouchet e La Nef di R. Aron, e durante la guerra di liberazione la poesia di J. Sénac, ucciso dall’OAS (1962). Dopo una fase di mimetismo, rappresentata dal poeta J. Amrouche, cofondatore della rivista L’Arche ad Algeri, e dai narratori M.O. Cheikh e M.L. Amrouche, sorella di Jean, si affermano gli scrittori M. Feraoun (Le fils du pauvre, 1950; La terre et le sang, 1953) e M. Dib (La grande maison, 1952; La métier à tisser, 1957). Dello stesso periodo sono M. Mammeri (La colline oubliée, 1952) e M. Ouary (Le grain dans la meule, 1956). Con la guerra di liberazione numerosi sono gli autori emergenti: Y. Kateb, poeta e drammaturgo, che dopo il 1970 animò un teatro dai temi politici in lingua araba; M. Haddad, autore di Malheur en danger (1956) e Le quai aux fleurs ne répond plus (1961). Sugli stessi temi si sono espressi anche M. Dib (Qui se souvient de la guerre, 1962), Mammeri (L’opium et le bâton, 1965), la scrittrice A. Djebar (Les enfants du nouveau monde, 1962), D. Amrani e B.H. Ali. Dopo la liberazione, nasce intorno alla rivista Promesses (1969-74) una mediocre letteratura nazionalista, mentre il romanzo continua a prosperare con Dib (Habel, 1977), autore anche di liriche amorose, Djebar (Femmes d’Alger dans leur apartement, 1980; L’amour, la fantasia, 1985; Ombre sultane, 1987), Kateb (Poligone étoilé, 1966), il cui influsso segna M. Bourboune (Le Muezzin, 1968). Altri autori di romanzi sono R. Boudjedra (La répudiation, 1969; L’insolation, 1972), che scrive anche in lingua araba (at-Tafakkūk «La disgregazione», 1981; al-Marth «La macerazione», 1984), N. Farès (La découverte du nouveau monde, 3 vol., 1972-76; L’état perdu, 1982) e H. Tengour (Sultan Galiev, 1982). Negli anni 1980 si affermano R. Mimouni, T. Djaout, A. Tadjer e A. Bounemeur. Inoltre, in Francia operano alcuni scrittori appartenenti alla seconda generazione di immigrati, i cosiddetti jeunes Arabes (in argot, beurs), tra cui L. Sebbar, autrice di romanzi sulla condizione delle donne emigrate, M. Charef (Le harki de Meriem, 1989) e M. Mounsi (Les noces des fous, 1990).
In Marocco la letteratura francofona viene alla ribalta con gli scrittori A. Sefrioui (La boîte merveilles, 1954), D. Chraībi (Passé simple, 1954; L’âne, 1956), M.A. Lahbabi (Les chants d’espérance, 1952), ma soprattutto con la rivista di poesia Souffles (1966-71), che, bilingue dal 1968, quindi apparsa in arabo con il titolo Anfas, fu fino all’arresto del suo fondatore, il poeta e scrittore A. Laâbi, la voce del movimento rivoluzionario marocchino. Intorno a Laâbi (L’oeil et la nuit, 1968; Le règne de barbarie, 1976; Sous le baillon, le poème, 1981), si sono riuniti numerosi scrittori marocchini, ostili alla scrittura tradizionale: M. Nissabouri (Plus haute mémoire, 1968; La mille et deuxième nuit, 1975); M. Khair-Eddine, a lungo esule in Francia, autore di Agadir (1967), Le Déterreur (1973) e Légende et vie d’Agoun’chich (1984); A. Khatibi (La mémoire tatouée, 1971; L’amour bilingue, 1983) e T. Ben Jelloun, scrittore di fama internazionale. Negli anni 1970, in margine alla rivista Souffles, i poeti M. Loakira con L’horizon est d’argile (1972) e Z. Morsy, autore di D’un soleil rétirent (1969), rinnovano i canoni della poesia. Negli anni 1980 si afferma lo scrittore ebreo E.A. el-Maleh, mentre D. Chraībi si rivolge alle proprie origini nel romanzo Naissance à l’aube (1986).
In Tunisia la letteratura francofona è rimasta a lungo marginale; si segnalano lo scrittore e saggista ebreo A. Memmi (Le pharaon, 1988), M. Tlili (La rage aux tripes, 1975; Gloires des sables, 1982), A. Meddeb (Talismano, 1979), S. Guellouz (Les jardins du nord, 1982). Tra i poeti tunisini, spesso bilingui, H. Bouraoui, S. Garmadi, M. Aziza, M. el-Houssi (Le verger des poursuits, 1991) e M. Ghacem.
