Schlöndorff, Volker
Regista cinematografico tedesco, nato a Wiesbaden il 31 marzo 1939. È stato una personalità di punta dello Junger Deutscher Film e, tra tutti i registi del rinnovamento della cinematografia tedesca legati all'impegno civile e a uno stile realistico, resta il più significativo per risultati, continuità e riconoscimenti internazionali. Piuttosto un solido metteur en scène che non un 'autore' nel senso pieno della parola ‒ la maggioranza dei suoi film deriva per lo più da sceneggiature o testi altrui, principalmente da opere letterarie ‒, nel corso della sua carriera ha vinto, tra l'altro, il premio Fipresci per la sua opera di debutto Der junge Törless (1966; I turbamenti del giovane Törless), la Palma d'oro ex aequo al Festival di Cannes nel 1979, mentre nel 1980 al suo Die Blechtrommel (1979; Il tamburo di latta) è andato l'Oscar per il migliore film straniero.
Figlio di un medico, nel 1956 si recò in Francia inizialmente solo per uno scambio scolastico ma poi vi si stabilì. Al liceo a Parigi ebbe come compagno di scuola Bertrand Tavernier che lo avrebbe aiutato a realizzare nel 1960 la sua prima prova cinematografica, Wen kümmert's?, un cortometraggio sugli immigrati algerini a Francoforte, vietato dalla censura tedesca e rimasto inedito. Frequentò l'IDHEC dove incontrò Louis Malle, di cui fu poi più volte assistente alla regia, e collaborò nella stessa veste con Alain Resnais e soprattutto con Jean-Pierre Melville, suo 'padre putativo'. Dopo essersi costruita questa invidiabile esperienza professionale, che lo distingueva dai giovani autodidatti dello Junger Deutscher Film, rientrò in Germania ed esordì con una bella opera di ispirazione letteraria, Der junge Törless, dal romanzo di R. Musil. Seguirono un giallo, Mord und Totschlag (1967; Vivi, ma non uccidere), sorta di omaggio al 'maestro' Melville, e altre trasposizioni letterarie come Michael Kohlhaas ‒ Der Rebell (1969; La spietata legge del ribelle) dalla novella di H. von Kleist, o Baal (1970) da B. Brecht, in cui il regista tematizza il motivo della ribellione, in evidente sintonia con gli umori antiautoritari del Sessantotto. Baal fu anche la prima opera di S. prodotta dalla Hallelujah-Film, la società da lui fondata nel 1969 con Peter Fleischmann, cui si aggiunse nel 1974 la Bioskop-Film (fondata con Reinhard Hauff ed Eberhard Junkersdorf), case di produzione con cui il regista avrebbe realizzato la maggioranza dei suoi film. Oltre a una rivisitazione critica delle atmosfere dell'Heimatfilm in Der plötzliche Reichtum der armen Leute von Kombach (1971) nacquero successivamente due intensi ritratti femminili, Die Moral der Ruth Halbfass (1972) e Strohfeuer (1972; Fuoco di paglia) in cui non è difficile riconoscere l'influenza della moglie, l'attrice e poi regista Margarethe von Trotta. Culmine del loro connubio artistico sono due film politici di ispirazione letteraria: Die verlorene Ehre der Katharina Blum (1975; Il caso Katharina Blum), tratto dall'omonimo pamphlet di H. Böll e codiretto dalla von Trotta, e Der Fangschuss (1976; Colpo di grazia) dal romanzo di M. Yourcenar, con la von Trotta, invece, nel ruolo di protagonista. Insieme ad Alexander Kluge S. fu poi alla testa di una serie di film collettivi con cui gli autori della Bundesrepublik Deutschland intendevano reagire alla situazione politica del Paese e di cui Deutschland im Herbst (1978; Germania in autunno) resta il modello e l'esempio più riuscito. Con Die Blechtrommel, adattamento del celebre romanzo di G. Grass, raggiunse il culmine della sua carriera a livello sia di riconoscimenti sia di notorietà internazionale. Non fu questo il caso del giornalistico Die Fälschung (1981; L'inganno), ambientato nel Libano sconvolto dalla guerra civile, né di un'ennesima trasposizione letteraria, Un amour de Swann (1984; Un amore di Swann), periglioso tentativo di rendere l'omonimo testo di M. Proust, che risolve la complessità di À la recherche du temps perdu in opera di sterile confezione. Avvertita la crisi dell'Autorenfilm in patria, si trasferì negli Stati Uniti, dove realizzò tre opere tra cui un buon adattamento dal dramma di A. Miller, Death of a salesman (1985; Morte di un commesso viaggiatore) con un grande Dustin Hoffman.
Negli anni Novanta, rientrato nella Repubblica democratica tedesca (BRD), è stato direttore artistico dello Studio Babelsberg di Berlino, cercando di riportarlo ai fasti degli anni ruggenti dell'UFA; ha realizzato poi una serie di mediocri film di produzione europea, Homo faber ‒ The voyager (1991; Voyager ‒ Passioni violente), dal romanzo di M. Frisch, Der Unhold, noto anche come The ogre (1996; L'orco), da Le roi des Aulnes di M. Tourniers, prima di tornare a raccontare con abilità un tema a lui congeniale, quello degli 'anni di piombo', in Die Stille nach dem Schuss (2000; Il silenzio dopo lo sparo).
Personalità quasi atipica nel panorama artistico del Neuer Deutscher Film (v. Germania), S., pur formatosi nel fuoco del rinnovamento della Nouvelle vague francese, ha cercato di portare nella cerebrale e intellettuale cinematografia d'autore del suo Paese un elemento di popolarità unito all'impegno socio-politico. Rielaborando in maniera dinamica un genere frequentato nella Germania degli anni Cinquanta e Sessanta, la trascrizione di opere letterarie, S. ha qui conseguito (e non di rado) i suoi risultati migliori, a partire dall'antesignano film di debutto, Der junge Törless, che anche a distanza di decenni rimane una delle prove migliori, per la sagace direzione degli attori e la precisa resa scenica dei dettagli atmosferici del romanzo. Tutta l'altalenante filmografia del regista, infatti, si muove nella logica di un cinema sempre (o quasi) letterario e formalmente impeccabile, ma spesso troppo pesantemente didascalico. Perciò i valori psicologici dei suoi personaggi ‒ a volte finemente disegnati, come in Der Fangschuss ‒ tendono a stemperarsi in una tensione figurativa tutta esteriore, dove le dinamiche di scenografie e costumi prevalgono sul senso ultimo del discorso; così in modo meno evidente, per es., nel pluripremiato Die Blechtrommel e così scopertamente in Un amour de Swann o Der Unhold. Eppure, alle volte, sono proprio il palese squilibrio del regista, proprio la sua incapacità a non farsi prendere da un 'giusto' furore nei confronti di quella realtà che comunque emerge nelle sue messe in scena, a costituire un inaspettato motivo di interesse.
A. Cattini, Volker Schlöndorff, Firenze 1980; R. Lewandowski, Die Filme von Volker Schlöndorff, Hildesheim-New York 1981.