Composto tossico, HCN, presente in diversi glicosidi ( cianogenetici); allo stato puro è un liquido mobile, incolore, dal pronunciato odore di mandorle amare, miscibile con acqua, alcol ecc.; bolle a 25,6 °C; le soluzioni acquose si alterano facilmente. Si può ottenere trattando un cianuro con acido solforico o per decomposizione della formammide. Il processo di produzione affermatosi industrialmente è basato sull’ossidazione di metano e ammoniaca con aria: CH4+NH3+1,5 O2 ⇄ HCN + 3H2O; la reazione avviene a 1000-1200 °C in presenza di un catalizzatore a base di platino-rodio. Il processo di produzione può anche avvenire in assenza di catalizzatore, facendo reagire l’ammoniaca con un idrocarburo, di solito propano o butano, in un letto fluidizzato di particelle di coke riscaldato elettricamente attraverso due elettrodi immersi nel letto. Il processo consente di ottenere elevate concentrazioni di acido c. nel gas prodotto, ma richiede un elevato consumo di energia. Il più importante impiego dell’acido c. è come intermedio in molte sintesi (derivati acrilici, indaco ecc.). Si usa anche nella derattizzazione di magazzini, navi ecc.
Con l’emoglobina l’acido c. forma un composto stabile (la cianemoglobina) che presenta un caratteristico spettro d’assorbimento e conferisce al sangue una tipica colorazione rosso-ciliegia. È estremamente tossico per gli animali superiori perché inibisce l’attività vitale dei protoplasmi; la sua azione è rapida: prima eccita e poi paralizza il centro respiratorio bulbare; se inalato allo stato di gas la morte può essere istantanea (dose mortale per l’uomo, 0,05 g). Avvelenamenti accidentali possono essere causati dall’ingestione di mandorle amare o anche di semi di pesche o ciliegie che contengono glicosidi cianogenetici. L’antidoto da utilizzare è il permanganato di potassio assai diluito, che ossida l’acido c. ad acido cianico inattivo.