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Zenóne di Elea

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Pensatore greco (sec. 5º a. C.). Scolaro di Parmenide, fu uno dei principali rappresentanti della scuola eleatica. Una testimonianza del suo pensiero è presente nel Parmenide di Platone.

Vita e pensiero

Secondo Apollodoro la sua acme cadrebbe tra il 464 e il 460 a. C.; egli sarebbe quindi nato al principio del sec. 5º. Della sua vita nulla è noto, salvo la tragica fine, variamente riferita dalle diverse fonti, in cui egli sarebbe incorso per avere cospirato contro un tiranno, che lo fece morire fra tormenti da lui coraggiosamente affrontati. Quanto alla sua opera e alla sua dottrina, la testimonianza più antica e importante è quella contenuta nel Parmenide platonico (127 A - 128 E), in cui si parla di uno "scritto" composto da Z. per "venire in aiuto" del suo maestro Parmenide. In tale scritto, dice Platone, Z. non sostiene una tesi diversa da quella di Parmenide, ma giunge alla stessa conclusione per via differente. Se infatti Parmenide mira, nel suo poema, a dimostrare che la sola realtà esente da contraddizioni è "ciò che è", nella sua indipendenza da ogni predicazione particolare, Z. tende a contrapporre agli argomenti del senso comune, che nel monismo parmenideo vede paradossalmente negata ogni evidenza e molteplicità fenomenica, la tesi che non minori assurdità derivano dalla stessa presupposizione di tale molteplicità. Questa testimonianza platonica illumina il significato storico delle famose argomentazioni zenoniane contro la molteplicità e il movimento. Per la critica della molteplicità particolarmente importante è il fr. 3, l'unico superstite nella sua integrità: "Se le cose son molte, è necessario che sian tante quante sono, e né più né meno di tante. Ma se sono tante quante sono, sono finite di numero. Se le cose sono molte, sono infinite: infatti in mezzo a esse ce ne sono sempre altre, e ancora altre in mezzo a queste. Così le cose sono infinite". In esso si palesano le caratteristiche tanto strutturali quanto sostanziali dell'argomento zenoniano, basato sulla reductio ad absurdum, cioè sulla possibilità di ricavare due conclusioni tra loro contraddittorie dalla stessa premessa, e quindi intesa a dimostrare l'incongruenza della premessa medesima. Lo stesso atteggiamento si manifesta intrinseco anche agli argomenti contro il moto, per quanto almeno di genuino è dato in essi effettivamente cogliere al di là delle interpretazioni critiche di Aristotele (essi ci sono noti infatti solo attraverso la disamina che questi ne compie nella Fisica) e delle innumerevoli deformazioni seriori. Così nel primo argomento Z. sostiene che un mobile A non potrà mai pervenire dal punto B al punto C, perché prima dovrà giungere al punto D, intermedio tra B e C, e prima ancora al punto E, intermedio tra B e D, e così via all'infinito (è l'argomento detto della dicotomia, perché basato sulla progressiva "bipartizione" delle distanze). Secondo alcuni storici della matematica, gli argomenti di Z. - il primo, citato sopra, e poi quelli di Achille, della freccia e dello stadio - hanno per scopo di mettere in luce le contraddizioni nelle quali ci si irretisce se si vuole comporre una grandezza continua come somma di particelle infinitamente piccole in numero infinito.

Vedi anche
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  • BIOGRAFIE in Filosofia
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  • REDUCTIO AD ABSURDUM
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  • ARISTOTELE
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  • PARMENIDE
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Vocabolario
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