Letteratura in lingua araba. - La scelta politica compiuta negli ultimi anni dell’arabizzazione ha dato vita a una letteratura in lingua araba, anche se numerosi scrittori continuano a essere bilingui. La data con cui si è soliti far iniziare la letteratura algerina contemporanea in lingua araba è il 1971, anno di pubblicazione del romanzo Riḥ al-ǧanūb («Vento del sud») di ‛A. al-Ḥ. Ibn Haddūqa. Tra gli autori algerini di lingua araba, il poeta M. al-‛Id, gli scrittori Ṭ. Waṭṭār (Dukhkhān min qalbī «Fumo dal mio cuore», 1962; al-Lāz «L’asso», 1974; al-Ḥawwāt wa ’l-qaṣr «Il pescatore e il castello», 1980), W. al-‛Araǵ e M. Baqtāsh (‛Azzūz al-kabrān «Il caporale Azzuz», 1989). La produzione artistica in lingua berbera, scarsamente incoraggiata dalle autorità algerine, ha prodotto, soprattutto in Francia, centri per lo studio del patrimonio culturale. Tra gli scrittori berberi, S. Sa‛dī in Askuti («Lo scout», 1983), che analizza i problemi dell’identità berbera in Algeria, R. ‛Alīsh (Asfel «Sacrificio rituale», 1981; Faffa «Piccola Francia», 1986).
Tra gli autori marocchini di lingua araba, ‛A. al-Magīd ben Gellūn (Fī aṭ-ṭufūla «Sull’infanzia», 1957), ‛A. al-Karīm Ghallāb (Dafannā al-māḍī «Abbiamo sepolto il passato», 1966), M. Rabī (Rifqat as-silāḥ wa al-qamar «La compagnia d’armi e la luna», 1976), la poetessa W. al-‛Amrānī (al-Inkhab «La scelta», 1991), I. al-Khūrī (Madīnat at-turāb «Città di terra», 1988) e gli scrittori M. Barrāda e M. Zafzāf. Un posto di rilievo occupa M. Shukrī (in grafia francese Choukri), autore dell’autobiografia al-Khubz al-ḥāfī (1973; trad. it. Il pane nudo, 1989), un libro-denuncia sulle condizioni dei diseredati marocchini, cui è seguito Zamān al-Akhtā’ («Il tempo degli errori», 1992).
In Tunisia è ‛I. al-D. al-Madanī ad aprire la letteratura a una scrittura sperimentale di stampo surrealista. Notevole scalpore suscitò nel 1967 la pubblicazione sulla rivista Qisas («Racconti») del suo romanzo Insān al-sifr («L’uomo zero»), che costò all’autore l’accusa di individualismo eccessivo. Tra gli autori tunisini di espressione araba, ‛A. ad-Dū‛āgī, M. al-Fārisi, scrittore di racconti e drammaturgo (Ḥarakāt «Movimenti», 1979), ‛U. ben Sālim (Abū Giahl ad-Dahhās, 1985, dal nome del protagonista), S. ‛Ayādī, drammaturgo e novellista (Sindabad, 1983; Kadhālika taqtulūna al-amal «Così uccidono la speranza», 1985), A. Mammū, M. Madā’inī (ar-Rahīl ilā az-zamān ad-dāmī «Viaggio verso il tempo insanguinato», 1981), H. Qarawī (A‛midat al-giunūn as-sab‛a «I sette pilastri della follia», 1985).
Con la fine del dominio coloniale, gli scrittori maghrebini di lingua francese hanno instaurato un nuovo dialogo intellettuale e culturale con la Francia e, pur mantenendo vivo il sentimento d’identità nazionale, hanno espresso una forte disillusione nei confronti della nuova gestione politica e del conseguente assetto sociale. Essi si sono fatti dunque interpreti di una condizione di diffuso malessere, e hanno preso posizione contro l’intolleranza religiosa e la violenza da essa generata. È il caso, in Algeria, di Mimouni (La ceinture de l’Ogresse, 1990; Chroniques de Tanger: janvier 1994-janvier 1995, 1995) e Boujedra (Timimoun, 1994), ai quali si devono anche due pamphlets contro l’integralismo: De la barbarie et de l’intégrisme en particulier (1992) di Mimouni e Fils de la haine (1992) di Boujedra. Vittima dello stesso oltranzismo integralista è stato Djaout (assassinato nel 1993), di cui è uscito postumo il romanzo Le dernier été de la raison (1999). La violenta realtà algerina ha paradossalmente dato un nuovo slancio alla produzione letteraria. Il risultato è una letteratura di forte impronta civile che tuttavia non rinuncia alle sue finalità artistiche raggiungendo risultati qualitativamente elevati. È questo il caso di A. Djebar, che ha confermato il suo talento con Oran, langue morte (1997) e Filles d’Ismaël (2000), un dramma in 5 atti sulla condizione femminile. S. Ghezali, direttrice del settimanale di opposizione La Nation, costretto alla chiusura, nel 1999 ha pubblicato Les amants de Shahrazade, dedicato alle gravi violenze che hanno colpito l’Algeria tra il 1997 e il 1998. Oltre agli scrittori delle prime generazioni, come Mammeri e Dib (La nuit sauvage, 1995), si segnalano alcuni autori più giovani, quali M. Mokeddem, nata negli anni 1950 (Les hommes qui marchent, 1990; Des rêves et des assassins, 1995); Y. Khadra, pseudonimo femminile dello scrittore M. Mulessehul, ex ufficiale dell’esercito algerino che nei suoi romanzi polizieschi fornisce una personale chiave di lettura dell’integralismo, e numerosi altri: A. Djemani, L. Marouane, A. Khelladi, H. Skif, A. Zaoui, Y. Benmiloud. Il giallo, un genere appena affermatosi (ma già praticato dal marocchino D. Chraībi), sta riscuotendo in tutto il M. un considerevole successo: esso descrive con un linguaggio semplice gli aspetti più nascosti della società, spesso violenta e corrotta. Tra gli altri autori algerini spiccano D. Dib, che con raffinato umorismo racconta le vicende dell’ispettore Antar; S. Aïssa, pseudonimo di un giornalista del quotidiano Algérie-Actualité, e S. Smaïl.
In Marocco, oltre al già citato Chraībi, inventore dell’ispettore Ali, si sono affermati Miloudi Hamdouchi, che scrive e pubblica in arabo numerosi gialli, molti dei quali insieme al suo omonimo Abdelilah Hamdouchi. Il recupero della tradizione e l’istanza di emancipazione che caratterizzano la produzione del Marocco si traducono spesso nella ricerca di nuovi linguaggi e strutture narrative: in tal senso si distinguono il berbero M. Khair-Eddine, che ha fatto della ribellione la sua linea di condotta e il suo stile (il poema Mémoriale, 1991), Laâbi, che ha espresso il suo impegno politico in un linguaggio ermetico, svincolato dai canoni grammaticali (il romanzo Les rides du lion, 1989, la raccolta poetica Le spleen de Casablanca, 1996), e il poeta Nissabouri. Tra gli autori marocchini di lingua francese figurano, oltre al più noto Ben Jelloun, la sociologa e scrittrice F. Mernissi, che ha tentato di sfatare i pregiudizi sulla condizione delle donne nell’Islam mettendo in luce un universo femminile già all’epoca di Maometto attivo e autonomo (Sexe, idéologie et Islam, 1983; Sultanes oubliées: femmes chefs d’état en Islam, 1990; L’harem et l’Occident, 2000), e A. Serhane, autore di un’interessante trilogia autobiografica (1983-92).
In Tunisia la produzione in lingua francese è meno copiosa, in seguito al potenziamento delle istituzioni musulmane che hanno favorito lo sviluppo di una letteratura in lingua araba. A partire dagli anni 1980 la mediazione tra le due culture, quella della Francia, divenuta per molti scrittori patria adottiva, e quella araba, è affidata ai luoghi: in Retour à Thyna (1997), H. Bouraoui racconta il suo ritorno nella città natale Sfax; la scrittrice H. Béji, in L’oeil du jour (1985), mette a confronto la vita di una casa araba tradizionale con quella di un appartamento parigino; il poeta M. el-Houssi, uno dei migliori interpreti dell’antica tradizione arabo-berbera, in Le verger des poursuites (1991), suo primo romanzo a carattere autobiografico, rievoca il ritorno al villaggio natale dopo la morte della madre. Tra i poeti dell’ultima generazione si distingue M. Ghacem (Cap Africa, 1989; Orphie, 1997), nato nella città faro della dinastia fatimide, Mahdia, di cui canta la luce mediterranea.
All’egemonia linguistica del francese si è andata opponendo nel corso degli anni una politica culturale volta alla valorizzazione dell’arabo e della sua tradizione. In risposta al monopolio culturale dell’Europa, e in particolare della Francia, il M. ha rivendicato la dignità del proprio passato, alla luce di una nuova coscienza politica e nazionale. Tipico è il caso dell’algerino Boujedra, in arabo Abū Ǧadra, che dal 1981 ha deciso di scrivere in arabo. Si sono poi segnalati altri scrittori significativi: Ǧ. Ḥallāṣ, formatosi esclusivamente nelle scuole arabe, autore di saggi, racconti per l’infanzia e numerose raccolte di novelle; W. al-A‛raǧ, autore tra l’altro di Dākirat al-mā («La memoria dell’acqua», 1997), un libro a metà fra il saggio e l’autobiografia; infine, Z. Wannīsī. In Marocco il già citato Abdelilah Hamdouchi, oltre ai gialli, ha scritto al-Taslīm («Sottomissione», 1994). Nell’universo poetico del Marocco si distingue la voce di M. Bannīs, che con la sua opera di poeta e critico si inserisce nell’avanguardia letteraria del suo paese. Lontani dalle regole della poesia araba classica sono anche A. Maǧǧātī e M. al-Ḫammār al-Ġinnūnī, entrambi influenzati dalla poesia araba moderna, soprattutto egiziana e irachena. Significativo in Tunisia il contributo delle donne scrittrici: Ḥ. Ben Šayḫ; la poetessa N. al-Ṣīd; F. al-Šabbī, poetessa e narratrice; N. Ḏahab, autrice di romanzi brevi e racconti, in cui l’angoscia esistenziale si esprime attraverso immagini surreali; infine, ‛A. al-Nālūtī.